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Cronaca

Olbia. Semi di Pace e la Palestina: la pace arriverà (tra molto tempo)

Olbia. Semi di Pace e la Palestina: la pace arriverà (tra molto tempo)
Olbia. Semi di Pace e la Palestina: la pace arriverà (tra molto tempo)
Angela Galiberti

Pubblicato il 24 February 2016 alle 20:14

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Olbia, 24 Febbraio 2016 - Forse la pace in Palestina arriverà tra tanti anni, ma quando arriverà sarà anche merito di uomini e donne comee Lu'y Abushaban eNachshon Gal: il primo palestinese della Striscia di Gaza, il secondo ebreo di Isreale, entrambi esseri umani che si aiutano e che cercano di creare le fondamenta per la pace.

Lu'y Abushaban eNachshon Galsono arrivati ad Olbia, nella sede del Labint, grazie al progetto Semi di Speranza portato avanti dalla rivista Confronti e finanziato con l'otto per mille della Chiesa Valdese. Ogni anno, ormai da 18 anni, Confronti porta in Italia una delegazione israelo-palestinese per divulgare le realtà meno conosciute di quella piccola, ma importante, parte di mondo. Realtà positive che vedono cooperare insieme palestinesi e israeliani con associazioni come Basmat al-Amal (Sorriso di Speranza) e Road to recovery che hanno comeprotagonisti proprioLu'y Abushaban eNachshon Gal.

Queste persone straordinarie, insieme ai loro compagni volontari, riescono ad aiutare dai 300 ai 1000 palestinesi ogni settimana. Come? Portando fuori dalla Striscia di Gaza, che è sotto il controllo di Hamas, tutti i palestinesi che hanno bisogno di cure specifiche che in Gaza Stripe non possono ricevere. Uscire dalla Striscia non è facile, anzi: è un terno al lotto. Insieme a Lu'y avrebbe dovuto esserci un suo collega, sempre dell'associazione Basmat al-Amal, ma al check-point è stato respinto dai soldati isrealiani senza un vero motivo, come ha raccontato Stefania Sarallo, la giornalista di Confronti che accompagna in terra sarda i due volontari. "Negli ultimi 20 anni, in seguito al fallimento dell'Accordo di Oslo, c'è molto più sospetto, molta più paura e molto più odio tra israeliani e palestinesi - racconta Nachshon Gal, israeliano da generazioni -.Per molti giovani palestinesi l'unico israeliano che conoscono è un soldato o un poliziotto". Nachshon parla di un mondo di diffidenza reciproca che associazioni di come Road to recovery e Basmat al-Amal cercano di combattere con la solidarietà. Dato che nella Striscia di Gaza gli ospedali non possono curare il cancro, i palestinesi che necessitano cure specifiche devono necessariamente uscire da Gaza e raggiungere un ospedale israeliano. Basmat al-Amal aiuta queste persone ad ottenere tutti i permessi (pensate alla burocrazia italiana, moltiplicatela per cento e aggiungeteci missili, povertà, check point e soldati pronti a respingervi) e le accompagna al varco con Israele. Qui c'è Road to recovery, con un loro autista volontario e una sua macchina personale, che prende in carico il paziente e lo porta in ospedale. L'Autorità Nazionale Palestinese, nata dopo Oslo nel 1995, paga tutte le cure e questa è una cosa buona: non paga però il trasferimento e qua intervengono le due associazioni che superano ogni filo spinato e collaborano insieme. "Abbiamo iniziato questo lavoro sei anni fa - racconta Lu'y Abushaban -. Molti in Palestina sono poveri. Ogni anno 3000 persone si ammalano di cancro e hanno bisogno di cure specifiche. Molte di queste persone muoiono perché non hanno i mezzi per spostarsi. L'Autorità palestinese paga tutte le cure, ma il vero problema è raggiungere gli ospedali".

Lu'y Abushaban eNachshon Gal dimostrano, con il loro operato e con la loro voglia di superare ogni differenza, che forse la pace è possibile. "Noi siamo esseri umani, non c'è differenza tra noi - dice Naschshon -. La gente vuole la pace, vuole vivere, vuole prendersi cura della famiglia. Se arriverà la pace? Sì, arriverà. Quando? Tra molto, molto tempo. Abbiamo troppi problemi irrisolti. Il conflitto israelo-palestinese è un conflitto molto complicato. Abbiamo dei capi molto deboli e da entrambe le parti ci sono degli estremisti. Sono una minoranza, ma una minoranza molto forte. ". "Noi alla fine speriamo di arrivare alla pace - conclude Lu'y - perché tutti rispettano la vita".

Sicuramente le leadership attuali dell'una e dell'altra parte non aiutano il processo di pace, così come non aiuta una certa dialettica del terrore che - seppur con diverse sfumature - esiste in entrambe le "fazioni". Troppo sangue è stato versato in Terra Santa, troppo per non covare ancora rabbia nei confronti del fratello diverso oltre il filo spinato. Forse la guerra finirà quando palestinesi e israeliani si renderanno conto di essere figli della stessa identica terra: una terra che può ospitare, in pace, entrambi i popoli senza muri, missili, check point e armi spianate.