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Olbia e Genova, due morti dopo uso del Taser: il MOSAC chiede chiarezza sulle responsabilità

"Taser killer? Lo Stato assolve sé stesso e sacrifica chi è in prima linea"

Olbia e Genova, due morti dopo uso del Taser: il MOSAC chiede chiarezza sulle responsabilità
Olbia e Genova, due morti dopo uso del Taser: il MOSAC chiede chiarezza sulle responsabilità
Olbia.it

Pubblicato il 20 August 2025 alle 11:45

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Olbia. Due episodi drammatici in meno di ventiquattro ore hanno riacceso il dibattito sull'utilizzo del Taser da parte delle forze dell'ordine. Dopo il decesso del 57enne Gianpaolo Demartis, avvenuto a Olbia lo scorso 16 agosto, e la morte di un 47enne di origini albanesi a Genova, i casi che hanno portato all'apertura di un'indagine della magistratura sono diventati due nei confronti di quattro carabinieri per l'utilizzo dell'arma elettrica durante i due interventi.

I fatti hanno riacceso il confronto politico e sociale su uno strumento introdotto nel 2022 e definito "non letale", ma che ora si trova al centro di un acceso dibattito sulle sue reali caratteristiche e modalità d'uso.

Mentre si attende l'esito dell'autopsia del 57enne originario di Bultei, prevista per questo giovedì, che potrà fornire elementi chiarificatori sulle cause del decesso, il Movimento Sindacale Autonomo Carabinieri (MOSAC) ha diffuso un comunicato stampa in cui solleva questioni di ampio respiro sulla catena di responsabilità che ha portato all'introduzione del Taser nelle dotazioni delle forze dell'ordine italiane.

Ecco il documento integrale del MOSAC: 

Taser killer? Lo Stato assolve sé stesso e sacrifica chi è in prima linea

Roma, 20 agosto 2025 – Dopo la morte di un uomo a Olbia, anche Genova è diventata epicentro di un altro caso di cronaca che ha innescato interrogativi e polemiche sull'utilizzo di un'arma "dichiarata e certificata" non letale: il Taser. Due decessi in meno di ventiquattro ore che squarciano il velo dell'ipocrisia e sollevano interrogativi che gli organi di Governo e l'intero arco parlamentare sembrano non voler affrontare.

L'autorità giudiziaria, come "ormai" da prassi, indaga l'ultimo anello della catena: i quattro carabinieri. I "lavoratori della sicurezza", come li definisce il sindacato MOSAC (Movimento Sindacale Autonomo Carabinieri), potrebbero trovarsi sul banco degli imputati. Un copione già visto, l'ennesima ingiustizia. Ma il punto non è lì, il punto è a monte.

Mentre la politica si divide tra chi difende a spada tratta la "pistola gialla" e chi la definisce "strumento di tortura", il MOSAC solleva la questione più urgente: il Taser è un'arma "non letale"? Se lo è, come mai due decessi secondo la magistratura sarebbero imputabili a chi è pagato per usarlo?

Diciamocelo, la verità è che l'adozione di quest'arma certificata "non letale" è stata una scelta politica, introdotta in Italia nel 2022, sulla scia di alcune esperienze straniere. Uno strumento richiesto da tempo dagli addetti ai lavori, la cui adozione è stata frutto di commissioni, pareri tecnici, sperimentazioni, per poi, infine, finanziato l'acquisto con denaro pubblico da un'azienda americana in regime di monopolio. Una catena di responsabilità che parte dal Governo, passa dai vertici delle Forze di Polizia e arriva fino a chi, in strada, ha ricevuto l'ordine di usarlo.

L'introduzione del Taser ha illuso i lavoratori della sicurezza, facendogli credere di avere uno strumento che li avrebbe protetti dal classico "atto dovuto". Un'illusione durata, ironicamente, il tempo di una scarica elettrica.

È doveroso fare chiarezza sulla natura del Taser. L'arma rientra nella categoria delle "armi comuni da sparo" secondo la giurisprudenza più recente (Cass. Pen. n. 8991/2023 e n. 45790/2024). Il suo porto e uso sono consentiti esclusivamente alle Forze dell'Ordine, a seguito di un percorso normativo che ha visto l'introduzione di specifiche "Linee guida tecnico-operative" e un manuale approvato dopo la sperimentazione condotta tra il 2018 e il 2019 in diverse città italiane. Questo iter ha coinvolto un tavolo tecnico interforze e il Ministero della Salute, che ha espresso la propria intesa sulle procedure.

A questo punto, perché la magistratura non indaga anche chi ha deciso di adottare questo strumento? Chi ha valutato i rischi? Chi lo produce? Chi ha formato il personale per l'utilizzo, forse conoscendo la potenziale letalità dell'arma, senza comunicarlo a chi doveva utilizzarla?

"Mentre stiamo qui a commentare sotto l'ombrellone la più classica delle notizie di cronaca di fine estate, si apre un procedimento penale contro quattro carabinieri, ma non contro chi, seduto in poltrona, ha deciso di affidare loro uno "strumento di lavoro", la cui sicurezza sembrerebbe essere messa in discussione da alcuni burocrati e professionisti della "cultura ACAB", interviene Luca Spagnolo, rappresentante legale del MOSAC. "È la solita, triste storia: lo Stato protegge sé stesso e sacrifica chi è in prima linea. Ai Carabinieri non possono bastare le pur gradite attestazioni di vicinanza dei vertici dell'Arma e del Governo, ma attendono una doverosa assunzione di responsabilità con azioni tangibili, degne di un Paese civile."

In uno Stato di diritto è doveroso per chiunque esprimere vicinanza ai familiari delle vittime, ma è ancor più doveroso difendere l'operato delle Forze dell'Ordine, chiedendo alla solerte magistratura di fare presto luce sulle reali responsabilità, anche di chi ha preso determinate decisioni nelle famigerate "stanze dei bottoni". L'Italia si ritrova con forze dell'ordine a cui si chiede di agire con prontezza, a cui si fornisce un'arma potenzialmente non letale, il cui utilizzo però si trasforma in una beffa, l'ennesima, che i lavoratori della sicurezza non possono essere costretti a subire.

MOSAC – Movimento Sindacale Autonomo Carabinieri.