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Olbia, nel Trigesimo di Maria Teresa Satta il ricordo della figlioccia e un toccante racconto inedito

Oggi Santa Messa di Trigesimo di Maria Teresa Satta vedova Derosas

Olbia, nel Trigesimo di Maria Teresa Satta il ricordo della figlioccia e un toccante racconto inedito
Olbia, nel Trigesimo di Maria Teresa Satta il ricordo della figlioccia e un toccante racconto inedito
Patrizia Anziani

Pubblicato il 30 November 2024 alle 06:00

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Olbia. A trenta giorni dalla scomparsa di Maria Teresa Satta, vedova Derosas, il ricordo della sua figura si arricchisce attraverso la toccante testimonianza della figlioccia Maria Paola Demontis, nata in America, che ne rivela ulteriori sfaccettature umane di questa donna straordinaria, già ricordata per la sua sensibilità e il suo ruolo di custode delle memorie della vecchia Olbia.

Maria Paola racconta il suo primo incontro con la madrina nell'estate del 1970, quando, quattordicenne, arrivò per la prima volta dagli Stati Uniti con la famiglia: "Fummo accolti nella sua casa proprio nel periodo in cui aspettava l'ultima figlia. La sua dolcezza mi colpì immediatamente, tanto che chiesi che fosse lei la mia madrina di cresima". Un legame che si è trasformato in un rapporto profondo, tanto che Maria Teresa divenne per lei "una seconda mamma".

Un'accoglienza naturale, considerando che il padre di Maria Paola era cugino di Maria Teresa - le loro mamme erano sorelle - un legame familiare che ha reso ancora più speciale il loro rapporto.
Questa testimonianza aggiunge un tassello importante al ritratto di Maria Teresa Satta, nata nel 1939, che incarnava l'essenza della donna sarda: forte e mite al tempo stesso. Maria Paola ricorda anche il suo ruolo di mentore e il reciproco incoraggiamento: la spronò a scrivere e la incoraggiò a prendere la patente, segno di quella modernità che si sposava perfettamente con il suo essere custode di tradizioni.

Le pagine che ci ha lasciato nella rubrica OLBIAchefu nel 2017, con il suo toccante racconto autobiografico sull'infanzia, testimoniano la sua capacità di trasformare i ricordi in letteratura, dipingendo con delicatezza scene di vita familiare che sono parte del patrimonio culturale della comunità olbiese.

La sua vita è stata un esempio di amore incondizionato per la famiglia, l'impegno costante nella sua amata parrocchia di San Paolo Apostolo, i parenti e gli amici, come ricordano con affetto le figlie Annalisa, Maria Adele e Ilvania con i rispettivi consorti Giuseppe, Alberto e Francesco, gli adorati nipoti Federico, Roberta, Bruno, Andrea e Angelo con le loro famiglie, e i pronipoti Edoardo e Ginevra.

"Ogni estate, quando tornavamo in Sardegna," ricorda Maria Paola, "la prima tappa era sempre da lei". Un ricordo che testimonia come la sua casa fosse un punto di riferimento per tutti, un luogo dove i legami familiari si rinnovavano e si rafforzavano, custodendo quella tradizione di ospitalità tipicamente sarda che lei ha incarnato fino all'ultimo.

Oggi in suo ricordo, per onorare la sua memoria pubblichiamo un suo breve, toccante racconto inedito dal titolo "Era l'anno 1943", che testimonia la sua straordinaria capacità di trasformare i ricordi personali in una narrazione intensa e coinvolgente. È la storia di una bambina di quattro anni durante i bombardamenti del 1943, vissuta attraverso i suoi occhi innocenti e impauriti, che ci restituisce uno spaccato della vita olbiese durante la guerra, tra paure, sacrifici e quel forte senso di famiglia e comunità che ha sempre caratterizzato la nostra terra. 

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Era l'anno 1943, ricordo molto bene il suono di quelle sirene che ci allertavano per metterci al riparo dai bombardamenti. Avevo appena quattro anni quando vidi mamma, in tutta fretta, mettere in una valigia poche cose e qualche vestito, senza sapere per quanto tempo saremmo state via. Chiuse la porta e partimmo, dirette verso la campagna, alla casa della sorella di mamma.

Camminammo per ore e ore. Ero tanto spaventata. Vedevo mamma che faticava con quella valigia - a volte se la metteva in testa per portarmi in braccio. Faceva così: mi prendeva un po' in braccio, poi posava la valigia, poi tornava indietro a riprenderla. Io piangevo forte perché avevo paura che non tornasse a prendermi, e quelle sirene che non smettevano mai di suonare mi terrorizzavano.
Dopo aver camminato tanto, finalmente arrivammo nella benedetta casa di zia Maria Cittadini, sposata con zio Salvatore Figoni che faceva il curatore di un vigneto. Ma quello che trovammo non ci rallegrò per niente: c'erano i parenti nascosti dietro la porta con dei cuscini in testa, altri sotto i letti - quei letti alti dove ci potevi stare seduta sotto. Mi ricordo che dissi a mamma di mettere bene le gambe sotto il letto, perché nella mia testa di bambina pensavo che se cadeva una bomba le avrebbe tagliate le gambe.
Restammo nascosti fin quando gli aerei che volavano sopra le nostre teste non sparirono nel cielo. Solo allora potevamo tornare nella nostra casa. Quando rientrammo, mamma si accorse subito che qualcuno era entrato portando via delle nostre cose. Comunque, piano piano tornammo alla vita di tutti i giorni. Babbo in quel periodo si trovava in Corsica per lavoro, così mamma dovette affrontare tutto da sola, ma fu bravissima e riuscì a proteggerci.

©Maria Teresa Satta