Saturday, 13 September 2025

Informazione dal 1999

Fotografia, Generale

Olbia negli occhi di Giuseppe Ortu: ritratto di un fotografo della memoria

Gli scatti del noto fotografo raccontano le storie di chi ha lasciato un segno indelebile nella nostra comunità

Olbia negli occhi di Giuseppe Ortu: ritratto di un fotografo della memoria
Olbia negli occhi di Giuseppe Ortu: ritratto di un fotografo della memoria
Laura Scarpellini

Pubblicato il 12 September 2025 alle 08:00

condividi articolo:

Olbia. Il fotografo olbiese Giuseppe Ortu torna al centro della scena con una nuova lettura dell’immagine: un testimone visivo capace di trasformare momenti ordinari in veri e propri racconti carichi di luce, colore e sensibilità. Da anni lo vediamo essere al servizio di eventi, ritratti e reportage di alto livello, Ortu mette al centro la persona e l’istante, sfruttando una tecnica acuta e una curiosità inesauribile per catturare emozioni autentiche. Nel corso del nostro incontro scopriremo cosa muove l’obiettivo di un professionista che osserva il mondo con occhio attento e un cuore che pulsa vivacemente, quali sono le sfide della nuova fotografia contemporanea e quali storie vive per cercare sempre una nuova cornice, e una nuova suggestiva angolazione. Tra progetti recenti, riflessioni sul mercato, collaborazioni e la costante ricerca della "luce giusta", Ortu racconta attraverso il suo recente lavoro "Tanto di cappello"come la città di Olbia si trasformi in uno studio fotografico a cielo aperto e come ogni scatto possa diventare memoria.

In qualità di fotografo che alterna progetti artistici e impegni commerciali, come riesce a mantenere una coerenza stilistica tra le immagini più intime e quelle orientate al lavoro su committenza, e cosa significa per lei essere un “artista dell’obiettivo” oggi?

"Mi son formato allo IED – Istituto Europeo di Design – dove ho seguito l’indirizzo dedicato alla fotografia editoriale e pubblicitaria. Quell’esperienza è stata la base solida su cui ho costruito il mio percorso professionale, fornendomi competenze tecniche e un metodo di lavoro rigoroso. Con il passare degli anni, la mia ricerca fotografica ha oltrepassato i confini della fotografia commerciale, avvicinandosi a un linguaggio più intimo e riflessivo, attento agli aspetti artistici, sociali e culturali. Da qui nasce la mia passione per la cosiddetta “fotografia Fine Art”, che studio con dedizione e pratica costante. La padronanza delle tecniche di ripresa, maturata nel mondo della comunicazione e della pubblicità, mi ha permesso di liberare la mente dalle esigenze tecniche per concentrarmi pienamente sul pensiero e sul racconto fotografico. Oggi il mio lavoro non è più solo l’esercizio di uno stile, ma un percorso che mi rappresenta pienamente, sia come artista sia come persona.Per me, la fotografia Fine Art è uno strumento capace di coniugare dimensione estetica ed emotiva. Attraverso l’obiettivo ho imparato a osservare più a fondo le persone, le cose, la vita stessa. È un mezzo che mi ha permesso di sviluppare una sensibilità nuova, un approccio che intreccia tecnica e sentimento, visione e introspezione. La fotografia Fine Art è un linguaggio dell’anima: un dialogo silenzioso che attraversa il tempo, intreccia pensieri, risveglia coscienze. Racconta non solo ciò che vediamo, ma ciò che sentiamo, ciò che intuiamo, ciò che forse non abbiamo ancora il coraggio di esprimere. Nei miei lavori, l’immagine non è sempre una mera rappresentazione del reale. Spesso diventa visione: non un semplice attimo fermato nel tempo, ma un’emozione che si apre verso un orizzonte più ampio, sollevando domande e suggerendo riflessioni".

Il suo ultimo lavoro celebra figure attive nel tessuto cittadino: cosa cerca, oltre l’espressione e la postura, per raccontare una storia visiva completa e suggestiva?

“Tanto di Cappello” è un progetto che nasce dal desiderio di rendere omaggio alla memoria e all’identità della mia città. C’è un filo invisibile che attraversa i giorni, le piazze, le case e le botteghe: è un filo fatto di voci, mani, gesti, sogni. È il filo della memoria, che cuce insieme le storie di chi ha dato forma all’anima del nostro territorio. Il titolo stesso, Tanto di Cappello, è un inchino poetico, un segno di riconoscenza verso chi ha camminato tra noi lasciando orme profonde. Non tanto per il rumore che ha fatto, ma per la capacità di vivere il silenzio con dignità, passione e amore. Attraverso la fotografia ho voluto restituire i volti e i pensieri, gli sguardi pieni di vita, i racconti sussurrati tra le rughe e nei sorrisi. Mi sono lasciato attraversare dalle loro parole, cercando di indossare, simbolicamente, i loro cappelli e i loro abiti per guardare il mondo dai loro occhi, per sentire il tempo con il loro cuore.
In ogni scatto c’è una carezza. Nei miei bianco e nero c’è un ponte tra presente e ricordo. Perché credo che la fotografia abbia proprio questo dono: rendere eterno ciò che è destinato a svanire, trasformare la luce in memoria e la memoria in poesia. Questo progetto è un tributo a tutti coloro che hanno vissuto, costruito, sognato. A chi ha insegnato, condiviso, accolto, custodito. A chi ha lasciato un segno, anche solo con un gesto gentile. A tutti loro va il mio “tanto di cappello”. Con rispetto, con gratitudine, con emozione".

La recente mostra ha percorso diversi luoghi di Olbia e si andrà a concludere al Museo Archeologico: in che modo contesto ambientale e pubblico influenzano la sua scelta delle immagini e la loro presentazione?

"Il progetto “Tanto di Cappello” è nato con un sogno: quello di trasformarsi in una mostra itinerante, capace di portare la fotografia oltre i confini delle gallerie e dei musei, fino a raggiungere piccole realtà culturali, associazioni, spazi condivisi. Luoghi forse più semplici, ma ricchi di umanità, dove il desiderio di coltivare e diffondere cultura è il vero motore. Credo nella forza della fotografia, nella sua capacità di arrivare ovunque e di parlare a chiunque. La fotografia crea ponti, genera incontri, abbatte barriere. Riesce a unire persone e pensieri, ad avvicinare ciò che a volte sembra distante, a dare valore alla diversità.
Per me la fotografia non è mai un oggetto inerte da guardare in silenzio: è vita, respiro, relazione. Mi piace immaginarla come uno spazio vivo, un luogo dove l’immagine non resta chiusa nella cornice, ma si apre e diventa occasione di dialogo, di riconoscimento, di emozione condivisa. Vorrei portare la fotografia contemporanea vicino a chi è curioso, a chi si mette in cammino, a chi cerca ancora nell’arte una voce capace di toccare il profondo, quella parte fragile e preziosa di noi che troppo spesso resta inascoltata. Perché la fotografia non è soltanto ciò che appare davanti agli occhi. È ciò che accade dentro, mentre guardiamo. È ciò che rimane, anche dopo.E se un’immagine riesce a fermare anche solo una persona, a farla pensare, emozionare, o semplicemente a regalare un attimo di sospensione dal tempo quotidiano… allora credo che la fotografia abbia già compiuto il suo piccolo, grande miracolo.

Con sua figlia Elèna grande talento al pianoforte che ho avuto modo di intervistare tempo fa, scorre anche un dialogo creativo tra musica e fotografia. Quali valori pensa di averle  trasmesso come padre e mentore, e quali spunti siano scaturiti dalla sua sensibilità artistica e professionale?

"Credo fortemente nelle capacità di ogni individuo, che si tratti di un figlio, di un amico o di un allievo. Il talento e la vocazione artistica vanno certamente incoraggiati e sostenuti, ma non credo possano essere trasmessi solo per una questione genealogica o familiare. L’arte non è un’eredità di sangue: è studio, disciplina, dedizione, passione, ma anche la capacità di affrontare entusiasmi e smarrimenti, conquiste e delusioni. Ognuno, nel proprio cammino, arriva a sviluppare un linguaggio e uno stile personale, che non può essere semplicemente ereditato. Come padre, con Elèna, ho potuto solo incoraggiare e accompagnare il suo talento, rispettando la sua sensibilità e il suo percorso. Con lei il dialogo tra musica e fotografia è nato spontaneo: due linguaggi diversi ma vicini, che sanno incontrarsi nelle emozioni. Forse il valore più grande che ho potuto trasmetterle è la consapevolezza che l’arte non è mai soltanto un dono ricevuto, ma un viaggio personale che ci forma, ci mette alla prova e, passo dopo passo, ci rivela a noi stessi".