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Povertà a Olbia: la dura realtà raccontata da don Antonio Tamponi

Il parroco di San Simplicio in prima linea per aiutare le famiglie

Povertà a Olbia: la dura realtà raccontata da don Antonio Tamponi
Povertà a Olbia: la dura realtà raccontata da don Antonio Tamponi
Angela Galiberti

Pubblicato il 15 January 2021 alle 06:00

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Olbia. Don Antonio Tamponi non si ferma mai: il suo cellulare è un centralino, si alza dalla scrivania e prende un raccoglitore dalla libreria a vetri per poi appoggiarlo e aprirlo: “Guardi, questo è tutto il grande lavoro che abbiamo fatto. Qua c'è la storia di ogni singola famiglia che aiutiamo, di cosa ha bisogno, cosa abbiamo dato”. Il raccoglitore è enorme, pieno zeppo di fogli, fotocopie, annotazioni, ma non è l'unico: ce ne sono tanti. E' con questi fogli A4 che don Tamponi, parroco della basilica minore di San Simplicio e responsabile della Caritas, misura il bisogno del territorio. Bisogno inteso come disagio economico, disagio sociale, disagio anche spirituale. “Il Covid ha reso ancora più complessa una situazione che era già difficile – spiega -. La crisi economica aveva già indebolito il tessuto sociale, ma con il Covid-19 le cose sono peggiorate. Per questo dico: attenzione. C'è qualcosa di peggio della malattia ed è la povertà, quella vera”. Già, la povertà: la bomba, a Olbia, scoppierà a Natale per il quale la Caritas si è preparata per tempo. L'epidemia che preoccupa di più è quella della miseria: solo a Olbia, la Caritas ha speso 180.000 euro per bollette e affitti di famiglie che si sono trovare in difficoltà. “La povertà è tanta – continua – e tante famiglie hanno vergogna di chiedere aiuto. Spesso arriviamo ad aiutarle quando la corrente è staccata o ci sono più affitti da pagare. La situazione è così grave che ci sarebbero da riaprire le estreme povertà”. La situazione è talmente complessa e sfilacciata da aver costretto la Caritas a rafforzare lo Sportello anti-usura: un problema, questo del ricorso agli usurai, di cui si parla poco in città, ma che esiste e lo testimoniano alcune indagini portate avanti dai Carabinieri del Reparto Territoriale di Olbia nel corso del tempo. L'umanità che incontra Don Tamponi, insieme ai collaboratori della Cittadella in zona Tannaule, è un'umanità olbiese fiaccata dalla crisi e dagli effetti economici del Coronavirus. Famiglie in cui i genitori hanno perso il lavoro e con esso la sicurezza di un futuro dignitoso per i propri figli. Non parla di politica, don Tamoni: non gli interessa, pensa a tutte le persone a cui deve tendere la mano che hanno necessità impellenti come curarsi, fare un esame diagnostico, mangiare un piatto di pasta al pomodoro. “Ho letto tante polemiche sui sei milioni di euro destinati dalla Regione Sardegna all'acquisto del formaggio – riflette il parroco –, bisogna fare molta attenzione quando si parla di queste cose e conoscere bene di cosa si sta parlando. Quando si parla di indigenza e di povertà è necessario smorzare i toni e capire quali sono i veri obiettivi”. Obiettivi duplici, in questo caso: da una parte sostenere il settore pastorale (in crisi), dall'altra sostenere le famiglie in difficoltà (che potranno acquistare prodotti locali di qualità). La riflessione è semplice: quando ci si occupa di fame non c'è niente da polemizzare, bisogna agire. Un'azione che la Caritas conosce bene: la Cittadella della solidarietà, situata nel quartiere di Tannaule, è uno dei cuori pulsanti della macchina solidale olbiese. Allestita come un vero e proprio supermercato, la Cittadella è ricca di ogni ben di Dio grazie alle donazioni dei parrocchiani e di alcune aziende generose. Pane, latte, carne, pesce, detergenti per la casa e per l'igiene personale: c'è veramente tutto e tutto viene consegnato a chi si presenta alla porta per ritirare il pacco alimentare che viene preparato dai collaboratori di don Antonio in pochissimi minuti. “Non facciamo distinzioni etniche, abbiamo rispetto di chiunque”, sottlinea don Tamponi. “Durante il picco dell'emergenza – osserva – abbiamo distribuito 2000 pacchi alimentari al mese. E' stato un lavoro immenso che continua ancora adesso. La crisi non è passata, il peggio deve ancora arrivare. In questi mesi abbiamo verificato sul campo che c'è anche un'emergenza sanitaria: tante persone non riescono a curarsi, altre non avevano la possibilità di pagare il tampone. Abbiamo così ideato il tampone solidale, siamo intervenuti anche su questo”. Dove non arriva lo Stato, arriva la Chiesa. “Bisogna rimettere al centro la persona umana – riflette ancora don Tamponi –, serve un patto sociale per l'uomo. Nei bilanci bisogna mettere al primo posto il diritto alla vita”. Una vita dignitosa.