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Golfo Aranci, bunker di Cala Moresca: prima le minacce di morte, ora anche l'attacco social

Un bene comune si tutela con i fatti, non con i post su Facebook

Golfo Aranci, bunker di Cala Moresca: prima le minacce di morte, ora anche l'attacco social
Golfo Aranci, bunker di Cala Moresca: prima le minacce di morte, ora anche l'attacco social
Marco Agostino Amucano

Pubblicato il 23 August 2025 alle 13:30

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Golfo Aranci. La recentissima polemica sul bunker di Cala Moresca nasce da un paradosso tutto contemporaneo: un gruppo Facebook che denuncia la "privatizzazione di un bene comune" proprio mentre quell'unico bene comune è finalmente tornato a essere degno di questo nome. Dal social la protesta è rimbalzata sulla stampa, trovando spazio anche sull'Unione Sarda, trasformando una questione locale in caso mediatico.

Il rischio è che un dibattito nato sui social si cristallizzi in verità mediatica senza il dovuto contraddittorio, oscurando anni di sacrifici e dedizione personale. Ma anche, più sottilmente, che si confonda la tutela (nei fatti) del patrimonio con la sua retorica.

Parlo per esperienza diretta: quando oltre un decennio fa fui incaricato della schedatura storica e archeologica del territorio per il PUC di Golfo Aranci, schedai il bunker e ne documentai fotograficamente lo stato in cui versava. Era ridotto a latrina pubblica, immondezzaio, rifugio per tossicodipendenti e per coppiette travolte da improvvisi ardori, nonché luogo di riti satanici. Muri lordati, simboli blasfemi, sporcizia, siringhe e preservativi ovunque, lesioni della volta e conseguenti infiltrazioni che ne compromettevano vieppiù la struttura. Un degrado che nessun ente pubblico aveva mai pensato di affrontare in settant'anni, anche per l'estenuante iter burocratico che il recupero di questi fortini litoranei della Seconda Guerra Mondiale esigerebbe.

Il comitato Maremosso parla oggi di "privatizzazione di un bene comune, patrimonio culturale della comunità golfarancina." Sacrosanto principio. Ma viene da chiedersi: dov'era questa indignazione quando questo prezioso pezzo di patrimonio culturale era un pubblico "cagatoio"? Quale ente pubblico si è mai fatto carico di rimuoverne i quintali di immondizia, consolidarne le strutture pericolanti, ottenerne le previe necessarie autorizzazioni? E soprattutto: chi ha mai investito migliaia di euro per salvare questa preziosa testimonianza dallo squallore dell'incuria?

La risposta ha un nome e cognome: Giovanni Antonio Ena. Ventidue mesi di esasperanti anticamere e pratiche burocratiche con Demanio, Marina, Esercito e Comune. Tutte regolarmente ottenute e pagate con tanto di ricevute. Quintali di immondizia rimossi con le proprie mani, strutture consolidate, bunker riportato a nuova vita con lavoro indefesso di pala e cazzuola (Ena è anche muratore), e solo dopo un preciso progetto firmato da un noto professionista del luogo, con parcella regolarmente emessa e pagata, e approvato dal comune di Golfo Aranci. Il tutto a proprie spese, ripeto, senza ritorni economici, solo per passione e con l'unico obiettivo di restaurare l'edificio militare e la tenace volontà di salvarlo, perché altrimenti sarebbe andato perduto.

Ma Ena non si è fermato al restauro. Da allora custodisce quotidianamente il bunker e l'area circostante, impedendo che tornino preda dell'inciviltà. La recinzione e il cancello che all'improvviso tanto scandalizzano — sebbene ci siano da non pochi anni — non sono simboli di chiusura (a chi vuole visitare il bunker non è mai, ripeto mai stato negato l'accesso, lo provano centinaia di firme di visitatori grati ed entusiasti), ma strumenti di salvaguardia: servono a evitare che bombolette spray, buste di rifiuti, feci umane e atti vandalici cancellino in poche settimane anni di lavoro amorevole. Una tutela quotidiana che costa diverse migliaia di euro annui, pagati tutti di tasca propria, e solo per garantire che questo pezzo di storia rimanga integro e quindi anche visitabile.

Ma c'è un aspetto ancora più inquietante di questa vicenda. Contattato da noi, Giovanni Antonio Ena rivela: «Nonostante la custodia quotidiana e il cancello chiuso, il bunker è stato ripetutamente oggetto di atti vandalici. Per ben quattro volte ignoti hanno tagliato la rete di recinzione, strappando via anche le piccole luci a energia solare che avevo installato. Una prima denuncia ai Carabinieri venne presentata per danneggiamenti nel 2015, solo pochi mesi dopo avere ottenuto la concessione demaniale.  Ma il fatto più grave è accaduto durante le feste natalizie del 2022: hanno appeso al mio alberello di Natale una bottiglia contenente un messaggio con i seguenti auguri: "Lascia stare il bunker, se no farai una brutta fine. Firmato: gli Amici di Golfo Aranci"».

Episodio questo che van ben oltre il vandalismo e che ha spinto Ena a presentare una seconda denuncia ai Carabinieri. «Non capisco questa ostilità — continua — ho solo cercato di salvare un pezzo della nostra storia. E invece di ricevere ringraziamenti, mi ritrovo minacce di morte».

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l'unico bunker integralmente restaurato della Sardegna, diventato motivo di orgoglio per il territorio di Golfo Aranci e meta sempre più conosciuta per turisti e appassionati di storia. Un piccolo gioiello che durante la manifestazione "Monumenti Aperti" del maggio scorso ha riscosso successo notevolissimo, con i miei alunni che sotto il sole, con grande impegno, hanno spiegato storia e caratteristiche del monumento ai tanti visitatori. Ena stesso, entusiasta, fu felicissimo di aprire il bunker per l'occasione e rimase lì tutto il giorno insieme a noi, condividendo con passione l'esperienza. Eppure, curiosamente, non mi risulta che nessuno degli attuali critici si sia presentato per ascoltare le apprezzate spiegazioni e conoscere davvero ciò che oggi contesta.

Vale la pena ricordare che a Golfo Aranci esistono diversi altri bunker coevi, tutti in stato di deterioramento o riutilizzati impropriamente. La domanda sorge spontanea: perché nessuno solleva polemiche su quei casi di abbandono, mentre le accuse piovono sull'unico bunker recuperato e custodito? La risposta forse sta proprio qui: è infinitamente più facile criticare chi ha già fatto il lavoro che mettersi a farlo.

Il comitato Maremosso invoca ora "trasparenza e autorizzazioni non per uso personale" e chiede che "venga garantita la fruibilità pubblica del sito". Pretese comprensibili, se non fosse che le autorizzazioni sono già state ottenute regolarmente, la trasparenza è totale e la fruibilità pubblica è garantita in primis dal fatto stesso che il bunker esiste ancora e non è più una discarica. E a chi chiede di entrare per la visita spesso e volentieri viene pure offerto da bere dal custode titolare della concessione: Giovanni Antonio Ena. Quanto all'accusa di "uso personale" verrebbe da ridere se non ci fosse da piangere: l'unico "profitto" che Ena ha mai tratto da questa storia sono le non poche migliaia euro di spese annuali per la concessione e per il mantenimento del bunker, pagate dal suo conto corrente.

Chi davvero vuole tutelare il patrimonio storico di Golfo Aranci faccia quello che ha fatto il signor Ena per gli altri bunker abbandonati: trovi sponsor, avvii adozioni, promuova progetti di recupero. Oppure metta mano al proprio portafoglio e al proprio tempo per girare da un ufficio all'altro, come ha fatto lui. Ma smetta di attaccare chi ha già realizzato quello che tutti avrebbero dovuto fare e nessuno ha mai voluto fare. O non è capace di fare.

Un bene comune si tutela con i fatti, non con i post su Facebook. E i fatti dicono che se il bunker di Cala Moresca è salvo, lo si deve all'impegno costante, al denaro e alla passione di un uomo che merita gratitudine, non attacchi gratuiti. Resta una sola domanda, legittima: perché scatenare una polemica proprio contro l'unico esempio virtuoso? Cui prodest?