Wednesday, 17 September 2025
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Pubblicato il 17 September 2025 alle 19:00
Golfo Aranci. Emanuela Giacco è stata tra le protagoniste di questa estate golfoarancina quando l'Amministrazione comunale l'ha resa partecipe del gemellaggio della splendida cittadina gallurese con la City di Pompano Beach, in Florida. Per questa occasione l'artista di origine abruzzese ha realizzato un opera originale che vede protagonista il sole.
"Come un abbraccio teso tra orizzonti lontani, questo sole nasce dall’intreccio di cime nautiche di recupero, corde che un tempo solcavano il mare ora raccontano un nuovo percorso: quello dell’unione tra le due comunità. - Così dichiara l'artista attraverso i social - Il “sole” oltre a rappresentare un forte simbolo per la Florida, regione costantemente baciata dalla luce, porta con se molti echi: è uno dei simboli più antichi e universali presenti nelle culture di tutto il mondo".
La personale traiettoria dell'artista originaria de L'Aquila attraversa discipline, città e lingue visive apparentemente diverse e lontane. La sua biografia sembra mettere in discussione la vecchia opposizione tra scienza e arte, proponendo invece una sintesi in cui la curiosità diventa un vivace motore creativo.
Tutto ha inizio con una fascinazione per l’arte nutrita fin da bambina. Un seme che coltivato attraverso studi ingegneristici, ha saputo resistere alle pressioni della tecnica per fiorire in una forma artistica capace di dialogare con la materialità del mondo.
L’itinerario di Emanuala Giacco pare essere stato scandito da incontri decisivi. A Roma dove trascorre quasi un decennio, il confronto con figure come il professor Picozza, presidente della Fondazione Giorgio ed Isa De Chirico, segna una svolta davvero molto importante. Ecco che qui la vediamo alle prese con la sua prima mostra personale, e stringere nuove collaborazioni e amicizie che hanno consolidato in lei una figura capace di coniugare rigore metodologico, e libertà espressiva.
La scelta di Giacco di “spogliarsi” della veste ingegneristica per indossare quella dell’artista è stata quasi un riconoscere che la creatività non è una fuga dalla disciplina, ma un modo diverso di usare l’attenzione, la gestione dei materiali, la progettualità. Il racconto espositivo di Emanuela Giacco si sviluppa attraverso una serie di mostre nel corso del tempo, allestite in diverse città: Roma, Palermo, Genova, Torino, Milano, L’Aquila, Poltu Quatu, Porto Rotondo, Mantova, La Spezia, Firenze, Venezia, San Pantaleo, Parigi, Bruges, Barcellona. Ogni tappa segna un frammento di viaggio e di incontri, affinando sempre più la propria sensibilità alla ricerca continua di nuove vie espressive, mai scontate.
La ricerca la conduce nuovamente verso l’Abruzzo entrando nello studio di Raimondo Tiberio, quasi a voler testimoniare una rinascita di forme e tecniche legate alla scultura. Il 2020, anno tristemente segnato nella memoria collettiva dalla pandemia, diventa altro punto di virata: Giacco sceglie la Sardegna, una terra carica di energie. Qui si assiste alla nascita della sua prima scultura tessile, una produzione che va oltre il tessuto inteso come materia decorativa, divenendo linguaggio. L’estate dello stesso anno arriva un riconoscimento significativo: il primo premio alla IV edizione di “Le quai des artistes” a Porto Rotondo, un concorso fortemente voluto dal conte Luigi Donà dalle Rose e dalla sua fondazione. Questo trionfo non è solo un premio ma anche una conferma pubblica della maturità di una ricerca che trova proprio nelle fibre utilizzate dall'artista, la sua grammatica poetica.
Le sue sculture tessili al momento rappresentano solo la punta di un iceberg di un continuo interrogarsi su cosa possa essere la materialità nell’arte contemporanea. La tessitura diventa parola, respiro, tempo: una modalità di tradurre temi del corpo, della memoria e dell’identità in strutture tattili capaci di parlare non solo agli occhi ma anche alle dita.
Ha trasformato le cime delle barche in una sua personale tecnica artistica: come nasce questa idea di “seconda vita” per i materiali nautici e quale messaggio vuole trasmettere attraverso le sue opere ?
"L'idea di dare una seconda vita a un materiale riguarda il concetto di sostenibilità. Oggi come oggi la crisi climatica è un tema che riguarda tutti noi e fortunatamente si sta affrontando sempre di più. Però purtroppo ancora non ci sono le soluzioni adatte in merito alle tonnellate di materiali sintetici tra cui anche le cime nautiche, che vengono riversate nei mari. Spesso vengono smaltite malamente e nel peggiore dei casi finendo negli oceani vanno ad intaccare la flora e la fauna marina. Io naturalmente le riutilizzo nelle mie opere e quindi tolgo una parte di questi materiali del residuale, ma il discorso è ancora più ampio perché quello che mi interessa realmente è ciò che si vuole trasmettere (anche se solo fosse una goccia nel mare). Il mio di messaggio credo sia molto potente. Sono sicura che l’arte parli attraverso le emozioni per questo la trasmissione di un messaggio significativo credo possa giungere con una leggerezza maggiore, anche a chi lo osserva quale spettatore della comunità. Utilizzare dei materiali dandogli una seconda vita porta con sé anche il concetto della storia perché questi materiali hanno un proprio vissuto, hanno un’energia nelle loro trame. Le cime trattengono l’energia dei mari che hanno attraversato, l’energia delle mani che le hanno accarezzate o strattonate. Parlano di tradizioni di marineria, di sport, di vela, parlano di avventure. Il mare è un racconto".
Il suo percorso parte da L’Aquila, passa per Roma e la porta ora a Golfo Aranci: in che modo questi luoghi hanno influenzato il suo stile, le scelte tematiche e il suo modo di lavorare?
"Sono quello che sono perchè le mie radici affondano a L'Aquila, la città che ho amato moltissimo, e la amo ancora. La mia ispirazione nasce da lì proprio perché avevo uno zio antiquario con dei salotti meravigliosi colmi di opere d’arte. Fin da piccina rimanevo lì incantata mentre i miei cuginetti giocavano e sicuramente la passione per l’arte mi è stata trasmessa da questo mio zio. L’Aquila mi ha dato molto per quanto riguarda la motivazione e la mia formazione non artistica ma scientifica. Io sono un ingegnere e per anni ho lavorato come ingegnere, anche se la passione per l’arte è sempre stata molto forte per questioni familiari. Ho deciso di prendere quella strada piuttosto che la strada dell’arte, perché non c’è molta scelta nella mia famiglia di medici e di ingegneri. Credo però che quando per noi ci sia qualche cosa di molto intenso e profondo la vita ci porti comunque a seguire quello che è la nostra voce interiore. E L’Aquila in questo mi ha portato con un evento tragico come quello del terremoto che mi ha messo di fronte a una consapevolezza: oggi ci siamo e domani non ci siamo più. Per questo tutti noi abbiamo il dovere di ringraziare la vita che è un dono meraviglioso, e di omaggiarla cercando di sviluppare al massimo i nostri talenti perché dobbiamo lasciare qualcosa a questo paradiso.. Roma invece è stata sicuramente fondamentale per riprendere in mano proprio il mio discorso dell’arte. Quando mi sono trasferita a Roma, lavoravo come ingegnere di giorno e dipingevo di notte. Lì ho avuto la fortuna di incontrare il professor Picozzi, presidente della fondazione dei Chirico, che mi ha proposto di organizzare la mia prima mostra personale. Ecco che le mie prime opere si trovavano ad essere affiancate a quelle del grande maestro. Da qui ho intrapreso quello che poi è stato il mio percorso artistico, abbandonando la professione di ingegnere per dedicarmi completamente all’arte. Mi mi sono detta: il treno passa una volta solamente e questo è un segnale. Se non dovesse andare, sono sempre in tempo per tornare a fare l’ingegnere. L'arte a Roma mi ha permesso di conoscere persone meravigliose comer la signora Mattei, la curatrice che è diventata per me una vera mentore prima e poi una grande amica. Roma da questo punto di vista mi ha dato moltissimo. Golfo Aranci invece mi ha condotto ad uno sviluppo più maturo della della mia ricerca, che è quello che attualmente svolgo occupandomi di scultura e tessiture nautiche. Le strutture tecniche nautiche sono nate proprio qui quando mi sono trasferita (durante il periodo della pandemia). Allora la pittura era molto faticosa perché era molto riflessiva e quindi avevo bisogno di fare qualcosa di più energico. Dalle mie cime dipinte nei quadri in 3D sono passata alla materia".
Quali progetti futuri ha in cantiere: nuovi materiali riciclati, collaborazioni con altre forme d’arte o mostre site-specific ? Cosa le piacerebbe realizzare prossimamente?
"Progetti futuri tanti sempre molti, ma per scaramanzia non ne parlo mai prima della loro realizzazione. Sicuramente ne ho e li metto sempre in cantiere così come molte collaborazioni e nuovi materiali, non riciclati sicuramente. Il mio è un no perché la cima nautica per me ha un significato profondo, una ricerca di matrice esistenzialista. La geometria della cima una geometria uguale alla spirale algoritmica, un senso di coesione universale che è legata a Fibonacci così come al concerto di armonia e bellezza. Un elemento che rappresenta per l’appunto i legami le sovrastrutture universali che un po’ ci determinano perché, a dirla tutta, siamo artefici del nostro destino".
Un sogno nel cassetto?
"Un sogno nel cassetto potrebbe essere sicuramente la Biennale, ma qui si parla piuttosto di riconoscimenti. Insomma nel cassetto potrebbe esserci magari vedermi in tarda età con una scuola di allievi e magari ospitare io stessa i nuovi artisti per avere nuove contaminazioni, e aiutare i giovani di talento a perseguire le proprie passioni artistiche. Ecco, mi piacerebbe molto spronare le nuove generazioni a perseguire quelli che sono i sogni perché mi rendo conto che oggi come oggi il mondo dell’arte è molto difficile. Sì, aiutare la gioventù a sviluppare un progetto, mi piacerebbe davvero. Chissà".
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