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Pubblicato il 19 February 2017 alle 20:08
Su Componidori -Varalto: particolare della stella[/caption] [caption id="attachment_73240" align="alignnone" width="720"]
Pariglia- Varalto[/caption] Molteplici, nella produzione del nostro, le opere dedicate alla giostra dagli ancestrali richiami militari dell'antico Giudicato di Arborea, grazie alle quali viene dato ampio risalto anche alla presenza equestre e all'abilità dei cavalieri nelle spericolate corse a pariglie. In alcuni casi la morfologia del manufatto sembra voler rappresentare la dinamica dei movimenti durante la corsa sfrenata, aspetto sottolineato da una fusione che presenta il protagonista sospinto verso l'alto, come la sinuosità ritmica della morfologia parrebbe insinuare. [caption id="attachment_73237" align="alignnone" width="720"]
Sartiglia "C" -Varalto[/caption] Sovrasta il copricapo la stella, momento topico, veicolante la sacralità dell'evento, pietra filosofale, simbolo apotropaico su cui tutta la tensione dell'evento si scarica giustificando ogni singolo momento, ogni gesto rituale, dalla vestizione de su Componidori alla benedizione degli astanti con in mano lo scettro chiamato sa Pippia deMaju che disegna croci nell'aria a invocazione del trascendente. Tutto questo viene rappresentato da quella stella, il cui valore iconologico non è sfuggito alla sensibilità più intima dell'artista. Opere dai contenuti intertestuali, sempre facenti parte della copiosa collezione di bronzetti, una citazione è dovuta per il "Sardotauro" dalle sembianze antropo e zoomorfe insieme e per il suo presentarsi itifallico come in ben conosciute statuette dell'età nuragica. [caption id="attachment_73244" align="alignnone" width="720"]
Sardotauro "A" - Varalto[/caption] Non manca neanche il frutto dell'ispirazione data dalla Dea Mater o delle maschere barbaricine. [caption id="attachment_73241" align="alignnone" width="720"]
Sardotauro "A" - Varalto[/caption]
Il pesante metallo, così plasmato si alleggerisce, divenendo pagina di libro aperta alla lettura, eternato nei suoi contenuti, nei suoi valori atavici. L'esperienza da progettista e costruttore, all'alba del sogno color smeraldo di prìncipi venuti da lontano, consentono a Varalto di vivere direttamente come l'uomo possa arricchire o depauperare l'ambiente, la terra di cui avverte le pulsazioni, di cui cerca di misurare l'età e la longevità. Grazie a questa esperienza che lo porta a collaborare con figure professionali di alta scuola, riuscirà a formulare ipotesi sulla morfologia della sua città nel futuro, prodromi raccolti nelle elaborazioni del ciclo “Architettonando, le città silenziose”. Nell'apparentemente freddo calcolo della figura geometrica che grazie ai colori riesce a vestirsi di passato e di futuro, di bello e di brutto, di entità volumetriche che perdono e trovano simmetrìa, ortogonalità nel trascorrere incoercibile dei secoli, quasi in assenza di mano umana, come se le città si autodefinissero manifestando una propria volontà. Nuovi elementi che si sovrastrutturano e combattono per la supremazia in un eterno divenire, coinvolti in un moto perpetuo che non ha fissità.
Anche il racconto drammatico trova spazio nel figurativismo di Varalto. Fra le sculture litiche più seducenti la "Madre in preghiera" rapisce l'osservatore sensibile per il riflesso della sua contrizione. Quel viso, disposto verticalmente, anela alla benedizione divina. La curvilineità della forma si chiude e completa la postura nella giunzione delle mani in atto di preghiera, inscrivendo nello spazio un cuore capovolto che rimarca un momento di dolore, di ricercata astrazione, di profondo e triste raccoglimento già accennato dall’arcatura della bocca chiusa i cui angoli, rivolti verso il basso, sono testimoni di una sofferenza soffocata, stretta e nascosta dalle sinuosità femminili, nella materna chiusura che non vuole cedere i suoi beni più preziosi, composta e silenziosa nella sua litica solidità.
Quadri realizzati con la tecnica del bassorilievo, questa volta concretizzantisi in pennellate monocromatichedi metallo, materia familiare a Varalto, completano la produzione varia e multiforme. Porzioni di bronzo fuse e levigate, lucidate e tagliate in linee rette, curve, in figure geometriche polimorfi, probabilmente prospezioni alla ricerca della tridimensionalità in quanto già accennato nelle predizioni grafiche dell’urbe di “Architettando”, si incontrano per comporre un testo narrativo, libero nella sua astrattezza e aperto a mille sensazioni. Significante dai molteplici significati, i testimoni dell’arte di Varalto non sono titoli che attendono di essere conosciuti ma opere che desiderano essere svelate, avventure visive e spirituali, ricordi e immagini che meritano di essere vissuti e rivissuti. Magari goduti, per chi vuole, senza per forza comprenderli o interpretarli.
Fra le opere pubbliche, nella piazza Matteotti a Olbia, costituisce il fastigio della fontana centrale la bronzea statua della “Trivenere”, continuum circolare di figura femminile che per tre volte si ripete ai visitatori della piazza. Le linee mosse dei capelli, dopo aver fatto da cornice al volto, accompagnano e sottolineano la caduta dell’acqua che giunge dallo zampillo sovrastante. Donata dallo stesso autore alla sua città negli ormai lontani anni Novanta, la “Trivenere” venne abbandonata al degrado. Un insulto per chi ne vantò la paternità. Per fortuna in chiusura del 2016 la nuova amministrazione comunale e la volontà del primo cittadino Settimo Nizzi hanno restituito splendore e dignità all’opera, insieme a una targa commemorativa leggibile su una parete perimetrale delimitante la piazza, a pochi passi di distanza, che finalmente celebra i meriti artistici con riconoscenza. Olbia continua a sentire il bisogno di cultura e arte, soprattutto di quella che porta la firma dei suoi figli, spesso fugacemente considerati, nelle corse della quotidianità ma che concorrono a costruire l’idea di bellezza. Fra questi Alberto Sanna, Juanne Spano, Lino Pes, Gesuino Rassu… Di coloro scriveremo, magari, in occasioni successive. ©Gian Battista Faedda [caption id="attachment_69713" align="alignnone" width="821"]
La statua Trivenere di Piazza Matteotti - foto Olbia.it[/caption]
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