Wednesday, 26 November 2025

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San Teodoro, Don Cossu riflette sul “fine vita” dopo il caso delle gemelle Kessler

La comunità al confronto: “La vita resta un valore inviolabile, ma il dolore non può essere ignorato”.

San Teodoro, Don Cossu riflette sul “fine vita” dopo il caso delle gemelle Kessler
San Teodoro, Don Cossu riflette sul “fine vita” dopo il caso delle gemelle Kessler
Laura Scarpellini

Pubblicato il 25 November 2025 alle 11:00

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San Teodoro. Il tema del “fine vita” torna al centro del dibattito pubblico anche in Gallura, dove la comunità di San Teodoro segue con attenzione quanto accaduto pochi giorni fa in Svizzera, dove le celebri gemelle Kessler hanno scelto l’eutanasia assistita, per porre fine alla loro esistenza nello stesso momento, una accanto all’altra. Una scelta che ha commosso, diviso, interrogato e che oggi spinge a riflettere su cosa significhi davvero libertà, dignità e dolore nel tratto finale della propria vita.

A San Teodoro a farsi interprete del sentimento diffuso è don Alessandro Cossu, giovane sacerdote conosciuto per la sua capacità di coinvolgere e ascoltare, anima di una comunità che vive con lui feste, momenti di preghiera, gite, iniziative solidali e occasioni di dialogo. Sui social, dove è molto attivo, don Alessandro ha condiviso una riflessione chiara e sentita: "Il suicidio assistito o qualsiasi altro tipo di soluzione strumentale per morire, è un fallimento della società che si chiude all’amore e alla vita. La gente che vuole morire e sopratutto l’anziano che desidera morire prima del suo tempo, è perché non ha più un motivo per vivere: cioè l’amore della famiglia, dei figli, degli amici e, non per ultimo, l’amore per Dio. Mi spiace e rattrista sapere che qualcuno (le gemelle Kessler) ricorre al suicidio assistito. Non giudico (non le giudico), ma con amarezza riconosco il fallimento dell’amore umano".

A San Teodoro, dove la parrocchia si è trasformata negli ultimi anni in un fermente spazio sociale, il sacerdote rilancia l’importanza del ruolo della chiesa nella comunità cristiana, e non solo: ascoltare, accogliere, e spesso accompagnare nel complesso percorso della vita. Don Alessandro al di là delle convinzioni personali, invita tutti, credenti e non, a non far diventare il fine vita solo un tema da talk show, ma una questione umana vicina alle persone, e fatta di storie reali.

Lei è un giovane sacerdote molto attivo e presente nella vita della sua diocesi, tra incontri, iniziative, viaggi e attività parrocchiali. Qual è il segreto per coinvolgere così tanto i fedeli, soprattutto i più giovani, in un’epoca in cui la partecipazione alla vita religiosa non è più scontata?

"Alla sua domanda le rispondo che non è tutto oro ciò che luccica. Ossia intendo dire che le difficoltà non mancano, e che di questi tempi anche un prete molto attivo non può fare grandi cose, senza l’aiuto di persone ricche di fede, d’amore e che si sentono chiamate alla causa del Vangelo. Quello che mi ha sempre caratterizzato come prete è che è una marcia a mio favore, e l’umanità a 360°. L’umanità messa nelle mani di Dio prima di tutto, e poi messa a disposizione del popolo. I giovani e meno giovani si accorgono della passione che uno mette in quello che fa. E io lo dico con tanto umiltà: amo quello che sono, amo quello che faccio e amo Dio che mi ha chiamato a questa causa, così difficile ma così bella".

I social sono uno strumento che usa con grande naturalezza: quanto è importante, secondo lei, che la Chiesa impari a dialogare in modo diretto e quotidiano attraverso i canali digitali per restare vicino alle persone?

"I social sono degli strumenti che l’uomo deve usare con prudenza, con attenzione e con preparazione. L’equilibrio lo si deve mettere in tutto ciò che si fa e soprattutto nei mezzi che si usano per fare ciò per cui si è stati chiamati. Io credo che nonostante abbia deciso diverse volte di mettere da parte questi strumenti social, mi rendo conto che per la causa del Vangelo e per l’evangelizzazione sono strumenti importanti senza i quali oggi si fa ben poco. Tuttavia, anche io ho fatto degli errori nel passato che sono serviti per essere oggi più prudenti e attenti. Come tutti gli strumenti, compresi quelli più potenti, bisogna saperli usare e capire "il perché" bisogna usarli. Se questi strumenti dei social vengono usati per il bene maggiore, loro sono strumenti molto efficaci e diretti".

Nei giorni scorsi lei ha commentato sui social il caso delle gemelle Kessler, ricorrendo all’eutanasia assistita per morire insieme. Come vive, da sacerdote, il tema delicatissimo del “fine vita”, e quali valori ritiene fondamentali ricordare nel dibattito pubblico?

"Sì, per quanto riguarda la morte delle gemelle Kessler per quanto concerne l'eutanasia o suicidio assistito, posso dire che da sacerdote lo vivo come un fallimento umano, sociale e religioso. Riprendendo un articolo uscito sul Vatikan news di alcuni giorni fa, - la parola eutanasia nella sua etimologia greca, è legata al concetto di "buona morte" (Eúlávatoç). Questo termine veniva associato, nell'antichità, ad una morte senza sofferenze. Lo scopo del medico era quello di fare in modo, per quanto possibile, che gli ultimi istanti di vita non fossero dolorosi. Questa forma di "eutanasia" non era discordante con quanto indicato nel giuramento di Ippocrate: "Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmacco mortale, né suggerirò un tale consiglio simile".

Tra gite, momenti comunitari, esperienze di viaggio fino in Turchia e iniziative di condivisione, la sua pastorale sembra puntare molto sul creare legami e cammino comune. Che tipo di testimonianza vuole lasciare ai suoi parrocchiani con questo stile di evangelizzazione così dinamico e vicino alla vita reale?

"Credo che il modo migliore per poter far conoscere Cristo alla gente e il suo insegnamento, sia la comunione, la relazione, la conoscenza culturale, la preghiera fatta insieme, la condivisione e infine la passione. I miei parrocchiani e non solo, sono coloro che Dio mi ha posto in questo momento storico davanti o accanto, e io ho la responsabilità di lasciare loro l’unica ricchezza che veramente ho: la fede e l’amore per Dio. Il resto conta poco o niente".

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"Essendo alle porte dell’avvento, posso dire che la vita è un dono e tale dono deve essere condiviso con tutti. Il mese di dicembre sarà ricco di impegni pastorali, accademici, - dato che sono direttore dell’Istituto superiore di Scienze religiose di Sassari Tempio- e di tanti incontri incentrati sulla comunione, sulla relazione e sulla conoscenza delle scritture e non solo. Attraverso concerti, catechesi per adulti e giovani, e conferenze. Così facendo ci prepariamo ad accogliere dentro di noi il Cristo Salvatore che nasce nella povera grotta, non di Betlemme fisico, ma da Betlemme del nostro cuore. Se lo facciamo nascere, crescere, e risiedere nel nostro cuore, egli ci colmerà del suo amore e tale amore sarà la nostra cultura della vita".

E a San Teodoro ancora una volta, sarà proprio don Alessandro a ricordarlo con la forza di un sorriso che, più delle parole  sottolinea come la nostra vita sia il bene più prezioso e l'amore debba essere sempre coltivato in noi stessi, in ogni sua forma possibile.