Monday, 12 May 2025

Informazione dal 1999

Olbiachefu

Golfo Aranci: il tempo sulle onde - di Marco Agostino Amucano

Identità di un territorio tra terra e mare

Golfo Aranci: il tempo sulle onde - di Marco Agostino Amucano
Golfo Aranci: il tempo sulle onde - di Marco Agostino Amucano
OLBIAchefu

Pubblicato il 30 March 2025 alle 19:00

condividi articolo:

Olbia. È con particolare piacere che presentiamo ai nostri lettori questo illuminante contributo del prof. Marco Agostino Amucano, archeologo e docente, tratto dalla sua relazione "Golfo Aranci: il tempo sulle onde", presentata durante l'importante conferenza "La nuova vita del Pozzo Sacro Milis" tenutosi il 20 Marzo 2025 presso la Sala consiliare del Comune di Golfo Aranci.- di Marco Agostino 

Il Prof. Amucano, noto per il suo approccio metodologico rigoroso e la sua profonda conoscenza del territorio gallurese, ci offre una lettura stratificata della storia di Golfo Aranci, tracciando un percorso che va dalla peculiare genesi di questo giovane centro costiero fino alle più antiche testimonianze archeologiche dell'area. Con la sensibilità che lo contraddistingue, l'autore intreccia analisi toponomastica, ricerca archeologica e interpretazione storica, rivelando come le "onde del tempo" abbiano modellato non solo il paesaggio fisico, ma anche quello culturale e identitario di questa porzione di costa.

Di particolare interesse è la sua trattazione del villaggio abbandonato di Conia e del fenomeno di contrappasso storico che ha visto, quasi simultaneamente, il declino di antichi insediamenti e la nascita dell'odierno Golfo Aranci, in un continuo gioco di equilibri territoriali che rispecchia la millenaria dialettica tra mare e terra. Buona Lettura. 

 

Golfo Aranci: il tempo sulle onde - di M. Agostino Amucano

Golfo Aranci rappresenta un caso di studio particolarmente interessante nell'evoluzione degli insediamenti costieri della Sardegna. Ci troviamo di fronte a un centro abitato la cui formazione ufficiale è relativamente recente, immediatamente successiva al 1882, in netto contrasto con la plurimillenaria Olbia che vanta addirittura un mito di fondazione greca, quella di Jolao, nipote e fedele compagno di Ercole, alla guida di un contingente di Tespiadi  e di coloni ateniesi.

Il poleonimo stesso originario, Golfo (degli) Aranci, merita una precisazione: non deriverebbe, come spesso erroneamente si crede, dalla presenza dei noti agrumi o dei numerosi granchi che un tempo abitavano gli stagni, bensì dalle formazioni sferiche della posidonia (egagropili), denominate in lingua sarda "aranzos", le stesse che diversamente denominate hanno dato il nome a Baia Caddinas. Un nome giunto dal mare, trasportato dalle onde insieme a quelle stesse aggregazioni fibrose che, depositate sulla battigia, hanno ispirato la denominazione del luogo. Esempio significativo di come un fenomeno naturale possa influenzare la toponomastica locale, creando un legame diretto tra l'ambiente marino e l'identità culturale di un insediamento.

La nascita di Golfo Aranci come insediamento abitato è intrinsecamente legata a una contingenza storica e infrastrutturale: l'impossibilità di utilizzare il porto di Olbia come terminale per la ferrovia del nord-est sardo. Questo impedimento aveva radici antiche, risalenti al XIV secolo, quando i genovesi, nel contesto delle rivalità marittime mediterranee con Pisa e gli Aragonesi, , ostruirono la stretta imboccatura del golfo interno olbiese, Sa Bucca, la bocca appunto. Un’azione di sabotaggio che si trasformò in un condizionamento geografico permanente, quando l'avvento delle moderne navi a vapore rese evidente l'inadeguatezza del fondale olbiese, creando nuove gerarchie territoriali e modificando in modo sostanziale i destini di intere comunità.

La scelta di terminare la ferrovia a Golfo Aranci e di costruirvi uno scalo portuale non fu quindi frutto di una pianificazione strategica deliberata, ma un adattamento pragmatico alle circostanze. Un ripiego che, come spesso accade nella storia, si è trasformato in un'opportunità di sviluppo.

La stratificazione archeologica: il Pozzo Sacro di Milis nel contesto territoriale

Se come insediamento urbano Golfo Aranci è decisamente giovane, il suo territorio custodisce testimonianze di una frequentazione umana di notevole antichità. Il Pozzo Sacro di Milis, oggetto dell'intervento di restauro che oggi celebriamo, rappresenta l'emblema più spettacolare di questa stratificazione storica.

Consentitemi un inciso paradossale: il pozzo deve parzialmente la sua sopravvivenza a ciò che oggi classificheremmo come compromissione dell'integrità monumentale. La sua falsa cupola, tra le più notevoli dell'architettura nuragica in questa tipologia di monumento, subì alterazioni per l'installazione di un sistema di pompaggio a servizio delle locomotive.

Questo adattamento utilitaristico, benché antitetico ai moderni principi di tutela, ha costituito una salvaguardia involontaria: la rifunzionalizzazione del manufatto, preservandone l'utilità sebbene in forma decontestualizzata, lo ha sottratto all'abbandono e al conseguente degrado, meccanismo analogo a quello che ha garantito - mi limito a un esempio molto sardo - la persistenza di numerose strutture nuragiche riconvertite in ambito agro-pastorale.
Giusto per rimanere in tema di onde e di tempo, come il titolo della mia breve relazione indica, di singolare rilevanza è l'insolita collocazione topografica del Pozzo di Milis: un santuario delle acque in prossimità del litorale, privo dell'abituale contesto insediativo circostante. Questa peculiarità spaziale che accenno appena — rimandando ad altri specialisti l'esplorazione dell’ipotesi del culto delle acque[1] in relazione alla navigazione costiera — rappresenta uno degli enigmi più stimolanti del sito.

Figarolo: testimonianza di continuità insediativa e funzionale

Tra gli elementi più affascinanti del comprensorio golfarancino spicca l'isola di Figarolo, dove nell’ultima parte del XIX secolo l'archeologo Pietro Tamponi documentò una villa marittima romana, leggendariamente attribuita ad Atte, la celebre concubina di Nerone esiliata in questo territorio, il cui nome resta intimamente legato all’antica Olbia primo imperiale. La peculiarità di questa struttura, oggi difficilmente riconoscibile sul terreno, risiede nella sua probabile vocazione non utilitaristica ma residenziale-paesaggistica. Con le dovute cautele interpretative, potremmo scorgervi un'antica prefigurazione di quella valorizzazione estetica del litorale che, due millenni dopo, avrebbe definito la vocazione turistico-residenziale di queste coste.

 La stratificazione insediativa: da Conia a Sant'Eliseo

La storia di questo territorio non è solo quella della crescita e dell'evoluzione. È anche una storia di abbandoni, di luoghi che perdono la propria funzione e vengono progressivamente dimenticati, lasciando tracce che l'archeologo deve pazientemente ricomporre. Se fino ad ora abbiamo osservato le onde del tempo portare sviluppo e innovazione, ricerca di sacro e benessere, dobbiamo ora considerare anche il loro lato più oscuro: quello in cui le stesse onde trasportano morte, saccheggi, distruzione e desolazione, cancellando secoli di presenza umana.

Particolarmente significativo è il caso del villaggio di Conia (qui un articolo), situato nell'omonima località verso Campu Maiore, in prossimità della parte più interna del fiordo di Cugnana. Abbandonato agli inizi dell'Ottocento in seguito alle ultime incursioni barbaresche che afflissero le coste sarde, questo insediamento fu interamente evacuato, lasciando strutture che rimasero per lungo tempo intatte ma deserte, come sospese in una dimensione liminale tra persistenza e oblio.

La vicenda di Conia ci è stata tramandata inizialmente dalla tradizione orale, raccolta con rigore metodologico da Dionigi Panedda presso la comunità di Rudalza. Secondo questo suggestivo racconto, gli abitanti del villaggio si sarebbero difesi con ingegno, utilizzando la lisciva bollente contro l'attacco di incursori turchi, sbarcati sulla non lontana costa di Marinella. Per anni questa narrazione è rimasta sospesa tra storia e leggenda, in assenza di evidenze materiali che potessero autenticarla.

Le prospezioni condotte nell'area ci hanno finalmente permesso di identificare i resti dell'insediamento. Il sito presenta oggi un nucleo di strutture ancora riconoscibili, caratterizzate da pianta rettangolare e murature conservate fino ad altezze considerevoli. La distribuzione spaziale rivela due distinti agglomerati abitativi, separati da una distanza di circa duecento metri. I reperti ceramici rinvenuti in superficie collocano l'occupazione del villaggio tra il XVI e gli inizi del XIX secolo, corroborando così la tradizione orale e fornendo una cronologia congruente con il fenomeno storico delle incursioni barbaresche.

A breve distanza da Conia, troviamo il rudere della chiesa di Sant'Eliseo (qui un articolo), un edificio dalle dimensioni ragguardevoli (33 x 6,20 metri), che superava in estensione qualsiasi altro edificio religioso conosciuto dell'agro olbiese. La sua monumentalità trova ragione nel vasto bacino demografico che serviva: gli insediamenti sparsi nelle fertili aree di Conia e Campu Majore. È significativo che la titolazione al profeta Eliseo, figura centrale dell'Antico Testamento, potrebbe suggerire un'origine bizantina dell'edificio, sebbene al momento le caratteristiche architettoniche e le fonti documentarie la collochino verosimilmente tra il XV e il XVII secolo.