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Tempio: incontro con Daniele Ricciu voce del jazz sardo

L'artista che fonde tradizione e innovazione

Tempio: incontro con Daniele Ricciu voce del jazz sardo
Tempio: incontro con Daniele Ricciu voce del jazz sardo
Laura Scarpellini

Pubblicato il 31 October 2025 alle 08:00

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Tempio. Saxofonista e compositore nato nel 1979 a Olbia, Daniele Ricciu è una figura di raccordo tra tradizione e contemporaneità che ha iniziato a tessere il proprio itinerario sonoro a otto anni, entrando nella Banda Musicale Città di Tempio Pausania. Qui la musica di ottone e legni si presentava come una comunità, un laboratorio dove la tecnica incontrava l’emozione, e dove il clarinetto segnalava già la nascita di una voce che sarebbe diventata riconoscibile nel panorama sardo e oltre.

Il passaggio al sax tenore, compiuto nell’età adulta, non ha segnato una mera evoluzione strumentale ma  ha di fatto segnato l’emersione di una poetica timbrica, capace di attraversare i generi. Ricciu si è nutrito inizialmente delle pulsazioni pop e rock di Clarence Clemons e Chris White, per poi affidarsi all’impianto della grande tradizione jazz: Hawkins, Gordon, Young, Webster, Rollins hanno fornito i pilastri dell’interpretazione, mentre Parker e Adderley hanno aperto orizzonti di costruzione melodica agile e viscerale.John Coltrane e Wayne Shorter sono comunque da annoverare tra i suoi  massimi ispiratori  che hanno esercitato le maggiori influenze sull'artista olbiese. È la storia di come un sassofono possa diventare una lingua narrativa: una frase musicale che respira, dialoga con i silenzi, e tratteggia colori affumicati di swing e spazi di bebop.

Un periodo chiave è stato l’attenzione a Sal Genovese, da cui Ricciu ha assimilato una padronanza del registro basso e cavernoso, una profondità timbrica che ammanta la musica di una sensualità volutamente lessicale. Oltre al ruolo di esecutore Ricciu ha abbracciato la funzione di Direttore e Arrangiatore per la Banda Musicale Città di Tempio (2013-2015) e per la Tinto Brass Marching Band (2011-2016), trasformando strutture collettive in vetrine sonore dove l’arrangiamento diventa arte della sottrazione e della riconfigurazione.

La sua vocazione si può leggere anche nel vasto ricettario di brani originali e negli arrangiamenti che hanno attraversato jazz, pop e funk: una pratica che testimonia la sua capacità di ricercare brani evergreen con una lettura fresca, capace di restituire all’ascoltatore la memoria musicale in chiave contemporanea. L’esperienza live, consolidata dall’intrattenimento in contesti alberghieri del Nord Sardegna e del Trentino Alto Adige, ha affinato un senso scenico che privilegia l’interazione con il pubblico e la spontaneità dell’improvvisazione in contesti reali.

Il timbro di Daniele Ricciu trova una cifra distintiva anche nell’uso di sassofoni vintage prodotti dall’iconica casa Ida Maria Grassi. Il pezzo forte è il Tenore del 1977, noto come Grassi Ammaccato per la sua campana segnante: una caratteristica che, oltre a dare identità sonora, racconta una storia di artigianato e memoria che arricchisce la percezione di ogni live. In scena, la voce di Ricciu non è solo esecuzione: è interpretazione, ricerca di rapporto tra attesa e rivelazione, tra radici locali e orizzonti internazionali.

Questo profilo parla di un artista che guarda al passato con rispetto e al futuro con grande curiosità, costruendo un linguaggio musicale capace di dialogare con pubblico curioso, esperto e critico. Ricciu non propone solo repertorio, ma crea esperienze sonore che invitano a riflettere su come la musica possa raccontare territori, identità e trasformazioni sociali, offrendo al contempo una chiave di ascolto contemporanea per gli amanti del jazz, della fusione e della canzone strumentale.

Il suo lavoro di compositore attinge a discipline diverse come storia, cinema e psicologia. Come traduce queste influenze non musicali in idee concrete per pezzi sax che raccontano una storia?

Generalmente l'ispirazione che mi porta a scrivere dei brani originali nasce da un argomento, da un fatto di cronaca, un evento storico, oppure da una riflessione sulla società. Spesso, ancor prima di scrivere delle note, immagino il titolo. Per quanto ho potuto constatare, è un processo creativo inverso rispetto alla maggior parte degli approcci usati dagli altri musicisti, soprattutto dagli autori di Musica strumentale.

Accade quindi che una situazione, un fatto di cronaca, un fatto storico, una luce nel cosmo, un atteggiamento Umano, mi trasmetta qualcosa, e arrivi nella mia mente principalmente un ambiente musicale da creare, con le prime note che poi si traducono in una melodia. A questo punto, emerge l'esperienza e la preparazione del musicista, con l'utilizzo accurato di accordi e passaggi melodici che in qualche modo si integrano in tale "mood"; oltre all'immaginare, con l'aiuto dei miei musicisti, un suono non deciso su carta ma creato al momento, che induca suggestione, con l'improvvisazione, solistica e/o collettiva che è parte integrante e indispensabile per la riuscita del brano. Ecco, la nostra Musica non è quasi mai descrittiva in senso stretto (come può esser, ad esempio, la Musica de Le quattro stagioni di Vivaldi) ma Suggestiva.

Consiglio l'ascolto di brani come "Lampedusa", definita da un ascoltatore come un Grande Requiem Moderno e "Fiori e Tempeste", con la parte centrale che fa pensare all'arrivo e all'esplosione di un temporale, pur essendo realizzata solo con  strumenti acustici (sax tenore, pianoforte, contrabbasso, batteria). Saltuariamente ho utilizzato, soprattutto in passato, suoni reali per creare una sorta di breve film musicale, come nel brevissimo brano La Musica mi ripara, a cavallo tra Suggestione e Descrizione.

È da questo approccio che ho pensato di definirmi, in maniera un po' scherzosa, con l'ossimoro di "Cantautore senza parole".

Il suo sax Vintage, in particolare il Grassi Ammaccato del 1977, è diventato una vera e propria firma visiva e sonora. Quali sfide tecniche pone questo strumento e in che modo la sua caratteristica ammaccatura ispira le sue improvvisazioni o composizioni?

Il mio Tenore Grassi del 1977, che ho rinominato Ammaccato per la sua evidente ammaccatura sulla campana, è il mio strumento principale dall'autunno del 2009. Ovviamente l'ammaccatura, che desta da sempre curiosità negli appassionati (mi contattano per informazioni al riguardo da tutta Italia!), è rimasta non perché abbia un effetto tecnico sulla riuscita della mia Musica, ma solo per questioni di affetto.

Il feeling che si è creato con questo particolare e fortunato esemplare, non sono mai riuscito ad averlo con nessun altro strumento, anche se più prestigioso e dalla grande storia (tra questi un favoloso Conn Transitional del 1934 che tutt'ora possiedo).

Le sfide tecniche sono dovute al fatto che si tratta di uno strumento artigianale, imperfetto, con vari problemi di intonazione e meccanica antiquata e con diverse parti perlomeno discutibili. Uno strumento che mette a dura prova anche la pazienza del mio prezioso riparatore.

Ma il suono unico che ottengo, e quella sensazione di prolungamento del mio corpo, e quindi delle mie idee musicali ed espressive, mi ha portato ad ovviare in qualche modo a tutte le difficoltà e ai contrattempi che questo tubo di ottone continua a darmi, sviluppando una tecnica originale di posizioni sulla tastiera del sax ed emissione del suono personale e riconoscibile.In definitiva lo considero il mio Compagno di Vita.

Nei suoi due album da leader ha affrontato temi provenienti da “Fatti Umani” e altre discipline. Qual è stata la fonte di ispirazione più inaspettata o sorprendente che ha guidato una traccia specifica?

Questa è certamente la domanda alla quale è più difficile rispondere, perché sono molto legato a diversi brani dei due dischi e alle storie e motivazioni che li hanno ispirati.

Brani come Tores, La Storia non cambia, Assenza e Ricordo, Valentina, Frammenti di Cuore (presenti nel primo disco, La Musica mi ripara, 2018), oppure White Hair, Dania, Love Nature, Lampedusa e Utopian World Peace (Fiori e Tempeste, 2024) trattano argomenti importanti, intimi o universali ed estremamente attuali. Mondi Paralleli (La Musica mi ripara) si distingue invece per la visione dell'universo umano e cosmico fatto di "strade" e cicli di vita e sociali uguali e contrari, dirigendosi su una dimensione più sensoriale, astratta ed evocativa.

Walzer della Sfortuna (Fiori e Tempeste), gioca sull'ironia beffarda, per me abbastanza insolita nelle composizioni, con un approccio lievemente fatalista a situazioni negative e che generano disagio, disincanto e in parte rassegnazione o accettazione degli eventi. Quindi, potrei dire che proprio quest'ultima sia stata l'ispirazione più sorprendente e inaspettata per un compositore come me, più spesso stimolato artisticamente da malinconie, tragedie umane e bellezza.

Guardando al futuro, quali progetti o collaborazioni vorrebbe esplorare per ampliare ulteriormente l’intersezione tra musica e le altre discipline che la interessano?

La mia propensione alla scrittura e alla creazione istantanea dell'improvvisazione non si esaurisce con i primi due dischi. Ho già scritto diversi altri brani, alcuni dei quali confluiranno in un prossimo disco del quale ho già alcuni elementi ispiratori e un titolo impostato in versione bozza, un probabile concept album che avrà a che fare con il concetto eterogeneo di Spazio-Tempo.

Vorrei continuare il mio percorso con i miei straordinari musicisti che hanno collaborato con me alla realizzazione di Fiori e Tempeste, con classe, dedizione, idee e professionalità e che sono: Simone Sassu, al pianoforte ,Lorenzo Sabattini al contrabbasso, Antonio Argiolas alla batteria. Campioni dei loro rispettivi strumenti, dotati di esperienza, carisma e sensibilità: tutte qualità indispensabili per la realizzazione delle mie composizioni. Inoltre, da qualche mese collaboro con la Funky Jazz Orchestra di Berchidda, diretta dal Maestro Antonio Meloni, con la quale sviluppiamo un repertorio accattivante e di grande qualità.

Porto avanti l'idea di un disco e uno spettacolo in sax solo, situazione musicale che mi permetterebbe di esplorare territori pressoché infiniti di sfumature di suono senza particolari paletti restrittivi.

Inoltre, un progetto a medio-lungo termine è quello della realizzazione di un disco di composizioni per pianoforte solo, con l'idea di far interpretare ogni brano da un diverso pianista.

Rimane anche il desiderio di aver l'occasione di confrontarmi con musicisti dell'avanguardia del Jazz italiano ed internazionale, dopo tanti anni di gavetta, ora che sento di aver la maturità per poter dire, e dare, qualcosa al mondo del Jazz e della Musica contemporanea in generale.