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Arzachena, intervista a Veronica Demuro: una voce che sa riconoscere il cuore

Con "Il cuore che continuò a cucire" si va alla scoperta dei sentimenti senza tempo

Arzachena, intervista a Veronica Demuro: una voce che sa riconoscere il cuore
Arzachena, intervista a Veronica Demuro: una voce che sa riconoscere il cuore
Laura Scarpellini

Pubblicato il 23 October 2025 alle 14:00

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Arzachena. In una sera che sembrava tutto fuorché comune, lo Spazio Nexus in via San Pietro ad Arzachena lo scorso 17 ottobre si è animato alla presenza della scrittrice Veronica Demuro, autrice del romanzo "Il cuore che continua a cucire", aprendole le braccia come si accoglie una voce che sa essere casa. Il cuore della memoria cittadina che ha veduto i natali dell'autrice e che pulsa prepotentemente attraversato le pagine del suo libro, si comporta come se ogni accento, ogni respiro, fosse una mano che si tende, pronta a ricucire il tessuto fragile della comunità.

Il saluto si trasforma quasi a divenire una cruna dell’ago: Veronica Demuro, nata e cresciuta qui prima di trasferirsi a Sassari. è sempre stata amata da tutti. I suoi ritorni sono sempre frequenti e non sanno mai di ritorno o di addii, perchè lei è costantemente qui nel cuore della Gallura.“Non scelgo mai la strada più breve”ha esclamato poi fissando il leggio non come un ostacolo ma come un confine da superare. E ha passato il primo turno di lettura senza alzare lo sguardo, per non spezzare l’emozione che traboccava nei volti presenti: una foschia di occhi lucidi e sorrisi trattenuti, una sfilata di memorie che chiedevano di essere ascoltate.

Il pubblico ha risposto con un calore che ha sorpreso persino lei. Qualcuno è rimasto fuori dalla porta, altri non hanno potuto portare via una copia del libro. Eppure l’impressione generale è stata quella di una chiave consegnata a sorpresa: chi c’era, chi ha cercato di esserci, chi ha sentito. “La vera Arzachena è quella che era lì ieri sera”, ha dichiarato, e la sua frase ha assunto il timbro di una verità condivisa, un abbraccio autentico che ha reso il luogo più forte, più presente.

Nel suo libro la città diventa personaggio, tessuto di storie che si svelano al ritmo delle emozioni. “Arzachena è più di un luogo: è un abbraccio di volti sinceri, una voce che sa riconoscere il cuore, una pietra che custodisce memoria e futuro”. È qui, tra le pieghe di questa citazione, che l’intervista prende campo: non solo una presentazione al grande pubblico, di una scrittrice, ma un ritratto collettivo di una comunità che ha imparato a riconoscersi, a riconoscere il proprio tempo, a custodire quel futuro che, nelle mani di Veronica Demuro, sembra avere già una trama.

Nell'incontro che segue, Veronica Demuro parlerà della sua scrittura come modo per restare umani in un mondo che corre. E forse ad ogni domanda, risponderà con una frase-guida: la forza non sta nell’orgoglio, ma nel coraggio di restare aperti a chi è accanto, in questa meravigliosa terra di Arzachena che respira di vita.

Il cuore che continuò a cucire è tratto da una storia vera: come ha trasformato un fatto reale in narrativa, e quale frammento di Antonella ha voluto mettere al centro per restituire la sua dignità?

"Il cuore che continuò a cucire non nasce da un progetto, ma da un bisogno: quello di ricordare. Dopo due anni segnati da perdite profonde, la paura più grande era dimenticare. Dimenticare le risate, i silenzi condivisi, l’amicizia che aveva cucito legami invisibili ma indissolubili. Questo libro non vuole drammatizzare, ma illuminare. Antonella non è definita dalla sua morte, ma dal sogno che ha inseguito con tenacia: diventare stilista, trasformare il dolore in bellezza, emanciparsi attraverso la creatività. Il suo gesto finale, la donazione degli organi, è un atto d’amore che attraversa il tempo e lo spazio. Alla base di queste pagine vivono temi universali, ancora troppo poco scontati: la rinascita, la resilienza femminile, la memoria attiva, le relazioni autentiche, l’amicizia che salva.  È un libro che cuce, ricuce, e continua a cucire".

La cucitura diventa metafora: cosa rappresenta per lei il gesto di trasformare ferite in bellezza, e come ha tradotto questa idea nella costruzione delle scene e dei personaggi?

"La cucitura diventa metafora. Non per chiudere le ferite, ma per trasformarle in bellezza. Antonella è in ogni donna che osa, in ogni madre che tace e dona, in ogni amico che resta, in ogni sogno che non si arrende all’età. Questo libro non racconta una fine, ma una continuità. Nonostante non ci sia più, Antonella è vita:  nelle scelte coraggiose, nei gesti d’amore, nella memoria che non si limita a ricordare, ma agisce, ispira, trasforma. Il cuore che continuò a cucire è un atto di resilienza,  una carezza alla memoria attiva,  un inno all’amicizia che non conosce confini".

In che modo l’origine e la comunità di Arzachena hanno influenzato la scrittura e la scelta dei dettagli, e cosa vuole comunicare agli abitanti della tua terra attraverso questo romanzo?

"Essere cresciuta ad Arzachena ha plasmato ogni sillaba della mia scrittura. In quella terra ho imparato che i legami non sono solo affetti, ma architetture dell’anima. La mia famiglia, numerosa e vibrante, mi ha insegnato che l’amore si coltiva nella quotidianità, nei gesti semplici, nella presenza. Le amicizie, alcune vive da 43 anni, sono diventate colonne portanti: sacre, come certi silenzi condivisi sotto il cielo di casa. I miei genitori mi hanno donato qualcosa di raro: la libertà di pensare, anche quando sbagliavo. Mi hanno lasciato spazio per diventare una libera pensatrice, e questo ha fatto della mia scrittura un luogo aperto, dove il giudizio lascia il posto alla comprensione. Sono partita a 19 anni, ma Arzachena non mi ha mai lasciata. Sassari mi ha accolta come una figlia, ma il legame con la mia terra è qualcosa di magico, un filo invisibile che mi riporta sempre lì, dove tutto ha avuto inizio. Attraverso questo romanzo, vorrei dire agli abitanti della mia terra che ogni storia è un ritorno. Che le radici non sono catene, ma ali. Che la bellezza dei nostri legami può diventare parola, poesia, memoria condivisa. Scrivere è stato il mio modo di ringraziare  sia Arzachena  che Sassari per avermi insegnato a sentire, a credere, a cadere, a raccontare".

Quali progetti ha per il futuro—nuovi romanzi, letture pubbliche o workshop di scrittura—e come vuole continuare a intrecciare la sua storia personale con la comunità locale e i lettori oltre la Sardegna?

"Ho scelto di non fermarmi più: la scrittura è la mia terapia, il mio respiro profondo. In silenzio, ho già terminato il mio secondo libro — un giallo, ma per ora preferisco lasciare che sia la storia di Antonella a continuare a parlare. Domenica 26 avrò l’onore di presentarla nella sua città natale, e sogno di ritrovare anche solo un frammento dell’accoglienza calorosa che ho vissuto ad Arzachena. Le mie presentazioni non seguono schemi tradizionali: sono esperienze emotive, accompagnate da musiche originali composte appositamente per il libro. Per questo, il mio grazie più sincero va a Franco e Peppone, compagni di avventura e di armonie. Il mio sogno?  portare la mia Sardegna e le mie storie oltre il nostro bellissimo mare".