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Cronaca

Bimbo segregato: confessa la zia olbiese

Bimbo segregato: confessa la zia olbiese
Bimbo segregato: confessa la zia olbiese
Olbia.it

Pubblicato il 11 December 2019 alle 17:56

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Tempio Pausania, 11 dicembre 2019 - Nella giornata di oggi, la Gip Caterina Interlandi ha incontrato e ascoltato la zia olbiese di 40 anni (e non 35 come inizialmente scritto ndr) accusata dalla Procura di aver partecipato alla segregazione del bimbo di 11 anni trovato dai Carabinieri chiuso in una stanza di una villetta nell'arzachenese lo scorso giugno. La donna, secondo quanto riporta l'Unione Sarda in un articolo firmato da Andrea Busia, avrebbe confessato di aver "aiutato" la coppia nella gestione del bambino. La conversazione tra la Gip e l'accusata sarebbe durata almeno tre lunghe ore nelle quali la donna avrebbe risposto a tutte le domande poste dalla giudice per le indagini preliminari. Durante queste tre ore, è stata ricostruita la condotta subita dalla presunta vittima. La donna avrebbe raccontato anche alcuni episodi e confermato alcuni dettagli. Secondo quanto riporta l'Unione, l'accusata avrebbe detto di aver collaborato con la madre del bambino: lo scopo sarebbe stato quello di risolvere dei presunti problemi educativi. La donna è difesa dal penalista Angelo Merlini. Il bimbo, di appena 11 anni, era stato trovato dai Carabinieri di Olbia chiuso in una stanza senza letto e senza la possibilità di uscire lo scorso 29 giugno. A portare l'Arma nella villetta era stato proprio il bambino grazie a una telefonata: cercava di mettersi in contatto con una delle zie, ma invece ha trovato la sensibilità di un operatore del 112 che ha compreso che dietro quella richiesta si celava qualcosa di strano. In quell'occasione, l'Arma ha recuperato anche il diario in cui il bambino ha minuziosamente elencato tutte le punizioni a cui sarebbe stato sottoposto. A quanto pare, gli inquirenti avrebbero trovato diversi elementi che confermano quanto scritto dal bambino. Uno dei particolari più sconcertanti dell'inchiesta sono i file audio trovati all'interno di uno dei cellulari sequestrati: voci artefatte con frasi umilianti e violente che, secondo gli inquirenti, sarebbero state usate contro il bambino.