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Pasqua 1947 - racconto di Giuliano Deiana

La vecchia si avvicinò alla borsa e, con cautela, l’aprì. I belati divennero più intensi.

Pasqua 1947 - racconto di Giuliano Deiana
Pasqua 1947 - racconto di Giuliano Deiana
Giuliano Deiana

Pubblicato il 23 January 2022 alle 21:00

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Olbia. Rosaria entrò in casa con una grande borsa di tela di sacco da cui effluivano timidi belati. L’appoggiò per terra per salutare la padrona di casa che le si era fatta incontro.
- No b’est Liano, zia Maria’? Apo una cosa pro isse¹.
- Had a èssere in carrèra, cùssu curriólu. Aise’ chi tu lu jamo. – Si affacciò alla porta che dava sulla via: – Liano!
Liiianooo! Oh Lianoooooo! Ite l’has ‘attìdu? Còsa chi li pòdet fàgher màle?²
- No, zìa Maria’, jà no mossigàda³– così dicendo Rosaria rise mettendo in mostra i suoi denti da ragazza di campagna, bianchi e forti e toccò, con la punta della scarpa, il contenuto della borsa che, ora, si agitava  vistosamente. – S’elvèghe chi hamus in dòmo s’est illieràda e màma mi l’had’ dàdu proìte l’haio promìssu a Liano.
Dàdebilu ‘ois. Eo, còmo, andho a cosìre chi signòra Paulina m’est aisettende e so jà in retàldu.4
- Andha in bon’ora e nàrali, a fìza mia, ch’istasèra no taldede chi, cun sa zìa, hamus fàttu sas casadìnas.5
- Eia, jà bi lu nàlzo. Dàde unu ‘asu a Liano. In sa bùscia hapo póstu unu bibberòne. Nàradeli chi li diad a mandhigàre,
póver’anzòneddhu, si no mòridi!6
La vecchia si avvicinò alla borsa e, con cautela, l’aprì. I belati divennero più intensi. Un agnellino bianco le cui quattro zampette erano state legate insieme con uno spago, belava disperatamente.
- Ohi, póverittu!7 – disse la donna e, dato un buffetto sulla testolina dell’animaletto, si avviò a cercare un paio di forbici nel cassetto della credenza. Con quelle tagliò il laccio che imprigionava la bestiola nello
stesso momento in cui il bambino entrava nella cucina.
- Nonna, mi hai chiamato? Ero da zia Mauri… – non finì la frase perché quell’esserino belante e saltellante schizzò fuori dal sacco e gli finì tra le gambe. – Un agnellino?! Lo voglio anche io! Ma chi l’ha portato? E di chi è? – domandò tutto d’un fiato e con grande curiosità.
- È tuo, te lo ha portato Rosaria.
- Rosaria? Rosaria la sartina di mamma?
- Sì, proprio lei. Ha detto che te lo aveva promesso.
Liano si inginocchiò sul pavimento di graniglia e abbracciò stretto stretto il piccolo animale.
- Come sei bello e morbido – gli disse arruffandogli i riccioli del vello. – Come sai di latte! sei caduto dentro il secchio per caso? – L’agnello gli rispose con un belato e cominciò a leccargli le mani.
- Nonnaaa, mi sta leccando!
- Ti bacia perché ti vuol bene. Ora ti devi curare di lui, sai? Devi dargli da mangiare.
- Io?
- E sì, non ha più la sua mamma che se ne occupi, poverino. Devi pensarci tu.
- E che cosa gli do? Io non so cucinare, nonna.
- Non occorre cucinare per lui. Devi dargli il latte. Poi, quando sarà un po’ più grandicello, allora gli daremo l’erba.
- Sì, dai, dai, voglio dargli il latte. Però prima voglio farlo vedere ad Antonello, a Piera Rita, a zia Maurizia, a Gavino, a zia Pasqua, a zia Miria, a Maria Assunta, a Piero, a zia Dora, ad Antonina Tamponi, a Piera Marroni…
- Àtteros no ndh’hasa a bi lu fàgher bìere?8
- Sono tutti gli amici miei di strada e le mie zie. Lo devono conoscere.
- Màncu màle chi a tie zìas e minnànnas no ti ndhe mancàna. Ndh’hasa in abbundhànzia.9
– gli disse la nonna canzonando un poco l’abitudine del bambino di chiamare tutte le donne di mezza età zie e nonne tutte
le vecchie. – Ora, però, dagli da mangiare a quell’animaletto. Non vedi come ti lecca?
- Prima lo devo far vedere almeno ad Antonello. Antonellooo, Aaantonellooooo… – urlò verso la porta aperta che si affacciava su via La Marmora – vieni, corri che ti devo far conoscere un agnello mio amico. Corri, però, ‘ché ha fame.
Antonello, pronto, come sempre, ad ogni richiamo del cugino, si affacciò sull’uscio:
- o Lilli, cosa mi hai chiamato a fare? Te l’ho detto che non ne ho voglia di giocare a giroditalia.10 Non abbiamo nemmeno piattarine.11
– poi, visto l’agnello, si precipitò all’interno della cucina e, preso l’animale,
lo sollevò più in alto che poteva emettendo grida di giubilo:
- che bello che è! Chi te l’ha comprato, zia Paolina?
- Sta fermo che lo rompi. Non lo vedi che ha paura, poverino! Mettilo giù, se no non te lo dico. Me l’ha portato Rosaria, la sartina di mamma.
- Già non si rompe! Non lo vedi che vuole giocare?
- Mollalo! Non ti faccio più fare nemmeno un giro in bicicletta se non lo lasci.
- E io non ti presto più la paraliquida12, Bilianu-attentu-a-li-baligi13 – lo canzonò il cugino e poi, posando a terra l’agnello, aggiunse: – brutto egoista! E non ti faccio più giocare nemmeno a gubbine14 e dico pure a
babbo di non portarti più in balcacceddha.15 Così impari.
- Antroddhio!16 Tilibìlche!17
– ribatté Liano punto sul vivo.
- La chèrides agabbàre de bos brigàre?18
– disse la vecchia.
- Hada incumìnzadu isse, zia Maria’. Eo no fio fàttendhe nùddha.19
- Non è vero, nonna. È lui che ha incominciato. Mi stava rompendo l’agnellino, – poi, dimenticando il litigio, chiese al cugino: – Antone’, come lo chiamiamo?
- Comènte cheres. 20
– gli rispose l’altro restituendogli in malo modo il piccolo animale che non aveva
smesso neppure un minuto di belare. – Chiamalo Lessi, chiamalo.
- Ma quello era un cane! – gli rispose Liano con una punta di delusione.
Sulla strada il solito battibecco ad una sola voce fra Bainza Cannone e Pedrusuldu 21 e alla radio Luciano Tajoli cantava una vecchia canzone di qualche anno prima:
- Fiorellin del prato, messagger d'amore/bacia la bocca che non ho mai baciato/Fiorellin del prato, non mi dir di nooo…
- Liano, prendi la batteria che t’hanno portato a Natale e cantaci questa canzone – gli gridò Antonello che, nel frattempo, era già uscito per strada.
- Lo voglio chiamare Fiorellino! Lui sarà il mio Fiorellino e aggiunse, cantando: – fiorellin del praaatooo… Vieni Fiorellino, vieni qui che ti do da mangiare.
La nonna lo aiutò a preparare il biberon, gli insegnò come usarlo e Fiorellino fu molto felice che il suo padroncino avesse imparato ad adoperarlo.
Da quel giorno l’agnello e Liano divennero inseparabili e la piccola bestiola divenne la mascotte, non solo della vecchia casa di via La Marmora e delle sue abitanti, ma anche di tutta Biddhanoa. Non passava giorno che nonna e nipote non si impegnassero nella toelettatura dell’animale che veniva regolarmente
lavato e profumato con generose aspersioni di borotalco Manetti&Roberts.

Qualche volta il bambino gli metteva anche un grosso fiocco celeste al collo con una piccola campanella che, però, a giudicare dai belati disperati, non doveva esser molto gradita. E quando Fiorellino non poteva più accontentarsi del latte del poppatoio, ma, come tutti gli altri erbivori, desiderava brucare, allora nonna e nipote, con l’agnello che gli trotterellava dietro come un cagnolino ubbidiente, scendevano per s’Uttureddhu22 dov’era possibile ancora trovare un po’ d’erba tra le pietre delle mura puniche, oppure andavano dopo il Ponte di Ferro, vicino al Mattatoio, dove, tra i ciuffi di giunchi e gli sparuti asfodeli, si riusciva a trovare qualche chiazza di erba verde. E allora sembrava che la bestiola impazzisse di felicità, saltando come se, nelle zampette, non zoccoletti avesse, ma molle; e se per caso riusciva ad arrivare sulla spiaggia di Mogadiscio, entrava in acqua belando di beatitudine come se il mare fosse stato quello caldo d’agosto e non quello gelido dell’inverno e poi si ruzzolava ripetutamente sulla spiaggia:
- Fiorelli’, no ti imbroscinàre in sa rèna chi dabói mi toccàda de ti passàre s’ispìzziga e de t‘sciuccàre.23 – gli gridava la vecchia come se l’agnello potesse capirla, e poi, rivolta al nipote: – Lia’, vai a prenderlo, ‘ché quel matto
finisce che s’annega.
Un giorno, era una domenica di febbraio, il bambino volle mascherarsi perché si era in carnevale. La nonna gli fece indossare il costume da Pierrot che la madre gli aveva confezionato e con Fiorellino che, come al solito, gli veniva dietro, si incamminò verso via Cavour per farsi vedere dai nonni paterni. Arrivato in piazza Matteotti incontrò un vecchio, con su bonètte24 ben calcato in testa, che spingeva la sua indivisibile carriola in cui gettava i pochi legnetti che, qualche volta, trovava nel suo perenne girovagare per le strade di Olbia.
Lo chiamavano Morittu Ciccaiolu per via del fatto che, oltre ai piccoli legni, raccoglieva, con rigorosa meticolosità, anche tutte le cicche che vedeva per terra, e non per un desiderio di ordine e di pulizia. Era un brav’uomo, ma, a detta di molti in paese, “gli mancava qualche venerdì”. I ragazzi lo canzonavano un
po’, ma tutti, per quel che potevano, lo aiutavano e gli volevano bene.
Quel giorno, Morittu se la prese con quel bambino che incontrò in piazza e che doveva sembrargli sicuramente un po’ strano in quel suo abito così inusuale e con quell’animale che gli trotterellava dietro.
- E tue, inùe ses andhendhe? Furria a dòmo. E a sa léstra, mi’!25
Liano, che un po’ timido era per sua naturale tendenza e riverente nei confronti degli adulti per educazione, non se lo fece ripetere due volte e, girate le spalle, ritornò sui suoi passi di volata, con Fiorellino che, dopo un attimo di smarrimento, gli correva dietro fino a casa.
- Sei già ritornato? Che cosa ti ha detto nonna Giua? Ti ha dato le caramelle?
- Nooo! – disse il bambino e scoppiò a piangere – un uomo con la carriola mi ha sgridato e mi ha fatto tornare indietro.
- E càle fidi cùstu màccu?26 – disse la nonna, – vieni qui, figlio mi’ che ti accompagno io. Vediamo se manda indietro anche me. Ajó!27
Ripercorsero la stessa strada, ma Morittu era già scomparso con la sua carriola vuota. E fu così, che quel carnevale, le due consuocere: Marianna e Pietrina, dopo tanti anni e molti lutti, brindarono insieme al carnevale con un bicchierino di rosolio e due biscotti mentre il nipote sgranocchiava le sue caramelle col suo costume di taffetà immacolato dai grossi bottoni neri, il suo cappuccio a cono da cui spuntava un civettuolo tirabacio e, come ogni buon Pierrot, la lacrima di rito che sua zia Maria, con molta cura, gli aveva dipinto su una gota coi sottili pennelli della sua trousse da trucco.
Passarono i giorni, le settimane e anche qualche mese. Il bambino e l’agnello erano diventati inseparabili. Arrivò anche la Settimana Santa.
Dopo essersi divertito con matracche e zirriólos, 28 Liano era andato a Golfo Aranci con Antonello. Il piacere di viaggiare in littorina stando accanto al macchinista, era un godimento impagabile ed anche il giocare con Rina ed Enrichetta sullo scivolo d’alaggio e varo coi piedi in acqua, davanti alla casetta vicino al  Lazzaretto, era un divertimento unico e possibile, già che zia Nina era una nonna così paziente e dolceche mai li avrebbe rimproverati.
Tornarono che era la sera del venerdì perché nessuno dei due voleva perdersi lo spettacolo de s’Iscravaméntu.29
Nella chiesa di San Paolo gremita come non mai, la voce del predicatore sul pulpito, grave e tragicamente carica di pathos, cadeva sul capo reclinato di tutti i fedeli. I confratelli di Santa Croce, contriti nella loro tunica immacolata, col cappuccio levato che ricadeva sulla spalla destra, un cingolo stretto in vita e una croce appesa sul petto, facevano corona al grande crocifisso nero da cui pendeva un Gesù dolorosamente esanime. Due scale, anch’esse nere, erano appoggiate dietro quell’orribile strumento di morte. Su di esse Giuseppe e Nicodemo aspettavano istruzioni dal predicatore.
- Toglietela, dunque, quella corona di spine con la quale hanno voluto mortificare la Sua regalità e che, invece, santificata dalla Sua sofferenza, è divenuta il simbolo della Sua sovranità, del Suo potere divino. I due confratelli sulle scale tolsero quel pungente diadema con molta precauzione, quasi che i terribili aculei potessero ferire ancora il capo di quel Nazareno di legno e di gesso. Altri, presero quel sacro oggetto e, devotamente, lo posarono sul capo di una Madonnina dolente col petto trafitto da sei pugnali.
- Adesso viene il bello – disse Antonello – io non vedo bene da qui. Ajò che andiamo più avanti. – Prese Liano per mano e, come poterono, si infiltrarono fra i compunti fedeli.
- Ma quando finisce? Io voglio tornare a casa.
- Zitto e guarda che ora gli tolgono i chiodi e se ne accorge Monsignore30 che stai parlando, ohi, ohi!
Il prete sul pulpito, dietro una croce sorretta da una mano di legno senza il resto del corpo, continuava ad impartire i suoi comandi:
- Ed ora Nicodemo, togli tu quel chiodo, liberala la mando destra: quella mano che tante volte si è levata a benedire, a sanare le ferite, a consolare con una carezza i derelitti. Libera quella Santa Mano, Nicodemo.
Tre sonori colpi di martello battuti sul braccio della croce fecero sobbalzare il bambino.
- Mammamia come son grossi quei chiodi! Io mi son punto il dito con un ago di mamma e mi ha fatto un mucchio male! – sussurrò ad Antonello
- Ssss!... Sta zitto – gli intimò il cugino.
Liano si azzittì e, a bocca aperta, seguì lo svolgersi del resto della cerimonia fino a che la statua non fu deposta nella sua lettiga coperta da lini candidi e pizzi. Poi zio Florisceddu, che negli altri giorni dell’anno faceva il trombettiere banditore e il Venerdì Santo, invece, il Cireneo, prese la pesante croce a spalle e, seguito dai confratelli, dal feretro, dalla Madonna Addolorata, dai preti e da tutti i fedeli con una candela in mano, uscì all’aperto e si incamminò lungo il corso, in piazza e fino a Biddhanoa.
Passando per via La Marmora, il bambino vide la nonna genuflessa sull’uscio. Cercò di confondersi fra il popolo in preghiera, ma il cugino lo tradì:
- zia Maria’, mi’ chi semus torràdos. Ha nàdu minnànna de Golfaranci de bos saludàre. 31
- Recuìde chi es tàldu! Curriólos!32
Non appena a casa, la vecchia lo guardò in faccia e, come sempre faceva quando credeva che il nipote non stesse bene, gli tastò la fronte.
- Tùe hàs sa frèbba! No ès chi bos hàzis fàttu su bàgnu no?33
– e così dicendo, gli tirò su una manica del maglione e lo leccò sul braccio per vedere se sapesse di salato.
- Dov’è Fiorellino?
- Fiorellino se n’è andato dalla sua mamma. Siccome tu non c’eri e l’hai lasciato solo, lui, poverino, se n’è andato dalla madre.
- E non ritorna?
- Già tornerà! – Intanto la nonna spogliò Liano e lo infilò nel lettone coprendolo ben bene. – Adesso stai bravo e ben coperto. Ti faccio una tazza di latte caldo col miele. Tu lo bevi bello caldo caldo e poi dormi.
- E mamma dov’è?
- È andata alla processione anche lei. Non stai bene con me? Lo vedi? anche Fiorellino voleva la sua mamma, poverino! Dormi ora, che poi già ci pensiamo.
Il bambino, un po’ per la stanchezza, un po’ per la febbre che l’acqua di mare di quella primavera ancora fredda gli aveva procurato, si addormentò e non pensò più al suo agnello. L’indomani, quando si svegliò al bacio della madre, era già tardi. Antonello lo aspettava da un pezzo, un po’ imbronciato per le sgridate che si era preso.
- Òe no andhàdes in nisciùnu lógu, e niènte biciclètta. ‘Àsi impàrades a fàgher sos màccos cùn s’àbba ‘e màre frìtta.34
- Ma…
- Cagliàdi! Zìttu e mùdu, si no lu nàlzo a màma tua e ti toccàda pùru de pòddha. Andhà e leàdi una casciàdina chi intàntu òe Liano istàda in léttu.35
La domenica il bambino si svegliò al suono delle campane che, dal campanile, spandevano il loro suono festoso su tutti i tetti del paese: era la Pasqua di Resurrezione. Antonello lo raggiunse a casa che si stavano per mettere a tavola nell’ampia cucina in cui brillavano, ancora vive, le braci di un fuoco.
Zia Marianna gli disse: - frimmàdi a bustàre cùn nóis.36
- Sì, sì, dai! Rimani! Abbiamo gli gnocchi che ha fatto nonna. Io ho fatto lo gnoccone. Magari lo trovi tu.
- No, non rimango, me ne vado a casa.
- Ma non ti piacciono gli gnocchi?
- Sì che mi piacciono.
- E allora? Rimani!
- No, non mi piace il resto che c’è.
La vecchia lo fulminò con lo sguardo e anche la madre e le zie manifestarono il loro disagio. La nonna impiattò gli gnocchi e tutti si sedettero a tavola in allegria.
Nella grande cucina si diffondeva ancora, prepotente, l’odore di agnello arrosto.

 

Note

1 Non c’è Liano, zia Maria’[nna]? Ho una cosa per lui.

2 Sarà in strada, quel girellone. Aspetta che te lo chiamo: Liano! Liiianooo! Oh Lianoooooo! Che cosa gli hai portato? Qualcosa che può fargli del male?

3 No, zia Maria’, già non morde.

4 La pecora che abbiamo in casa ha partorito e mamma me lo ha dato perché lo avevo promesso a Liano. Dateglielo voi. Io, ora, vado a cucire ‘ché signora Paolina mi sta aspettando e sono già in ritardo.

5 Vai in buon’ora e dille, a mia figlia, che stasera non faccia tardi perché, con sua zia, abbiamo fatto le formaggelle.

6 Sì, già glielo dico. Date un bacio a Liano. Nella borsa ho messo un biberon. Ditegli che gli dia da mangiare, povero agnellino, se no muore!

7 Ohi, poveretto!

8 Non hai altri a cui farlo vedere?

9 Meno male che a te zie e nonne non ne mancano. Ne hai in abbondanza.

10 Il gioco che bambini chiamavamo “giro d’Italia” consisteva nel tracciare al suolo, col gesso o con piccole sponde di sabbia o di terra, un percorso sufficientemente tortuoso da far percorrere, senza farli uscire di pista, ai piattarini sospinti in avanti con energiche schicchere (pillicu) del dito medio o dell’indice.

11 Capsula metallica (tappo a corona) posata a terra sulla sua parte piana ed utilizzata per il gioco di cui si è detto sopra.

12 Giuliano-attento-alle-valige. Soprannome malevolo con cui si era soliti prendere in giro Liano, quando lo si voleva far arrabbiare o offendere.

13 Mastice collante per riparare, unitamente alle pezzette, le camere d’aria delle biciclette.

14 Palline colorate di vetro o di terracotta.

15 Piccola barcaccia. Nomignolo con cui veniva chiamato, in famiglia, il piccolo rimorchiatore comandato da Mario, padre di Antonello.

16 Deformazione offensiva del nome Antonio ottenuta attraverso l’aggiunta del vocabolo troddhio ovvero scorreggio.

17 Cavalletta.

18 La volete smettere di bisticciarvi?

19 Ha iniziato lui, zia Maria’. Io non stavo facendo nulla.

20 Come vuoi.

21 Gavina “Cannone” e Pietro-sordo.

22 Letteralmente “il piccolo viottolo”. Era così chiamata la discesa che da su Lavatoriu (l’attuale via Acquedotto) porta in via Mameli.

23 Fiorelli’, non avvoltolarti nella sabbia che poi mi tocca pettinarti con un pettine fitto e lavarti.

24 Il berretto.

25 E tu, dove stai andando? Ritorna a casa. E guarda bene, in fretta!

26 E chi era questo matto?

27 Andiamo.

28 Sono due congegni fonici utilizzati, soprattutto dai bambini, durante la Settimana Santa, quando le campane “sono legate”, per annunciare le funzioni religiose. Matracca, tavoletta sulle cui facce sono incernierate due maniglie metalliche in funzione di batacchi. Zirriólu, legno a sezione rettangolare che ha, ad un’estremità, un incavo all’interno del quale è articolata una rotella dentata, fissata ad un perno che funge anche da manico e sul cui bordo è chiodata una linguetta di canna. Facendo roteare il legno, la linguetta, sollecitata dai denti della rotella, emette un secco e ripetuto crepitio.

29 Letteralmente “schiodamento”, è, in Sardegna, il rito paraliturgico della deposizione di Cristo dalla Croce.

30 Monsignor Francesco Cimino, parroco di San Paolo; in quegli anni unica parrocchia di Olbia.

31 Zia Maria’, guardate che siamo tornati. Ha detto nonna di Golfo Aranci di salutarvi.

32 Rincasate che è tardi! Vagabondi!

33 Tu hai la febbre. Non è che vi siete fatti il bagno, no?

34 Oggi non andate da nessuna parte, e niente bicicletta. Così imparate a fare i matti con l’acqua di mare fredda.

35 Taci! Zitto come un muto, se no lo dico a tua madre e ti tocca anche una bastonata. Vai e prenditi una formaggella che intanto oggi Liano sta a letto.

36 Fermati a mangiare con noi.

37 Non so se la tradizione fosse comune a tutte le famiglie di Olbia; nella mia era d’uso, quando si facevano sos ciusones (gli gnochetti), farne uno molto più grande di tutti gli altri. Chi lo avesse trovato nel piatto, avrebbe avuto fortuna.