Friday, 05 September 2025
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Pubblicato il 05 September 2025 alle 13:00
Olbia. A una prima occhiata, la vicenda della Marina Sacra Famiglia, sembra una mera questione amministrativa, una lotta di carte bollate per avere dei pontili, ma il mancato rinnovo della concessione demaniale di fronte a una delle zone più popolari della città è soprattutto una storia squisitamente politica e, prendendo in prestito le parole del TAR, di discrezionalità. Non sempre, però, la discrezionalità fa pendant con la logica.
La genesi della marina. Facciamo un breve recap sulla storia di questa concessione che ha un carattere molto particolare: non è a scopo di lucro. Così come accaduto a Tilibbas, anche nel quartiere Sacra Famiglia è nata una marina dedicata al piccolo naviglio. Parliamo, in particolare, di nautica sociale: la nautica delle persone normali, quelle che a Olbia (che è una città di mare, anche se qualcuno fatica a rammentarlo) si sono mantenute per decenni grazie alla piccolissima pesca e quelle che con enormi sacrifici coronano un sogno (l'acquisto di una piccola barca).
Questa intuizione, cioè dare spazio alle barchette di chi non può certamente mantenere un posto barca a migliaia di euro l'anno, non è stata di un politico, bensì di un tecnico: l'ammiraglio Nunzio Martello, che all'epoca non era solo a capo della Direzione Marittima, ma ricopriva anche il ruolo di commissario dell'Autorità Portuale.
Per Martello, sostenuto dall'allora sindaco Gianni Giovannelli (che con la sua giunta stava lavorando ai progetti per la riqualificazione della sponda Sud), era più che logico e normale che il grande golfo interno di Olbia ospitasse le piccole barche dei residenti a prezzi umani e non solo grandi yacht e non solo i natanti di chi ha il portafoglio a fisarmonica.
Così, su queste basi, nel 2014 è nata prima la Marina di Tilibbas e poi – nel 2015 – è nata quella della Marina Sacra Famiglia. Entrambe le concessioni hanno portato significativi miglioramenti ai quartieri che le ospitano perché i soci di queste associazioni non si occupano solo della loro barca, ma fanno comunità, presidiano il territorio, lo controllano con la loro presenza e mantengono in ordine la zona antistante i pontili (anche se non fa parte della concessione). Di base, si tratta del comportamento normale di un comune cittadino che ama la sua città.
Come mai un progetto che potremmo definire senza indugio come positivo è finito al centro di una guerra di carte bollate? Per quali motivi la marina deve “sloggiare”? È qui che la storia si fa interessante.
La sentenza del TAR Sardegna e le motivazioni del Comune. Il 30 giugno 2025, al Museo Archeologico di Olbia, si è svolta una presentazione del “nuovo” Piano urbanistico comunale (Puc) alla presenza dei dirigenti del comune di Olbia e dei professionisti che si sono occupati della sua realizzazione. Alla riunione era presente anche Franco Dore, segretario della Marina Sacra Famiglia. A domanda precisa, cioè che fine facesse la nautica sociale nel Puc, la risposta è stata altrettanto evasiva: non è compito del Comune decidere, spetta all'Autorità portuale. Tenete presente la data: 30 giugno 2025. La sentenza, sfavorevole alla marina, è del 9 luglio. E cosa si scopre leggendo la sentenza? Che l'Autorità portuale, a marzo 2024, rigettava la richiesta di rinnovo su “sollecito del Comune di Olbia”.
Potremmo chiederci in quale punto dello spazio-tempo è scoppiata la pace tra l'Autorità Portuale all'epoca guidata dall'ex presidente della Port Authority Massimo Deiana e il Comune di Olbia guidato dal sindaco Settimo Nizzi, ma è una domanda pacificamente retorica: evidentemente, dopo anni di muro contro muro, tra i due enti è arrivata l'ora della collaborazione.
I motivi del mancato rinnovo (che di base il Tar fa propri nella sentenza del 9 luglio) sono legati al cantiere del parco Mogadiscio e al progetto ITI che copre tutta la sponda Sud dall'ex ponte di ferro al Michelucci.
Il punto è questo. Il Comune di Olbia, più volte, ha segnalato «l’incompatibilità della concessione sopra descritta, al pari di altre presenti sulla stessa linea di costa, con la prosecuzione dei lavori attuativi del progetto Città Solidale Sostenibile Sicura». Questa sollecitazione risale a marzo 2024, dice il Tar. A maggio dello stesso anno, la dose viene rincarata: il punto di ormeggio è incompatibile con i lavori in corso e con lo stato dei luoghi perché «si intende procedere alla pulizia della fascia costiera e degli isolotti, alla creazione di percorsi, sui quali verranno individuati punti di avvistamento dell’avifauna presente».
Inoltre, si legge nella sentenza a completamento di questo ragionamento che «lungo l’intera linea di costa cittadina, compresa l’area di interesse della ricorrente, è in corso di realizzazione una pista ciclopedonale che unirà il Ponte di ferro all’aeroporto». E ancora, a giugno 2024 sempre l'Autorità portuale – sulla scorta di una nuova nota ricevuta dal Comune – ribadisce il diniego di rinnovo perché «le aree demaniali antistanti a quelle in concessione acquisiranno significativa rilevanza naturalistica e paesaggistica, essendo destinate a ospitare “percorsi naturalistici dotati solo di cartellonistica indicativa e informativa sull’ambiente”, come tali interdette al traffico veicolare».
Gli olbiesi che conoscono bene la zona (e per sommi capi anche il progetto di riqualificazione) troveranno queste motivazioni, se vogliamo essere buoni, poco valide e un po' stiracchiate.
Primo, perché parliamo di un'area urbanizzata (la zona naturalistica è più avanti, oltre la sopraelevata e ben oltre i pontili della discordia). Secondo, perché non si capisce in che modo quella concessione possa essere di ostacolo alla pista ciclabile o ai lavori in corso o alla futura destinazione della zona in questione.
Nonostante ciò, secondo il TAR tutte le motivazioni addotte da Comune e Port Authority sono perfettamente logiche e rientrano altrettanto perfettamente nella discrezionalità che un ente pubblico può esercitare.
La concessione incompatibile e la futura programmazione. Ricapitoliamo: i quattro pontili della Marina Sacra Famiglia sono incompatibili con il percorso ciclo-pedonale perché inevitabilmente si attraversa la pista ciclabile, sono incompatibili con il percorso naturalistico (anche se l'avifauna la potremo osservare meglio all'Isola Lepre e alla Peschiera), ma soprattutto l'area in questione – citiamo pedissequamente il Tar – non è destinata alla nautica da diporto in nessun atto di pianificazione dell'Autorità portuale.
In realtà, uno degli obiettivi della riqualificazione delle anse interne del golfo olbiese è sempre stato quello di ricucire il rapporto tra Olbia e il mare, e tra le modalità di attuazione – oltre a camminamenti e verde pubblico – vi era anche quello di trasformare il golfo interno in una grande area diportistica dove tutti avrebbero potuto trovare posto, dai maxi yacht al molo Brin alla nautica sociale nelle anse Nord e Sud.
Le marine di Tilibbas e Sacra Famiglia non sono nate per caso, fuori da ogni logica, ma rispondono a quell'obiettivo (che è un obiettivo politico). E infatti, nella prima versione delle cartine del DPSS (approvato – e anche qua teniamo a mente le date – il 14 luglio 2025) questa idea si ritrova pienamente.
La cartina sulle vocazioni portuali inviata al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici nel 2024 (in occasione dell'adeguamento funzionale che ha dato il LA ai maxi yacht del Molo Brin) è più che eloquente: tutto il golfo interno viene dedicato alla vocazione nautica, ma con dei distinguo molto chiari.
L'ansa Nord e l'Ansa Sud vengono indicate per il piccolo diportismo (quello delle due marine sociali), la zona dove oggi si trova la Lega Navale e quella del Circolo Nautico vengono indicate come “nautica da diporto”, le aree di via Redipuglia (zona piazza Crispi) e zona Museo come “Area turisitico-ricreativo-sportiva” e il porto vecchio (Molo Brin) come “Diportistica di Alto Livello”.
Nella sentenza del Tar del 9 luglio, questa cartina viene definita come una bozza: «A seguito delle interlocuzioni con tutti i soggetti interessati – si legge – è stata redatta una nuova bozza. Sarà quest'ultima ad essere trasfusa in un provvedimento».
Il 14 luglio 2025, il Comitato di Gestione dell'Autorità portuale approva il Documento di programmazione strategica di sistema (DPSS). Il componente del Comune di Olbia? Coincidenza vuole che non fosse designato. Quindi niente voto “comunale”.
Cosa si può notare in questa nuova cartina? Che le vocazioni sono cambiate. Spunta una nuova denominazione chiamata “Altro” la cui descrizione non chiarisce in alcun modo di cosa trattasi: si parla di generica “funzione a servizio e utilizzo pubblico”.
La nuova vocazione, nella cartina, è di colore rosso: vi rientrano l'ex Sep, il museo Peddone, l'isola di Mezzo e la zona costiera che parte dalla concessione della Marina Sacra Famiglia e che arriva al Michelucci.
Il resto? Tutto di un bel giallo limone per la vocazione “turistica e da diporto”.
E qui, sorgono spontanee tante domande:
- se la concessione Sacra Famiglia è incompatibile con i percorsi ciclo-pedonali, com'è possibile prevedere spazio per concessioni turistico-diportistiche lungo tutta la linea di costa del golfo interno visto e considerato che è già presente il percorso ciclo-pedonale?
- se parliamo di servizi pubblici, si potrebbe realmente prevedere un'eventuale concessione per un bar nella zona rossa “Altro”, tra l'altro con un nuovo percorso ciclopedonale che potrebbe impedire il rifornimento di derrate? E poi, vendere bibite e panini potrebbe essere davvero considerato un servizio pubblico?
- se tutto ciò non è un vero impedimento, perché non spostare la concessione Sacra Famiglia nella parte gialla? O perché non considerarla un servizio di interesse pubblico visto il suo scopo sociale e lasciarla dov'è?
L'ultima speranza è il Consiglio di Stato. Tra qualche giorno, la Marina Sacra Famiglia affronterà l'ultima battaglia di questa lunga guerra di carte bollate per difendere la sua esistenza.
Lo farà di fronte al Consiglio di Stato. Il sentimento predominante tra quei quattro pontili frequentati da gente semplice e amante della città non è certamente la gioia. Come spiega il presidente Giovanni Brocca, vince l'amarezza. «Sento una grandissima amarezza per tutto questo, siamo amareggiati. Se tolgono noi, tolgono qualcosa agli olbiesi, agli olbiesi normali. Siamo in 140, abitiamo qui, teniamo a questo posto e lo abbiamo sempre tenuto d'occhio. Noi ci siamo sempre, non andiamo via con la fine della stagione turistica», spiega il presidente. Senza dimenticare un altro aspetto: in questi mesi, nessuno dell'opposizione si sarebbe fatto sentire.
Per realizzare questi quattro pontili, i soci si sono quotati e nel tempo sono stati investiti migliaia e migliaia di euro, non senza grossi sacrifici. Anche se non di loro pertinenza, i soci della marina si sono sempre occupati della pulizia delle aree prospicienti, aree – come sanno bene i residenti – oggetto di bivacchi e abbandono costante di rifiuti.
Accanto alla loro concessione, vi è una lunga sequenza di pontili abusivi che arriva fino alla foce del rio Seligheddu, di cui non sono ovviamente responsabili, neanche per l'utilizzo abusivo dei due scivoli fuori dalla concessione né per l'uso di automezzi.
La marina non ha mai avuto scopo di lucro e infatti, come associazione, si è attivata per fare attività socio-educative. «Siamo affiliati al Coni e abbiamo siglato un protocollo per le scuole di tutta la ex Provincia di Sassari. Facciamo esercitare gli studenti con il gozzo italiano. Questa è un'attività che serviva anche per riportare in auge il chiattino olbiese, la nostra barca – spiega Franco Dore, segretario della Marina -, quella che ha nutrito tante famiglie».
Insomma, appare chiaro che il fine non è lucrare, ma creare comunità: una cosa che non è certamente tra gli obiettivi del porto turistico di lusso o di posti barca per persone facoltose o di un noleggio per gommoni, ma può esserlo per la nautica sociale.
Di questo nel DPSS non si parla: la vocazione “Turistica e da diporto” non viene definita in modo esaustivo, con una descrizione compiuta di quello che si può fare o non fare in quelle aree. Si legge semplicemente che «Per le aree dedicate alla nautica da diporto occorre una riorganizzazione e razionalizzazione delle relative concessioni».
Se in questa razionalizzazione non ci sarà spazio per la nautica sociale e per le concessioni come quella di Tilibbas e quella della Sacra Famiglia, gli olbiesi normali (e non ricchi) dove potranno mettere il loro chiattino o il gommone di seconda mano? In campagna?
Ecco, il sunto di tutto questo è che possiamo ritenere giusta la discrezionalità di un ente pubblico e di certo non c'è un solo olbiese contro la riqualificazione della linea di costa, ma sarebbe meglio che tutto fosse più chiaro. Dieci anni fa l'idea era quella di creare una zona diportistica inclusiva, oggi? Speriamo che sia ancora così e che la Marina Sacra Famiglia venga semplicemente spostata di 10 metri a sinistra. Del resto, lo spazio c'è e la pista ciclopedonale non è certamente un ostacolo.
A.D.G.
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