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Mano in tasca - racconto inedito di Dionigi Panedda

La novella inedita è stata ritrovata fra gli scritti lasciatici da professor Dionigi Panedda

Mano in tasca - racconto inedito di Dionigi Panedda
Mano in tasca - racconto inedito di Dionigi Panedda
Dionigi Pala

Pubblicato il 14 March 2021 alle 18:30

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Olbia. Quella che oggi avremo (speriamo) il piacere di leggere è una delle novelle inedite ritrovate fra gli scritti lasciatici da professor Dionigi Panedda (Bitti, 15 ottobre 1916 - Olbia, 1 settembre 1989).  Il fatto di averle ritrovate, salvate dalle fiamme alle quali Dionigi spesso affidava ciò che riteneva di poco conto, mi autorizza ad affermare che egli le abbia, in qualche modo, ritenute meritevoli di essere conservate. Ecco, dunque, “Mano in tasca”, un divertente racconto di vita scolastica realmente vissuto da Dionigi, giovane insegnante all’inizio della sua lunga carriera di docente. Buona lettura!                                                                                  Nigi Pala                            ******************************************************************************** Mano in tasca - di Dionigi Panedda     Entrato con irruenza nel breve stambugio che costituiva la sala dei professori, il mio collega, tratta la mano di tasca e osservato ciò che le dita stringevano,      -- Ora ricordo - gridò -. Eri, dunque, soltanto tu?      E scoppiò a ridere, a ridere con scrosci, gorgheggi e gorgoglii tali, da farmi balenare, per qualche momento, un'ipotesi poco lusinghiera per lui. Egli, intanto, si era fatto alla finestra e aveva proiettato quell'informe poltiglia contro lo specchio tranquillo del lago. L'improvviso tonfo parve suscitare anche nell'acqua una grande ilarità. Era una rotonda, concentrica risata sempre più ampia e propagantesi all'intorno, quasi volesse rendere edotta del buffo caso, tutta la superficie del lago prealpino. Soltanto io non ridevo. Come potevo associarmi a una omerica risata, senza conoscerne il motivo? Non mi restava che attendere di essere messo al corrente. Visto, però, che l'attesa si protraeva troppo,      -- Insomma - sbottai - vuoi o non vuoi che rida anch'io? Parla: che ti è accaduto?      Prima di rispondere, Carlo si asciugò qualche lacrima, arrestatasi sulle guance e tra le ciglia. Lo fece col dorso della mano, perché le dita, grondanti appiccicoso umore, erano impossibilitate a servirsi del fazzoletto. Poi, non senza riprese di crisi, mi raccontò quanto gli era occorso.        Allorché, mezz'ora prima, in classe, si era trovate le dita sporche di gesso, Carlo aveva affondato la mano nella tasca del cappotto, alla ricerca del fazzoletto con cui pulirsele. Giunta, però, in fondo al breve antro di stoffa, la mano, invece di imbattersi nella soffice pezzuola, aveva urtato contro qualcosa di molliccio. Le dita, al primo superficiale contatto, si erano ritratte impaurite, come zampe di ragno di fronte a oscuro pericolo. Poi era intervenuta ragione. Fu essa a far loro vincere quell'istintivo motto di paura. La ragione, che vuol rendersi conto di ogni cosa visibile e invisibile, aveva, perciò, fatto riaprire le dita, spingendole a scoprire la natura dell'oggetto misterioso, perché memoria l'aveva del tutto dimenticato. Ed esse, un po' riluttanti, erano avanzate, cautamente, esplorativamente. Vinta, quindi, un'ultima esitazione, dopo aver abbrancato la cosa-mistero, l'avevano stretta in una mortale presa, nell'intento di rendersi conto della sua natura.      La cosa-mistero, dal canto suo, nonché opporre resistenza, aveva duttilmente ceduto e si era spappolata, trasudando, abbondante, il suo umore, rendendo viscida la mano assassina...      Compiuto quell'atto di facile supremazia, la mano, senza mollare la preda, era restata lì, immobile, trasecolata. In più, alle prese con un doppio interrogativo: Che cosa ho spappolato? Che faccio ora?      Una certa risposta alla seconda domanda, avrebbe immediatamente risolto e dissolto la prima. Ma, nonostante il trasecolamento, era stato subito chiaro che tutto poteva fare, meno ciò che avrebbe richiesto quella certa risposta. No, non sarebbe uscita fuori. Indubbiamente, uscendo fuori si sarebbe appurata la natura dell'oggetto ridotto in appiccicosa poltiglia. Con quali conseguenze, però? Una magra, magrissima figura davanti agli alunni, esasperata, in più, dai loro clamorosi e divertiti commenti, se, per avventura, la cosa-mistero, emersa alla luce del sole, si fosse rivelata non una sia pure inusitata preda, ma un oggetto di schifo.      Al pensiero di aver spiaccicato un possibile oggetto di schifo, Carlo si era sentito avvampare il volto da un'ondata di rossore. Ammutolito e immobile tra cattedra e lavagna, andava, ora, chiedendo con gli occhi la soluzione dell'enigma ai vuoti spazi dell'aula, sospesi sulle teste dei ragazzi. Perché gli occhi non osava più appuntarli sugli alunni.      Ma vuoti del tutto erano gli spazi dell'aula, né più né meno di quelli della labile memoria. Anzi, subito dopo, per quegli ancoramenti dell'eccitata fantasia nelle insenature più impensabili della baia delle supposizioni, Carlo si era trovato nella convinzione si aver spiaccicato qualcosa di poco pulito.      Mai gli si fosse parata dinanzi, la strampalata idea. Da rosso diviene bianco come un cencio lavato. Rabbrividisce al pensiero che la tasca diventi trasparente, oppure che la mano, per una magia birbona, salti fuori della tasca, grondante di ciò che non dico toccare, ma che persona per bene, ad eccezione di Cambronne nelle fasi più accese della battaglia, nemmeno indica col nome che pure le è proprio. Anzi, a Carlo sempre più indotto dall'eccitazione, ora pare di sentirne l'inequivocabile odore...      Una seconda, più nutrita incursione di rossore, risalito fulmineo dalle lunghe pareti del collo su su fino ad avvampare tutto il volto, provoca l'intervento del capoclasse.      -- Professore, si sente male?      -- No, grazie, non ho niente - rassicura, Carlo, più impacciato che mai.      Anche perché la calda vampa gli ha appannato gli occhiali. Per qualche secondo non ci vede più. Istintivamente la mano destra sta per uscire dal nascondiglio, a togliere dagli occhi le annebbiate lenti. E lo farebbe, se non intervenisse, tempestiva, l'inibizione, a rituffarla nell'antro di stoffa. E' con la sinistra, allora, che egli volge e rivolge gli occhiali controluce, osservandoli con sguardo che vuol essere indagatore e di sorpresa.      -- Diamine, potevi ben uscire dall'aula con un pretesto! - fu la mia ovvia osservazione.      -- Niente affatto. E se l'ignota sostanza, gocciando dalla tasca... A questo pensavo. Lo so, ora intendo benissimo che il mio timore oltre che infondato, era anche, come dire?, privo di logica. Le gocce, se ci fossero state davvero, sarebbero comparse prima ancora che io me ne rendessi conto e le temessi. Ma tant'è: a volte basta un nonnulla per perdere il controllo...      Fu così che la mano sicaria di Carlo, per i restanti trenta minuti della lezione, se ne dovette stare tappata nel domicilio coatto della tasca. La preda appiccicosa, l'aveva ormai mollata, ma, tratto tratto, dita vanamente esploranti la sfioravano.      Gli alunni, intanto, erano stupiti e per l'interrotta stesura grafica di uno schema sul Genitivo Greco, e perché vedevano il docente, ridotto, nei suoi gesti, a un male armeggiante mancino. Appena, come Dio volle, la lezione finì, Carlo si precipitò fuori dell'aula. Anche la mano, allora, stava per balzar fuori della tasca, a mostrarsi agli occhi del padrone. Ma la presenza dei ragazzi nel corridoio, per l'intervallo, la trattenne ancora, per l'ultima volta, sul luogo del delitto. Soltanto quando egli giunse nella sala dei professori, essa poté finalmente uscire dal tenebroso recesso, tenendo tra le dita il corpo del delitto: una spellata, stramatura arancia, residuo dell'affrettata colazione mattutina, ridotta in condizioni indefinibili.