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La mia personale storia del calcio olbiese

La mia personale storia del calcio olbiese
La mia personale storia del calcio olbiese
Settimo Momo Mugano

Pubblicato il 05 May 2018 alle 23:57

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Solo da qualche anno sono tornato ad interessarmi del calcio olbiese deluso della crisi profonda che l’Olbia ha vissuto nel recente passato in cui la passione calcistica della città si era affievolita a tal punto da rischiare di perdere completamente il ricordo delle grandi stagioni vissute nei tempi d'oro. Erano gli anni nei quali l’Olbia primeggiava non soltanto in ambito regionale ma anche e soprattutto in quello nazionale. Ho vissuto intensamente, non solo da spettatore, quel meraviglioso periodo in cui il calcio sardo era dignitosamente rappresentato anche dal Cagliari e dalla Torres che avevano a disposizione maggiori mezzi per allestire e mettere in campo squadre di rilievo che spesso subivano entusiasmanti lezioni di calcio dai Bianchi dell’Olbia. Era quello il periodo che io ho vissuto con grandissima passione ed orgoglio assistendo alle sue partite quasi fin dagli anni dell’infanzia varcando il cancello d’ingresso allo stadio comunale dando la mano (avevo sei-sette anni) ad uno dei tifosi più grandi di me munito di regolare biglietto d’ingresso. Crescendo, per assistere alle partite dell’Olbia in trasferta, usavo un altro trucco. Mi univo al gruppo dei tifosi che usavano il treno per arrivare fino a Sassari o a Ozieri e mi nascondevo sotto i sedili della terza classe con la complicità dei tifosi che accompagnavano la squadra in trasferta. Attentissimi al passaggio del controllore del treno rendevano sicuro il mio nascondiglio coprendomi con le loro gambe.

La mia passione per il calcio è nata nei primi giorni della scuola elementare sui marciapiedi di via Regina Elena e, poco più tardi, sulla strada asfaltata dell’inizio di via Roma dove si giocava con la classica palla di stracci. Bastavano una lunga calza, un po’ di giornali e il problema era risolto. Certo non potevi palleggiare, non potevi usare la testa per colpirla, ma il divertimento era assicurato. La palla di gomma arrivò per la prima volta grazie al Natale. Tonino Rasenti la mattina di quel fortunato e per lui ricco Natale si presentò in strada con una grossa e colorata palla di gomma. Addio palle di stracci, addio scarpe rotte e addio rovinose cadute.

Il calcio dell’infanzia si trasformò in una festa continua. Ci trasferimmo in via Roma, dove le porte erano segnate da due grosse pietre. Il campo di gioco cominciava dall’inizio della via asfaltata e finiva quasi al negozio di vini (su zilleri) del palazzo della famiglia di Tony De Rosas. Più tardi ci trasferimmo nel grande piazzale del Rione La Croce, oggi completamente cancellato dalla nascita della caserma dei Vigili del Fuoco e da altre costruzioni.

Le nostre partite di calcio sul terreno di via Roma spesso venivano interrotte da precipitose fughe causate dal fragoroso rumore provocato dalla rottura dei vetri delle finestre della casa del popolare del fotografo Derosas, noto Meloni, oppure dal recupero forzato delle palle che puntualmente finivano oltre il muretto del giardino di Zia Ninalda, dove adesso campeggia una grande croce. La rottura dei vetri di quelle finestre ci imponeva di salvare furtivamente la palla e di correre a nasconderci per evitare la reazione del fotografo Meloni il quale, lasciando improvvisamente il suo lavoro e affacciandosi alla porta d’ingresso del suo studio, non riusciva mai a cogliere in fallo gli autori del periodico “attentato” alla sua casa. Più facile era il recupero del pallone nel giardino di Zia Ninalda, si saltava il basso muro e, attenti a non farci cogliere in fallo dalle sue due figlie, la palla tornava in gioco. Nel campo del Rione La Croce, invece, il pericolo era diverso, un tiro sbagliato e la palla finiva in mare. Nella tarda primavera, o in estate, il suo recupero era facile: un tuffo, una breve nuotata e il problema era risolto. In inverno, però, per non perdere la palla bisognava fare la colletta per pagare il proprietario d’una delle barche dei pescatori o dei cozzari della zona che provvedevano al recupero. Se, invece, in squadra c’era uno dei loro figli, tutto diventava più semplice e meno costoso.

Per ricordare le mie iniziali e personali pagine di storia del calcio olbiese, mi sono lasciato prendere da troppi ricordi e da un pizzico di nostalgia. Chiedo scusa e torno in argomento.

[caption id="attachment_97983" align="alignleft" width="439"] La squadra della Terranova Pausania (foto Eredi Amucano)[/caption]

Il fondatore dell’Unione Sportiva Terranova Pausania (1905) fu lo spedizioniere Egidio Serra. Della sua famiglia ad indossare la maglia dell’Olbia ricordo con piacere il figlio Sergio, che ha esordito in serie C nel 1948 e ha continuato a lungo a far parte della squadra.

Subito dopo la fondazione le varie squadre che si susseguirono in quegli anni riuscirono a recitare ruoli di primo piano nei campionati regionali. Più tardi, cambiato il nome della città, L’Olbia calcio si meritò la prima promozione in serie C grazie alla passione e alla politica calcistica del presidente Angelo Gana. I successi nei campionati regionali, subita la retrocessione dalla serie C, sotto le presidenze Vitiello,Cruciani e Achille Pinna che guidò la squadra alla riconquista della promozione in Serie C. Ad Achille Pinna successe alla presidenza Gesuino Sardo che rimase in carica fino al 1948.

Grazie alla testimonianza fotografica pubblicata qualche anno fa sul volume della Editoriale Documenta,In Olbia, curato da Patrizia Anziani e Pinuccia Degortes, tra i giocatori di quei primi campionati ricordo il giovanissimo Paolo Degortes ( chiamato da tutti Palleddu), che fece parte della squadra nella quale giocò anche mio fratello Enzo e Antonio Amucano.

Il primo Consiglio Direttivo, dopo la fondazione della Società, elesse presidente il dottor Marco Agostino Amucano che rinunciò, però, subito alla carica a favore di Angelo Gana rimasto in carica fino al 1908.

Subito dopo la fondazione le varie squadre che si susseguirono in quegli anni riuscirono a recitare ruoli di primo piano nei campionati regionali. Più tardi, cambiato il nome della città, L’Olbia calcio si meritò la prima promozione in serie C grazie alla passione e alla politica calcistica del presidente Angelo Gana. I successi nei campionati regionali, subita la retrocessione dalla serie C, sotto le presidenze Vitiello, Cruciani e Achille Pinna che guidò la squadra alla riconquista della promozione in Serie C. Ad Achille Pinna successe alla presidenza Gesuino Sardo che rimase in carica fino al 1948.

Le due squadre di calcio della società terranovese e dei primi anni dell’Olbia del periodo pre conflitto mondiale, partecipando alla prima e seconda serie dei campionati regionali, erano composte esclusivamente da calciatori locali. Di quegli anni e di quei giocatori mi è rimasto il ricordo di Antonio Spano, meglio conosciuto col soprannome di “Rondello” che fu per lungo tempo uno dei giocatori più amati ed esaltati dalla tifoseria. Con “ Rondello” ricordo Salvatore Satta e il giovane Mariolino Deiana, detto “Coccia”, che perse la vita a bordo di una delle navi italiane durante il conflitto mondiale. Altri famosi calciatori olbiesi sono stati Francesco Picciaredda il famoso (Pinzighittu), Paolino Careddu, piccola, veloce e micidiale ala sinistra, Flavio Piras e Piero Spano, l’amatissimo maestro elementare e giocatore di grande classe che terminò la carriera nella società dell’Ozierese Calcio.

[caption id="attachment_98378" align="alignnone" width="809"] Particolare della foto di proprietà Eredi Amucano. Da sin: Antonio Amucano, [...], Enzo Muganu e il giovane Paolo Degortes noto Palleddu[/caption]

Nei primi anni del conflitto, poi, a vestire la maglia dell’Olbia arrivarono giocatori di altre società che fecero crescere il tasso tecnico delle squadre guadagnandosi l’ammirazione e la simpatia dei tifosi. Alcuni dei loro nomi li ricordo ancora: Esposito (noto Bistecca), Zandano, Patalani, Miglio, Leonardi e Squarcialupi e Benuzzi. Quest’ultimo, avendo sposato una ragazza olbiese, non lasciò più la Sardegna. Con la squadra composta sia da calciatori locali che calciatori di altre società, l’Olbia ottenne in molti campionati piazzamenti di assoluto rilievo: settimo posto nel campionato di Prima Divisione del ’40 – ’41, secondo posto in quello del ’42 – ’43 alla fine del quale il Campionato venne sospeso a causa dell’intensificarsi del conflitto che impedì all’Olbia di partecipare ai campionati del Continente fino a tutto il 1946.

Un ricordo particolare meritano i campionati disputati dal 1944 a tutto il 1945 caratterizzati da accesissime sfide strapaesane durante le quali non si “combatteva” solo sul rettangolo di gioco, ma erano anticipate da violenti scontri tra le tifoserie delle nostre avversarie di turno: Cagliari, Torres di Sassari, Calangianus, Tempio e l’Ilva di La Maddalena.

Gruppi di tifosi olbiesi aspettavano quelli della squadra ospite per dare il via, prima gli sfottò e alle offese verbali, poi a violenti tafferugli e violente “ scazzottate”. Io ragazzo di otto o nove anni, avevo il compito di tenere le giacche di mio fratello Ettore, e dei suoi amici impegnati in quelle colluttazioni ai quali partecipavano, oltre mio fratello, Sesto Manzoni della famiglia dei commercianti di sughero, Nardino Defilippi, la cui famiglia aveva aperto un bar lungo Corso Umberto, Pippo e Mario Defilippi, che avrebbero più tardi gestito la peschiera di San Teodoro, Giovanni e Peppino Antona e Agostino il fratello di Tony Derosas.

A questo gruppo, non ricordo bene separtecipasse anche l’oschirese naturalizzato olbiese Bore Solinas, fratello del mio caro amico Claudio prematuramente scomparso. Al gruppo dei tifosi “facinorosi” non mancava mai il giovane Guido Bernardi al quale venne appioppato il poco onorevole ruolo di “invasore di campo” nel quale si esibì soltanto una volta durante una gara giocata dall’Olbia sul campo dell’Ilva di La Maddalena. Guido malgrado non abbia, dopo quell’episodio, invaso più i campi di calcio dove si esibiva l’Olbia, ha sempre conservato la fama di “ invasore”.

Da ricordare che i tifosi olbiesi, che si recavano a sostenere la loro squadra in trasferta, ricevevano sempre questa specie di “cordiale benvenuto” dalle tifoserie locali che richiedeva, nella gara di ritorno, uguale e “cordiale benevenuto” da parte dei tifosi olbiesi. Questi scontri non avevano mai fine perché ogni fazione si arrogava il diritto della vendetta. ( CONTINUA).

©Settimo Momo Mugano