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Lo zampino del leggendario Giagu Iscriccia in un omicidio di due secoli fa

Lo zampino del leggendario Giagu Iscriccia in un omicidio di due secoli fa
Lo zampino del leggendario Giagu Iscriccia in un omicidio di due secoli fa
Federico Bardanzellu

Pubblicato il 06 May 2018 alle 00:00

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Il libro più famoso dello scrittore lurese Filippo Addis (1884-1974) è dedicato a un personaggio realmente esistito: Giagu Iscriccia. Nelle quattro novelle, comprese nel libro, Addis descrive alcune vicende di colui che, secondo l’autore, era un “ladro abituale, assassino d’occasione, profanatore di tombe, spogliatore di cadaveri”. Secondo Addis: “in altre terre e in altri tempi [Giagu] sarebbe stato un audace capitano di ventura, un formidabile organizzatore d’incursioni e di razzie, la lancia spezzata di un signorotto o, meglio, un signorotto egli stesso… non volle compagni, non patì rivali; e se fu, come cento altri, ladro e sicario… ebbe, come nessun altro, il genio della beffa e dello scherzo”.

Nel volume “Banditi” di Giovanni Francesco Ricci, Giagu Iscriccia (in realtà: Giacomo Careddu Scriccia), risulta detenuto a Tempio nell’agosto 1819; era stato arrestato venti mesi prima per concorso nell’omicidio di Angelo Serventi, pastore,mentre tentava di rubare del bestiame. I militari, per immobilizzarlo,avevano dovutofaticare a lungo. Nato a Luras, verso la fine del ‘700,è definito: “fuorilegge di medio calibro; imputato di alcuni omicidi”.
Fu poi arrestato nuovamente il 21 aprile 1826 insieme ad altri tre. Secondo Addis morì nel 1869, intorno agli 80 anni. In base agli atti della Reale Udienza, conservati nell’Archivio di Cagliari, Giacomo Scriccia risulta essere stato un teste fondamentale per far luce sulla vicenda dell’omicidio di Giovanni Pinna Giua, ucciso con una fucilata alle tre del pomeriggio del 1° giugno 1822, in località Su Monti Tundu, presso Luras. La vittima, cinquantunenne, risulta che fosse agricoltore, agli atti della Reale Udienza.

Giagu, fu infatti il primo ad essere interrogato dai Cacciatori Reali della stazione di Luras, circa l’omicidio. Egli dichiarò di aver assistito alla scena e di aver udito tale Giacomo Bellu pronunciare, prima di sparare le seguenti parole: “Pigliati questa archibugiata, per i torti che ho ricevuto da te!” Dai verbali del processo risulta che Scriccia avesse allora 35 anni e che fosse agricoltore.

La stessa vedova dell’ucciso, Giovanna Maria Derosas fu interrogata dopo lo stesso “Giagu” e ciò fa pensare che – stranamente – il nostro personaggio si sia presentato di persona ai Cacciatori Reali per rendere testimonianza e fare, così, “il proprio dovere”. La vedova dichiarò che, esalando l’ultimo respiro, la vittima ebbe il tempo di sussurrare il nome dell’assassino – Giacomo Bellu, appunto – e che il movente fosse una piccola vigna che quest’ultimo rivendicava per sua.

Il Bellu, sedicenne all’epoca dell’omicidio, appare proprio il soggetto adatto per essere istigato a compiere un omicidio per futili motivi o soltanto “per la gloria”. La sua follia è simile a quella riscontrata in personaggi storici, tutti presumibilmente istigati all’omicidio, come François Ravaillac, uccisore del re di Francia Enrico IV, o Sirhan Bishara Sirhan, assassino di Robert Kennedy.

Nel dicembre del 1818, nell’imminenza delle festività natalizie, il Bellu era entrato nella Chiesa parrocchiale di Santa Maria del Rosario e, in mezzo alla folla dei fedeli, si era spogliato dei vestiti e aveva messo in mostra a tutti le sue parti intime. Nella quaresima successiva, ancora in chiesa, era improvvisamente salito sul pulpito e si era messo a predicare ad alta voce, suscitando l’ilarità dei presenti e smettendo solo dopo essere stato costretto a forza. Nell’ottobre del 1819 era fuggito dalla casa paterna e fu ritrovato solo quattro giorni dopo, in campagna, ancora una volta nudo e appeso a un ramo. Nell’inverno del 1821, infine, aveva tentato di suicidarsi precipitandosi nel fiume Carana e si salvò solo grazie ad alcuni presenti che lo afferrarono a viva forza.

Fatto sta che l’inchiesta sull’omicidio Pinna Giua rimase in stand by per quasi due anni, sinché, come se niente fosse, Giacomo Bellu, ormai diciottenne, non si presentò alla stazione dei carabinieri di Luras per arruolarsi. Per tutta risposta, i carabinieri lo misero agli arresti.

Quando, la settimana dopo, il 18 aprile 1824, il Bellu fu interrogato, dichiarò che, dei fatti a lui contestati, non ne sapeva nulla. Tuttavia, tre testimoni, interrogati subito dopo di lui, dichiararono di aver incontrato l’accusato pochi giorni dopo l’omicidio Pinna Giua, sempre presso il fiume Carana e ancora una volta privo dei pantaloni, che teneva raggomitolati sotto braccio. In tale occasione il Bellu aveva confessato di aver effettivamente ucciso il Pinna Giua, perché “lo aveva picchiato selvaggiamente senza motivo”.

Interrogato nuovamente, alla presenza di un curatore mentale, data la sua evidente infermità e l’età minorenne, Giacomo Bellu negò, invece, di aver ucciso Giovanni Pinna Giua e di non averlo nemmeno mai conosciuto. Tuttavia, il 14 ottobre 1825, il Regio Consiglio riconobbe l’imputato colpevole di omicidio e lo condannò a quindici anni di “galera”. Il 3 luglio 1826, la Reale Udienza, in sede di appello, riconobbe al Bellu la parziale infermità di mente e gli ridusse la pena a dieci anni, che dovrebbe aver scontato presso il carcere di Tempio.

Tutto chiaro, allora? Giacomo Bellu unico colpevole dell’omicidio di Giovanni Pinna Giua? Niente affatto. Riesaminiamo il caso in base ai moderni testi di criminologia. Tre, gli elementi principali di un delitto per individuarne l’autore: il corpo della vittima, il movente e l’arma del delitto.

Sul corpo del deceduto, nulla quaestio: esso ci dice che il povero Pinna Giua è stato ucciso da un’arma da fuoco. Per quanto riguarda il movente, già sorgono le prime incongruenze: secondo i parenti della vittima sembra che fosse la rivendicazione della proprietà di una piccola vigna; secondo altri testimoni, il Bellu si sarebbe vendicato per essere stato selvaggiamente picchiato.

Sull’arma del delitto, però, l’inchiesta evidenzia una grossa lacuna: secondo la denuncia presentata dalla vedova e dal figlio sacerdote Pietro Pinna, l’arma sarebbe stata fornita all’assassino dal pastore Giuseppe Scriccia “attualmente detenuto nelle carceri di Tempio”.

Ma, come si fa a consegnare a un ragazzo sedicenne e seminfermo di mente, un’arma probabilmente conservata in casa, stando rinchiusi in una cella di un carcere di un’altra città? Probabilmente l’arma è stata fornita all’assassino da uno dei parenti del detenuto che – guarda caso – aveva per cognome Scriccia. Proprio come il furbo personaggio dei racconti di Addis: Giacomo Careddu Scriccia, detto “Giagu Isgriccia”.

Ecco, allora, che il quadro della vicenda prende una diversa fisionomia. Da altri documenti, infatti, sappiamo che Giovanni Pinna Giua non fosse soltanto un semplice agricoltore, ma un “magistrato di giustizia” e che, per la sua attività, svolgesse anche funzioni di ufficiale giudiziario, cioè di colui che notifica le citazioni (penali o civili) ai convocati in giudizio.

Ci sembra improbabile che il Pinna Giua (sicuramente, unico magistrato di giustizia di Luras) non abbia mai dovuto citare Giagu Iscriccia, che entrava ed usciva periodicamente dalle carceri di Tempio o qualcuno della sua famiglia (anche Pietro Scriccia, figlio di Giagu, risulterà detenuto, nel 1830). Ecco, quindi, un “movente aggiunto”, la vendetta, che potrebbe aver scatenato l’ingegno luciferino del personaggio dei racconti di Filippo Addis.

L’astuto Giagu Iscriccia, per vendetta, potrebbe aver convinto la mente malata del giovane Bellu ad uccidere il magistrato di giustizia, fornendogli anche il necessario archibugio, di proprietà del suo parente detenuto. Poi, avrebbe seguito il Bellu, per assicurarsi (o addirittura ad incitarlo) dell’avvenuto misfatto. Infine, si sarebbe presentato per primo alla caserma dei Cavalleggeri Reali per denunciare il delitto di cui era stato testimone. Non escludiamo che abbia anche contattato la vedova, prima della denuncia, per assicurarsi che tutto filasse liscio.

Tale rivisitazione sarebbe coerente con la memoria del personaggio che tuttora ricorre nella sua terra natale. Come sosteneva Filippo Addis: «Un ragazzo astuto oltre l’ordinario è, a Luras “un Giagu Iscriccia”; come, per antifrasi, è “un Giagu iscriccia” un gran corbellone e un uomo scaltro e fecondo ha “sasa transas” di Giagu Iscriccia».

Oltre al sacerdote Pietro, Giovanni Pinna Giua ebbe un altro figlio, anch’egli Giovanni, che fu padre del notaio Pietro Giua e nonno del colonnello Giovanni “Nino” Giua, comandante dei reggimenti di artiglieria nella sfortunata campagna di Russia e che morrà ultracentenario nel 1995. Ebbe anche la figlia Quirica, solo decenne alla morte del padre, che poi sposò Giò Santo Bardanzellu, sindaco di Luras nel 1850. Entrambi furono i trisavoli di chi scrive.

©Federico Bardanzellu