Wednesday, 03 December 2025
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Pubblicato il 03 December 2025 alle 09:30
Olbia. Il dibattito sul futuro del centro storico di Olbia torna ciclicamente alla ribalta. In questa lettera, una cittadina olbiese offre una testimonianza diretta e senza filtri su ciò che, giorno dopo giorno, sta spegnendo la vita del corso.
scrivo per testimoniare un fenomeno evidente: il cuore della città si sta spegnendo. Non per fatalità, ma per scelte che hanno reso impossibile abitarlo.
Negli ultimi anni si è perseguita l'idea di trasformare il centro in un contenitore-vetrina turistico, un salotto affacciato sul mare da mostrare scintillante in estate, quando arrivano i visitatori, e da lasciare in ombra — e alle pisciate notturne sui portoni, tanto fuori stagione nessuno vede — per il resto dell'anno.
Il risultato? La portorotondizzazione del corso: una copia fuori stagione di Porto Rotondo, priva dei presupposti storici e strutturali che permettono a una località turistica di reggere il vuoto invernale.
La verità è semplice: un centro storico vive se è abitato.
E i residenti, che per secoli (per non dire millenni) hanno reso vivo il corso con la loro presenza quotidiana, se ne sono andati, o sono in procinto di andarsene. Non per capriccio o snobismo, ma perché il centro è stato reso impraticabile: parcheggi blu ovunque, solo qualche agevolazione per chi ci vive, ma sempre limitante rispetto al passato, assenza di servizi essenziali come supermercati e una farmacia vera, difficoltà perfino a scaricare due buste dell'acqua.
Così, migliaia di persone hanno lasciato una dopo l'altra le loro case. Chi ha potuto ha venduto, chi ha comprato spesso ha convertito gli immobili in B&B che vivono soltanto d'estate.
Eppure, ancora qualcuno si stupisce che a novembre il corso sembri un deserto. E proprio il primo cittadino! Si rimprovera ai commercianti di non tenere aperto, come se potessero sopravvivere di buone intenzioni e slogan. Ma non sono i negozi a generare vita: sono i residenti. A questo quadro già compromesso si aggiunge un fenomeno che sfiora il grottesco: il proliferare inarrestabile di enormi supermercati, nati come funghi negli ultimi decenni. Dove sia la popolazione capace di riempire tutti questi colossi commerciali è un mistero. Nel frattempo, ogni nuova apertura sottrae ulteriore ossigeno a un centro storico già cianotico.
La gente non va più "in città": va a prendere il caffè nei centri commerciali, a fare la passeggiata nei "non luoghi" climatizzati, freschi d'estate e caldi d'inverno. Questi spazi, progettati per il consumo, sono diventati — paradossalmente — i nuovi luoghi di aggregazione: non la piazza, non il corso, ma il corridoio di un ipermercato.
È il risultato di anni di licenze concesse senza misura, senza una visione urbanistica e senza una strategia sociale. E allora è inevitabile la domanda: cosa vogliono questi politici? Prima svuotano il centro, poi pretendono che chi è rimasto faccia miracoli.
C'è poi un aspetto che nessuno affronta.
Coloro che criticano la "morte del centro storico"… ci vivono?
Conoscono il caldo, la mancanza di parcheggio, il rumore estivo, i karaoke fino a notte fonda, l'assenza di servizi, il traffico quotidiano, le risse notturne, le aggressioni ai passanti, i vandalismi?
La risposta è sotto gli occhi di tutti.
La maggior parte degli amministratori, a cominciare dal sindaco, non vive nel centro storico. Conoscono i problemi per sentito dire, dai rapporti della polizia municipale, magari dai giornali. Ma non li vivono. Vivono in zone tranquille, immerse nel verde, magari con piscina, lontano dalla movida, dal frastuono, dal problema di portare la spesa in casa senza posteggiare a mezzo chilometro. Vivono dove si sta bene — e nulla vieta che sia così — ma da quelle posizioni privilegiate è facile chiedere agli altri di "tenere duro", "tenere aperto", "creare vita". Forse, prima di impartire lezioni, sarebbe opportuno condividere la vita reale di chi vive davvero in centro.
Basterebbe trascorrere un'estate in un appartamento sul corso, con il sole che spacca, zero parcheggi, servizi inesistenti e schiamazzi fino a notte fonda. Dopo un'esperienza del genere, certe dichiarazioni suonerebbero diverse. Più realistiche. Più prudenti.
Perché la verità è questa: il corso non si rianimerà con proclami, ma riportando persone. E non si riportano persone imponendo sacrifici unilaterali, ma ricostruendo le condizioni per viverci: servizi, agevolazioni, mobilità intelligente, un progetto vero.
Il centro storico di Olbia non è un villaggio turistico. È — o dovrebbe essere — il cuore pulsante della città: dove si nasce, si vive, si muore.
Non Porto Rotondo, insomma.
E una città vive quando i suoi abitanti non scelgono di andarsene.
Una firma olbiese
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