Thursday, 08 May 2025
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Pubblicato il 07 May 2025 alle 15:36
Olbia. I cinghiali non sono più un avvistamento occasionale: sono una presenza stabile nei quartieri cittadini, si aggirano tra rotatorie, bidoni rovesciati e giardini distrutti. Alcuni residenti segnalano aggressioni a cani domestici, altri invocano abbattimenti selettivi per fermare l’invasione. E intanto i social traboccano di foto e video: famiglie di cinghiali che passeggiano indisturbate, altri che rovistano nell’umido davanti a scuole e condomini.
La pazienza di molti è finita. Ma c’è chi invita a non cedere alla scorciatoia del fucile e a guardare il problema con occhi più lucidi. Tra questi c’è Gabriele Bertacchini, naturalista e autore del libro "Ho visto volare i fenicotteri", che analizza il fenomeno in termini ben più complessi rispetto al semplice “sono troppi, abbattiamoli”.
Bertacchini è netto: "Con l’abbattimento, secondo me, no, non si risolve", ci ha detto. “Anche questa è una relazione e come in tutte le relazioni ci sono due componenti. Noi tendiamo sempre a eliminare la nostra parte di responsabilità. Gli animali si adattano, cambiano abitudini in base alla disponibilità di cibo che trovano, o alla modifica degli habitat naturali che abbiamo trasformato".
Nel suo libro spiega che i cinghiali non si riproducono in modo semplice o lineare. Vivono in società matriarcali, regolate da una femmina dominante – la “matrona” – che emette un feromone in grado di inibire la riproduzione delle più giovani.
Se si uccide la matrona? Il gruppo si disgrega e tutte le femmine si riproducono contemporaneamente. Invece di 6 o 7 piccoli l’anno, si può arrivare a 30. Altro che controllo.
Lo stesso vale per i maschi: abbattere gli esemplari adulti favorisce i giovani, che hanno una maggiore carica spermatica e danno luogo a cucciolate più numerose e geneticamente varie, più resistenti e adattabili. In parole povere: più spari, più aumentano.
“La gestione della fauna selvatica – scrive Bertacchini – non si può fare con calcoli su un foglio mentre si beve al bar e meno che mai con colpi di fucile in città che normalizzano la presenza delle armi come strumento di controllo”.
La sua è una visione più ampia, che guarda alla storia dei territori: “Pensare di gestire un mondo che esiste fuori di noi è presuntuoso”. Non si tratta di rifiutare ogni forma di intervento, ma di riconoscere che la natura risponde con logiche proprie, non semplificabili. E ogni errore, nella gestione, può amplificare il problema.
A questo si aggiunge uno studio pubblicato sulla rivista Pest Management Science dalla biologa Giovanna Massei del National Wildlife Management Centre (UK): “Wild boar populations up, numbers of hunters down?”. Lo studio mostra come la crescita dei cinghiali sia un fenomeno europeo e come la caccia non sia in grado di contenerne l’espansione.
Il caso emblematico è quello dei Colli Euganei, in Veneto: 15 anni di abbattimenti, quasi 10.000 cinghiali uccisi, milioni di euro spesi, operai forestali mobilitati e... problema irrisolto. I cinghiali sono ancora lì e ora si chiedono nuove risorse per sparare ancora.
Nel frattempo, il dibattito è acceso. Da un lato cittadini infuriati che non riescono più a usare i giardini, dall’altro amministratori in difficoltà e un'opinione pubblica sempre più polarizzata: tra chi vuole "fare pulizia" e chi ricorda che gli animali si sono adattati a un ambiente che abbiamo alterato noi.
Intanto, i cinghiali continuano a spuntare tra i marciapiedi, i cassonetti e i post indignati. Ma se sparare diventa l’unica risposta, allora è forse l’uomo ad aver perso l’equilibrio. Non il cinghiale.
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