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I pozzi sacri nuragici, la Dea Acqua e altre fantasie

Le più recenti voghe della fantarcheologia sarda

I pozzi sacri nuragici, la Dea Acqua e altre fantasie
I pozzi sacri nuragici, la Dea Acqua e altre fantasie
Rubens D'Oriano

Pubblicato il 18 June 2021 alle 06:00

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Olbia. I pozzi sacri nuragici sono sistemazioni architettoniche monumentali di fonti d'acqua  perenni (i pochissimi casi di pozzi esausti si devono a interventi moderni nelle aree circostanti che hanno modificato l'assetto idrogeologico naturale). Eretti tra l'Età del Bronzo Recente e Finale (gli studiosi oscillano tra le due cronologie), che si tratti di luoghi di culto è evidente dalla presenza, quando non sono stati saccheggiati, di numerosissimi ex voto, anche di grande pregio, e dalla prosecuzione della deposizione di offerte fino, in svariati casi, all'età romana. Si ritiene da parte dei più che si tratti di luoghi di culto dell'acqua in quanto divinità, quindi templi della Dea Acqua. Niente di più errato, per evidenti motivi. Anzitutto il culto animistico, che, appunto, divinizza elementi e fenomeni della natura (alberi, montagne, tempeste, ecc.) in quanto tali, e non come manifestazioni di un divino che è altro da essi (esempio: per i Greci il fulmine lo scaglia Zeus, ma non è esso stesso il dio), è uno dei primissimi aspetti nei quali si palesa il bisogno degli esseri umani di dare spiegazione al mondo. Quindi questi culti sono tipici esclusivamente di comunità umane ad uno stadio di complessità sociale, culturale, tecnologica ed economica molto elementare, ben lontano da quello di una civiltà raffinata ed evoluta come quella nuragica. In secondo luogo, qualora l'acqua fosse ritenuta una divinità essa stessa, ci aspetteremmo di trovare offerte anche nei pozzi "semplici", per così dire, che costellano numerosissimi, ben più di quelli sacri, la Sardegna nuragica, mentre così non è. Inoltre, non esiste alcun tipo di evidenza di questo culto in tutte le manifestazioni materiali della civiltà nuragica, neppure tra gli ex voto dei pozzi sacri stessi. Ma allora qual era il culto praticato nei pozzi sacri? Con tutta probabilità l'acqua era l'elemento centrale di un rituale che ignoriamo e che poteva realizzarsi in un ampio ventaglio di possibilità di gesti sacri che correlavano in vario modo il liquido alle offerte e/o agli esseri umani (sacerdoti e/o fedeli) che vi partecipavano: aspersione, ingestione, immersione ecc., a scopo di purificazione, santificazione ecc. È ovvio che in un tale contesto l'acqua dovesse pur avere un carattere sacro, o perchè dono o manifestazione di una divinità altra, come nel caso fulmine-Zeus sopra citato, o perchè sacralizzata in precedenza con apposite cerimonie inaugurali del luogo di culto, e via ipotizzando, ma certamente non era essa stessa la dea. Un esempio sarà chiarificatore: tra 3200 anni (quanti ne sono trascorsi dall'edificazione dei pozzi sacri) gli archeologi scavando un fonte battesimale potrebbero credere erroneamente che vi si adorasse la Dea Acqua, mentre il liquido è, appositamente sacralizzato nel nome della divinità ad esso immanente, solo l'elemento centrale del rito. Fino qui eravamo nell'ambito dell'archeologia. Ci addentriamo ora nel circo della fantarcheologia, e faremo quindi  "Tre passi nel delirio", per citare un bel film del 1968. Per bocca di guide turistiche ed operatori culturali a vario titolo, ahinoi in alcuni casi anche dotati di laurea in Beni Culturali e persino  di diploma di specializzazione in archeologia, al malcapitato visitatore di un pozzo sacro può capitare non raramente di ascoltare varie assurdità. Alcuni di questi mediatori le porgono in buona fede, non avendo gli strumenti, che pur dovrebbero possedere, per rendersi conto della totale inattendibilità scientifica di ciò che raccontano, mentre altri propalano fantasie consapevolmente, quindi in mala fede, perchè è chiara a loro un'inflessibile legge del mercato della pseudo-scienza: le favole vendono sempre meglio della realtà, da Omero a Harry Potter, soprattutto quando la seconda lascia margini di dubbio, di incerto, di provvisorio, come è tipico della scienza. Per motivi di spazio ci limitiamo a quattro esempi.   Circa 70 anni or sono, a puro titolo di esempio di ciò che poteva accadere in un pozzo sacro sul piano del rituale, un illustre archeologo citò il caso dell'ordalia, o "giudizio di Dio", una nota pratica sociale di (in)giustizia, che ancora nel Medioevo sottometteva accusato e accusatore ad una prova fisica durante la quale la divinità sarebbe intervenuta per dirimere la contesa favorendo l'innocente. Nel caso dei pozzi sacri la prova, secondo l'esempio, poteva essere connessa all'acqua. Ebbene, pare che i passi avanti della conoscenza e del metodo fatti negli ultimi 70 anni siano intervenuti invano: l'esempio è divenuto certezza e la favola dell'ordalia nei pozzi sacri viene ora raccontata come verità. Suonatore Itifallico di Launeddas - Museo Archeologico Nazionale di Cagliari Il secondo esempio è di ancor più strabiliante assurdità. Una delle più recenti voghe della fantarcheologia sarda è una sorta di pansessualismo (anche il sesso ha sempre molto appeal presso gli ingenui, come le favole), che vede, in un sempre crescente numero di reperti e monumenti nuragici, simboli e significati sessuali. Al contrario, è sufficiente uno sguardo, anche superficiale, ai numerosissimi bronzetti per rendersi conto che il sesso era un tabù per i Nuragici, almeno sul piano della sua rappresentazione in materia non deperibile;  infatti quelli nei quali sono nude parti intime si contano sulle dita di una mano e si spiegano bene a prescindere dall'attività sessuale in quanto tale. Anche l'interpretazione dei betili quali raffigurazioni falliche è ormai revocata in dubbio da molti studiosi. In questo ambito di infondato pansessualismo si va straparlando, tra l'altro, dello schema planimetrico delle tombe di giganti quale simbolo fallico e di quello dei pozzi sacri "a toppa di chiave" quale simbolo uterino, nel quale quindi l'acqua sarebbe il liquido amniotico. Et de hoc satis, perchè indagare le motivazioni di queste enormità non è compito da archeologo, bensì di studiosi di discipline di ambito psichico. Meditazione presso il Pozzo Sacro nuragico di Santa Cristina, Comune di Paulilatino (Or) Il terzo esempio è quello, letteralmente, della ricerca della luna nel pozzo, quasi come nella celebre favola turca medievale. Si ritiene da parte di alcuni che in specifici giorni dell'anno, a seconda del corso della Luna nel cielo, i Nuragici ammirassero, sempre per motivi religiosi, il suo riflesso nell'acqua del pozzo. Spettacolo al quale però essi mai assistettero, perchè in tutti i pozzi sacri la fonte era coperta da altre strutture, com'è facilmente verificabile nei molti casi nei quali esse sono conservate, ancorchè a volte in minima parte, ovvero anche quando la loro esistenza è riscontrabile solo grazie al sapere dell'archeologo. L'archeoastronomia è una disciplina seria ed è del tutto plausibile che anche le popolazioni nuragiche tenessero in alta considerazione alcuni fenomeni celesti e che orientassero in base ad essi alcuni edifici, ma per condurre tali studi la conoscenza dell'intera storia dei monumenti, dalla loro realizzazione ad oggi, è presupposto indispensabile. Ma il primato dell'assurdo spetta al ciarpame connesso allo sviluppo dell'inesistente culto della Dea Acqua ed ai derivanti festival della ritualità New Age che sempre più spesso vedono anche i pozzi sacri, assieme ad altri monumenti coevi, teatro di kermesse che sarebbero solo ridicole se non fossero un insulto alla Civiltà Nuragica e se non la dicessero lunga su un fenomeno sempre più preoccupante: la regressione culturale, e del semplice buon senso, di una fetta sempre crescente dell'opinione pubblica. Sacerdoti e adepti di un neopaganesimo a buon mercato, ispirati a confuse formulazioni inerenti non meglio specificate (perchè non specificabili, in quanto inesistenti) energie e frequenze vibrazionali, spacciate persino come terapeutiche (fatto grave sul piano legale e orrendo per chi, sofferente, con ingenua speranza vi si affida) immaginano di intraprendere presso i pozzi sacri cammini iniziatici e di purificazione, addirittura in connessione con civiltà extraterrestri la cui memoria, detta universale, sarebbe comune anche agli abitanti della Terra. Di conseguenza i seguaci di queste assurdità in un secondo tempo, singolarmente, scempiano i pozzi sacri abbandonandovi offerte, bagnandosi nella loro acqua, spesso camminando sulle fragili strutture murarie, in totale spregio della conservazione del monumento che, almeno per una elementare coerenza, dovrebbero essi stessi per primi rispettare, visto che lo ritengono la fonte di ogni bene, possibile e impossibile. Poveri pozzi sacri, povera Civiltà Nuragica, povera Sardegna antica e odierna. Poveri noi