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Olbia, Sergio Leone e “C’era una volta il West” raccontati attraverso le parole, i ricordi e i sogni di Filippo Pace

Ecco il nuovo libro del docente del Liceo Mossa

Olbia, Sergio Leone e “C’era una volta il West” raccontati attraverso le parole, i ricordi e i sogni di Filippo Pace
Olbia, Sergio Leone e “C’era una volta il West” raccontati attraverso le parole, i ricordi e i sogni di Filippo Pace
Barbara Curreli

Pubblicato il 06 July 2025 alle 13:00

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Olbia. Dalla passione per il cinema, al grande amore per la musica, per i sogni e i ricordi senza scordare il potere delle parole.

Nasce così il nuovo libro di Filippo Pace, docente del Liceo Mossa di Olbia che presenta "Sergio Leone, mito e poesia". Filippo Pace nato a Sassari, è critico letterario, saggista, narratore irriducibile a ogni categorizzazione per via del suo continuo spaziare nei diversi ambiti della scrittura, docente di Lettere presso il Liceo Scientifico “S. Mossa” di Olbia. Ha pubblicato vari romanzi e cura il blog “Lettere dalla luna”.

Per qualche dollaro in più compie sessant’anni: in qualche modo il libro vuole anche celebrare la ricorrenza di questo capolavoro. Il saggio è dedicato al padre Nunzio, scomparso lo scorso 31 dicembre, professore di Letteratura italiana, attivo in politica e molto conosciuto in Gallura, negli anni Ottanta, da assessore, ha portato ad Arzachena il Teatro: se la capitale della Costa Smeralda ha l’Auditorium lo deve a lui.
 
Nel cinema di Sergio Leone convivono l’infanzia e la morte, la favola e la ferocia, il mito e la Storia. In questo saggio, - si legge nelle prime pagine - Filippo Pace ne ricostruisce con lucidità e passione la geografia profonda: Sergio Leone: mito e poesia è insieme lettura tematica, proposta interpretativa sorprendente e meditazione esistenziale. Un tributo intimo, colto, necessario a un autore che, nella potenza visionaria del suo cinema, ha saputo coniugare la violenza del mito con l’elegia dell’innocenza".
 
Potrebbe raccontarci come nasce l’idea di questo libro?

"Questo saggio critico, che a me piace chiamare libercolo, è una risposta alla scomparsa di mio padre e un omaggio a lui. Papà, sin da bambino, mi ha fatto amare il cinema: il Neorealismo, la Commedia all'italiana, i western e i gialli. I film di Sergio Leone, in particolare, erano una profonda immersione nel mito e nella nostalgia e ogni volta che li guardo ho sempre la sensazione di ritornare piccolo, con mio padre a fianco. Qualche tempo fa avevo abbozzato qualche paginetta perché, studiando la bibliografia del grande regista romano, mi ero reso conto che alcuni aspetti non erano stati trattati o approfonditi. Mi riferisco all'atto del mangiare e alla funzione simbolica della bocca (notate che nei suoi film tra sigari, oppio, armoniche, bottiglie di alcol la bocca è sempre in primo piano?) alla rappresentazione del corpo, all'analisi più approfondita del personaggio dell'Indio di "Per qualche dollaro in più" e soprattutto all'idea che la poesia dei suoi film nasca tra la stridente rappresentazione della violenza e l'elegia degli innocenti e di un'epoca perduta".
 
"Quelle osservazioni piacquero molto a mio padre - ricorda Pace - che negli ultimi giorni mi confessò che stava scrivendo un racconto in cui parlava con Sergio Leone dei suoi film. Quando è mancato io ho raccolto l'eredità, ho ripreso il mio materiale e ci ho lavorato. Per me è come se il libro l'avessi scritto insieme a lui, nel plumbeo febbraio di quest'anno. Poi ho chiesto la prefazione ad Aldo Maria Morace, studioso di caratura internazionale, perchè ho lavorato per anni con lui, è il mio maestro e secondo padre. E abbiamo scoperto, proprio in questa occasione, che entrambi abbiamo il culto di Leone. Fantastico: il cerchio si chiude con una potenza simbolica fortissima. 
 
Parlando del grande Sergio Leone, quale è il suo film e la sua musica preferita?

Quando ero bambino al primo posto c'era "Il buono, il brutto, il cattivo"; da ragazzo "per qualche dollaro in più". Ora forse "C'era una volta il West", ma in realtà la vita mi sembra come "C'era una volta in America" eppure provo una tenerezza struggente per Marisol e il suo bambino di "Per un pugno di dollari". Insomma, non so scegliere, tutti mi fanno sentire vivo e mi restituiscono la mia anima bambinesca. Per la musica è facile: mi sono sposato con le note di "C'era una volta il West" e mia madre si è commossa parecchio: era il mio modo per dire che un'epoca era finita e ne stava iniziando un'altra.
 
Un ricordo legato a suo padre.

Io che mi affaccio alla vita e lui, con voce teatrale, che recita passi di Dante o di Gozzano o che mi racconta la favola del volpacchiotto Fox inventata per me, in quelle estati lontane. Risento ancora la sua voce quando mi sveglio nel cuore della notte. So che mi accompagnerà sempre. Come scrivo nella dedica al saggio papà è il mio mito e la mia poesia.
 
Oltre le materie scolastiche, cosa vorrebbe trasmettere ai suoi ragazzi?

Io sono un sognatore e, nel bene e nel male, la Letteratura che insegno mi consente sempre di avere un approccio ancipite: fuggire dalla realtà ma allo stesso tempo guardarla con spirito critico. Vorrei trasmettere ai miei ragazzi, che negli ultimi anni sono molto più ansiosi e fragili, il bisogno di credere nell'utopia. La Letteratura può cambiare il mondo se interiorizzata. E vorrei che lasciassero il cellulare, prendessero romanzi e leggessero di più e che facessero sentire la loro voce: a Olbia manca un teatro, abbiamo bisogno di un multisala e di centri di aggregazione giovanile. E vorrei che trasformassero la Gallura da parco dei divertimenti estivo dei turisti in un luogo in cui la cultura e l'espressione del sé diventino un antidoto al disagio, allo sballo, alla noia. Posso passare per pazzo credendo in tutto ciò? Pazienza, meglio essere considerato pazzo, piuttosto che smettere di sognare".