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Tavolara, l'isola di Hermès-Mercurius

Tavolara, l'isola di Hermès-Mercurius
Tavolara, l'isola di Hermès-Mercurius
Marco Agostino Amucano

Pubblicato il 11 November 2018 alle 13:31

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Olbia, 11 novembre 2018Prima ancora che la scienza storica si formasse, Tavolara, la maestosa isola-scoglio che imperturbabile ha visto svolgersi migliaia e migliaia di anni di storia umana nel Golfo di Olbia, venne identificata con l’Hermaea insula (ovvero l’isola del dio Hermès-Mercurio) posizionata dal geografo ed astronomo alessandrino Tolomeo -nella sua “Geografia” (II secolo d.C.)- appunto di fronte all’Olbianus portus, sul 33° grado di longitudine di quel sistema di coordinate geografiche che fu il più geniale e “moderno” dell’antichità. Tuttavia, precisiamo, non esiste assoluta certezza, circa questa identificazione, ricavata più che altro per esclusione. Ma è anche vero che nessuno studioso, o quasi nessuno che sia tale veramente, ha osato metterla in forse, perché se manca la prova risolutiva, nondimeno plurimi e convergenti sono gli indizi.

Si è molto dibattuto anche sul nome attuale Tavolara (Taulàra in lingua locale), sulla sua origine e sulla sua interpretazione semantica. Circa l’origine, il nesonimo (leggasi “nome di isola) parrebbe attestato molto in là nel tempo, già nei “secoli bui” dell’Alto Medioevo, quando i Saraceni usarono un’isola di Torarum, prossima alla Sardegna, come base per un lungo periodo (multis diebus) in vista del saccheggio di Roma dell’846, secondo quanto ci dice il Liber Pontificalis. La continuità del toponimo tra Turarium/Torasus/Torarum e l’isola di Toraira/Toraio nei documenti, nei portolani e nelle carte nautiche medievali e postmedievali garantisce l’identificazione della Torarum altomedievale con l’attuale Tavolara.

[caption id="attachment_113379" align="aligncenter" width="2816"] Tavolara vista dall'aereo appena decollato per Roma. Foto M. A. Amucano 2007[/caption]

Per quanto riguarda invece l’interpretazione semantica, il grande linguista Emilio De Felice derivava il nome di Tavolara, e particolarmente del Taulàra usato localmente, da tàula (=tavola) e questo perché l’isola si presenterebbe come una grande tavola infilata nel mare verticalmente. Lettura, questa, tenuta in conto e ripresa successivamente anche da Massimo Pittau. Secondo Dionigi Panedda, l’illustre studioso locale che dedicò parte della sua vita allo studio dei nomi di luogo di quest’area geografica, l’origine del nome andava invece ricercato nel termine “tula”, che nell’antico lessico agrario logudorese stava ad indicare “la porca”, cioè la terra rialzata ed a forma convessa che è posta tra un solco e l’altro dopo l’aratura. Raimondo Zucca, infine, penserebbe ad una probabile origine pre-romana e locale del nome, forse convissuta -aggiungiamo noi- a fianco dell’ufficiale denominazione Hermaea di Tolomeo.

Siamo così tornati all’antico nome, e sulla domanda che già ci ponemmo ormai quasi trent’anni fa nel corso di una di quelle ricerche che non potranno considerarsi mai completamente finite, forse perché -in questo caso - è la stessa isola, col suo immutato alone di mistero ed i suoi fianchi impervi, che pare ammonirci di non andare troppo oltre. La domanda che ci ponemmo era la stessa di chi ci precedette, ma mai veramente seguita da un’analisi approfondita: perché gli antichi intitolarono l’isola al dio greco Hermès, dai latini ribattezzato Mercurius? E quale, fra gli antichi popoli che passarono e si insediarono, anche senza particolare stabilità, in questo golfo, la chiamò in tal maniera? I Fenici, che verso la metà dell’VIII secolo a. C. inaugurarono l’insediamento del sito di Olbia? Quei Greci che appaiono essere subentrati già per l’ultimo quarto del VII e per tutto il VI secolo a.C, e a cui quasi sicuramente si deve anche il nome greco “olbìa polis”, la “città felice”? Oppure Cartaginesi, che ripianificarono la città nel 330 a.C. circa? Oppure i Romani, subentrati definitivamente nel 238 a. C., implacabili quanto geniali artefici della più grande superpotenza dell’antichità?

I ritrovamenti archeologici dello Spalmatore di Terra -la lingua sabbiosa protesa verso la costa gallurese- segnalati dal canonico Spano nell’Ottocento, non sono certo impugnabili a dimostrazione di un eventuale culto prestato alla divinità nell’isola. Così nemmeno l’insediamento minuscolo scoperto pochi anni fa sullo stesso Spalmatore, ricondotto alla civiltà villanoviana, una delle più importanti della prima età del ferro in Europa. E così anche nessun edificio di culto, fosse anche un semplice sacello, o un’iscrizione dedicatoria, o quant’altro riferibile al culto di Hermès-Mercurio, appaiono documentati, o testimoniati. Neppure la Grotta del Papa, che pure è interessata dalla presenza di un culto al suo interno che dall’Età del Rame (2700-1700 a.C.: dipinti di figure umane schematiche tracciate a pittura rossa e bruna segnalati dallo scrivente nel 1989) perviene al periodo punico, quindi per ben 2500 anni circa, ha fornito la risposta risolutiva.

[caption id="attachment_113381" align="aligncenter" width="1840"] Alcune delle raffigurazioni pittoriche antropomorfe dell'Età del Rame visibili all'interno della Grotta del Papa segnalate per la prima volta dallo scrivente nel 1990[/caption]

L’origine dell’appellativo riportato dal geografo Tolomeo andrebbe allora cercato nella stessa posizione geografica come nella geomorfologia dell’isola, rapportandole con quanto è noto circa la divinità, e in particolare, crediamo, con la primitiva accezione di questa. Difatti, prima di diventare nella forma religiosa e nella mitologia post-omerica la “persona” nota a tutti, anche nelle raffigurazioni iconograficheHermès altro non era che una “teofania di pietra”. In altre parole, una pietra intenzionalmente conficcata nel terreno, avente un ampio spettro di significati sacrali, i quali svolgevano pure una funzione che noi moderni definiremmo, anche se un po’ impropriamente, pratica. Perché se poco si conosce della lunga ed oscura preistoria della divinità, sviluppatasi nell’Oriente mediterraneo, appare certo che i sassi collocati lungo i confini e le strade per proteggerli e conservarli prendevano il nome greco di hèrmai. Vari autori antichi quali Appiano, Erodoto e Tucidide indicavano altresì con herma la roccia sommersa o affiorante dal mare. Solo successivamente il dio Hermès comincia ad essere raffigurato appunto come herma: un blocco parallelepipedo di pietra, con un fallo che spunta a circa metà altezza ed in cima la raffigurazione della testa umanizzata. Hermès, messaggero degli dei greci e dio dell’annuncio per eccellenza, è anche dio dell’abile parlare, quindi protettore dell’ambasciatore, del persuasore in genere, anche con l’inganno, se necessario.

[caption id="attachment_113382" align="aligncenter" width="557"] Hermes itifallico in marmo, da Sifnos (Grecia) , circa 520 a. C. Museo Archeologico Nazionale di Atene[/caption]

Una volta introdotta ufficialmente a Roma nel 495 a.C., la divinità soffrirà di traduzioni ed adattamenti alla pratica e meno speculativa mentalità latina, senza tuttavia privarsi della diffusa concezione popolare di garante dello scambio della merx (la merce), quindi del commercio in genere, da cui l’etimo del nuovo nome: Mercurius. Ricollegandosi con la primitiva concezione greca, la divinità si accollava dunque, seppur non esclusivamente, il patronato dei viaggiatori e perciò stesso dei commercianti, di terra come di mare. Connotati questi, innegabilmente prevalenti in una divinità che, come poche altre, ha subito evoluzioni ed interpretazioni da cultura a cultura e da epoca ad epoca nella stessa antichità.

E’ dunque anzitutto il concetto di herma intesa come cippo di pietra, di segnacolo che scandiva le tappe del viaggio, altresì consacrandole a divinità tutrici dell’itinerario, concetto ben attestato dalle fonti classiche soprattutto per il mondo greco, che ben si adatta alla stupefacente isola-scoglio di Tavolara, posta strategicamente lungo le rotte di cabotaggio lungo la costa orientale sarda. Ma in essa è insito anche un più profondo ed intimo significato sacro legato alla divinità, in quanto “annuncia” in anticipo, e nella maniera più impressionante -prerogativa del dio per eccellenza- la stessa Sardegna per chi giunga da Oriente, e l’ingresso all’unico golfo ed all’unico scalo attrezzato sicuro della stessa costa orientale.

[caption id="attachment_113383" align="aligncenter" width="1600"] Punta del Papa vista dalla Grotta del Papa[/caption]

In età antica l’epiteto divino non è esclusivo per Tavolara. Sono infatti cinque le attestazioni di promontori “ermèi” (in greco antico: hermàia akra) sparse nel bacino mediterraneo, e documentate in Egitto, sulla costa orientale di Creta, in Tunisia, nel Marocco atlantico oltre le Colonne d’Ercole, e nella stessa Sardegna, l’attuale Capo Marrargiu della costa occidentale, presso Bosa. Tutte le antiche testimonianze testé elencate sono pertinenti alle aree del Mediterraneo di tradizionale frequentazione e colonizzazione cartaginese. Nemmeno un promontorio o un’altra isola di Hermès appaiono di contro -a dispetto dell’epiteto grecizzante- nelle aree monopolizzate esclusivamente dall’elemento greco e magnogreco, dove altre sono le divinità privilegiate nella particolare dedica: Athena, Apollo, Poseidone. Questo riscontro ci ha condotto ad ipotizzare un’origine fenicia o cartaginese dell’eventuale intitolazione ad Hermès-Mercurio dei promontori e dell’isola quasi-promontorio qui trattata. Il problema a questo punto si complica cercando di risalire all’equivalente fenicio e punico del dio, poi tradotto nella più nota divinità classica, una vexata quaestio che ci porterebbe lontano, oltre i limiti di questo articolo a carattere divulgativo.

[caption id="attachment_113385" align="aligncenter" width="2272"] Punta del Papa vista dal castello di Molara (foto Marco Agostino Amucano 2004)[/caption]

Da ultimo, se è vero, come finora rilevato, che l’intera massa rocciosa dell’isola e la sua posizione geografica così strategica per le rotte antiche sono in grado di spiegare la dedica alla divinità, non escludiamo anche un ulteriore, affascinante elemento fornitoci dalla presenza dell’enorme monolito antropomorfo del cosiddetto “Papa”, alto oltre quaranta metri, vero miliario naturale della navigazione a giorno. Questa inconfondibile guglia è posizionata proprio nel piccolo promontorio (Punta del Papa) in corrispondenza del quale il navigante proveniente da sud inizia a doppiare l’isola. Il “Papa” è avvistabile da molte miglia, inconfondibilmente assimilabile ad una figura umana con copricapo a forma di mitria vescovile (da qui il nome oggi conferitogli), ma anche interpretabile come un enorme fallo (da qui il nome ottocentesco, assai più esplicitamente prosaico, di Punta del Manico). È soprattutto la seconda interpretazione che dovette essere colta -pensiamo - dagli antichi naviganti fenici e cartaginesi (la prima essendo ovviamente improponibile per i tempi), fino a pensare al dio primitivamente equiparato alla semplice “teofania di pietra” pre-classica, quindi ad un semplice fallo litico annunciatore, segnalatore, protettore delle rotte e del navigante e quindi, per forza di cose, anche del commerciante, con perfetta corrispondenza a quanto suaccennato sulla “preistoria” del dio.

©Marco Agostino Amucano

[caption id="attachment_113411" align="aligncenter" width="2449"] Il cratere a figure rosse detto "di Eufronios" (o di Sarpedonte) dove è raffigurata la nota scena dell'Iliade. Al centro della scena sta il dio Hermes con il petaso, tipico copricapo a tesa larga tipico dei viaggiatori (520 a. C. circa, esposto al Museo Nazionale di Cerveteri)[/caption]