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La bottega di Zia Vittoria - di Corrado Seddaiu

La bottega di Zia Vittoria - di Corrado Seddaiu
La bottega di Zia Vittoria - di Corrado Seddaiu
Patrizia Anziani

Pubblicato il 10 May 2020 alle 21:02

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Padru, 10 maggio 2020 - A Sa Pedra Bianca fino agli anni 80 del secolo scorso, la bottega di zia Vittoria, così la chiamavano anche coloro che a lei non erano legati da nessun vincolo di parentela, era un punto di riferimento e di rifornimento alimentare e non solo, per i residenti della piccola frazione del comune di Padru ¹ che oggi arriva con fatica a cento anime considerando anche l’agro di Sas Enas. Durante le vacanze estive la mia famiglia, originaria del borgo, migrata lontano in città negli anni sessanta per lavoro, tornava sempre a riabbracciare i nonni e contemporaneamente a riaprire la casa che mio padre aveva realizzato nella prospettiva di un ritorno dopo la pensione. Dalla città, mia madre portava una spesa che si esauriva nell’immediato fra regali, spuntini improvvisati con parenti, amici e conoscenti che venivano ad accogliere il nostro ritorno dopo quasi un anno di assenza. Arrivava quindi il tempo di uno dei momenti che sia io che mia sorella ancora ricordiamo con piacere e cioè la visita a zia Vittoria, per noi allora bambini sinonimo di gelati, caramelle, dolci e leccornie varie rigorosamente regalateci in qualità di nipoti che vivevano lontano. In realtà zia Vittoria era la zia di mia madre, ma per noi e per tutto il borgo era la zia. Andare da zia Vittoria era sinonimo di “andare alla bottega per comprare qualcosa di necessario”. Varcata la porta d’ingresso che sapeva più di casa che di bottega, si entrava in una piccola stanza dove c’era tutto l’indispensabile per quei tempi, dove il superfluo era un lusso e un peccato allo stesso tempo. La mercanzia era conservata in mobili color pastello dai grandi cassettoni chiusi che venivano aperti all’occorrenza, alcune cose erano disposte in maniera ordinata nella parte superiore dei mobili, senza nessun tipo di espositore commerciale o spesso in alcune mensole ricavate all’interno delle mura tipiche delle case agropastorali sarde. Zia Vittoria era anche edicola, anche se in realtà vendeva solo qualche copia del quotidiano che il postino portava con sé insieme alla posta per fare un favore all’edicolante del paese a valle, permettendogli di vendere qualche copia in più e allo stesso tempo aiutando la piccola comunità a soddisfare la sete di notizie. La bottega di zia Vittoria aveva pochi concorrenti, giusto qualche ambulante nuorese che con il suo furgoncino portava mercanzie dalla pianura della Baronia fra la costa di Posada e Siniscola, e a volte qualche nordafricano che vendeva prodotti per la casa, tappeti, cuscini e altre meraviglie stipate in pochissimo spazio. Quando queste vetture arrivavano strombazzanti fra i vicoli del borgo, a poco a poco una piccola folla si radunava e difficilmente qualcuno andava via senza aver concluso qualche affare. Una volta chiesi alla nonna che si accingeva ad acquistare qualcosa da una di queste botteghe ambulanti perché comprasse un altro vaso decorativo simile a quello acquistato il mese scorso. Ricordo molto bene la sua risposta con il sorriso sulle labbra ”Fizzu meu , non so che ne farò di questo vaso, ma non posso prendere altre cose perché le ho già impegnate con zia Vittoria, ma se non acquistassi nulla questo signore avrebbe percorso tanta strada, consumato carburante senza aver guadagnato niente e magari potrebbe in futuro decidere di non avere più convenienza a venire quassù da noi”. Una delle differenze che appare evidente rispetto alle realtà commerciali odierne sta nel rapporto sacro con i beni ,“sos benes ”, lontano dagli sprechi e dalle immagini della grande distribuzione che trasforma in rifiuti prodotti invenduti. La merce all’interno della bottega era preservata, nascosta, protetta dalla vista come esige un tesoro dagli estranei, in barba agli esperti di marketing che oggi apparecchiano i nostri supermercati di prodotti a portata di naso per favorire i cosiddetti acquisti d’impulso che generalmente riguardano beni superflui. Nelle botteghe come queste si andava a prendere il necessario, cosa che vale ancora oggi per i nostri piccoli paesi e nelle terre di margine. Alberto Cabboi in una riflessione pubblicata sui social il 12 marzo descrive la vita ad Armungia, paese nel sud della Sardegna ai tempi del coronavirus: “Ad Armungia, puoi fare la spesa nelle piccole botteghe del paese, prenderti cura dell’orto o del giardino, andare al tabacchino da Gigi. A fare un giro oggi nei nostri piccoli centri, dimenticati tra gli Apennini o nell’entroterra della Sardegna, destinati secondo gli studiosi a scomparire nel giro di pochi decenni, si trovano poche differenze rispetto a dieci o venti giorni fa. Segno tangibile di come queste minuscole realtà siano abituate a vivere con meno, a stare senza cose non indispensabili, ad accontentarsi in misura maggiore dell’essenziale.” ² La vita nei piccoli centri non pare cambiata eccessivamente con la pandemia, le immagini delle città vuote si riflettono in quella dei piccoli paesi dove la vita aveva rallentato così tanto da apparire immobile come se il virus vi abitasse da tempo immemore. Ma oggi l’importanza di alcuni presidi essenziali come le botteghe di vicinato è stata riscoperta. Falcidiati da ipermercati e centri commerciali, sono diventati essenziali per la popolazione anziana e non solo, sopratutto in questo periodo storico dove gli spostamenti sono limitati. Piccole botteghe che hanno fatto la storia del territorio e che resistono contro giganti come quelli del web. Quando questo virus sarà lontano occorrerà riflettere e ripensare sul ruolo fondamentale che svolgono i piccoli negozi in particolari nei piccoli paesi, non solo come luogo d’incontro e di mantenimento della cultura territoriale ma anche di presidio irrinunciabile al pari di altri. Luoghi d’incontro e di servizio, ma anche veri e propri uffici turistici per i visitatori, attività che spesso lavorano in perdita ma resistono per gli altri. “Nei luoghi, e sono tanti, dove ci sono solo il negozio di alimentari e l’edicola è qui che un genitore, un nonno o uno zio può trovare il regalino, il giocattolo o la rivista per l’infanzia che al ritorno spianerà un sorriso che apre il cuore alla speranza. Può sembrare una piccola cosa, ma solo chi si è specchiato nel sorriso spensierato di un bambino può capire quanto sia importante”.² A Sa Pedra Bianca, Zia Vittoria ha chiuso da molti anni. La sua bottega, non ha resistito. In momenti come questo si sente la necessità di posti come il suo. Il web e il centro commerciale in questo periodo rivelano la loro distanza. Oggi anche se ti occorre il caffè, il sale ma anche una matita e un quaderno, si è costretti a spostarsi di 20 km o a stare senza. Il web pur veloce non può soddisfare né queste esigenze ma soprattutto non può sostituirsi a quello che le tante zia Vittoria sparse nei territori marginali della penisola possono offrire per le comunità. Col senno di poi, del post pandemia, le istituzioni dovranno necessariamente prendersi cura di questi attori che sono spesso singoli cittadini ma anche giovani che si uniscono in cooperative di comunità come a Monticchiello in Toscana dove con gioia e rivoluzione si gestiscono botteghe e ristorante ma ci si preoccupa anche dell’appetito culturale dei residenti con il teatro. Sarà la fiscalità di vantaggio ad aiutare queste realtà virtuose? Sarà sicuramente auspicabile e necessario, ma ancora una volta molto dipenderà da tutti noi, da quel tanto agognato cambiamento di paradigma con propulsione dal basso che si attende da tanto, troppo tempo. In questi tempi di sceneggiature che ricordano realtà distopiche post apocalittiche più che realtà virtuose, sarà necessario affinare la capacità di pianificare il nuovo, nella complessità di territori che sono fra loro diversi. “La pandemia sorprende i territori e li obbliga a modificare gli approcci, le strategie e le iniziative”. ³ La pandemia ha messo a nudo lo scenario, i limiti dell’uomo metropolitano. Complice anche la crisi climatica, la nuova realtà può diventare la piattaforma su cui riorganizzare e ripensare i modi di vivere, la produzione ma soprattutto può essere l’ opportunità di ricollocare l’uomo in una dimensione di convivialità con l’ambiente che lo circonda. Pianificare questa sfida diventerà auspicabilmente l’obbiettivo dell’umanità dei giorni a venire. © Corrado Seddaiu 1. Comune situato nel nord-est Sardegna. 2. D. Scano, La Nuova Sardegna, sabato 11 aprile 2020. 3. Da Habit-a.eu. Sfide dei territori montani ai tempi del COVID-19. 10-04-2020. Diamo il benvenuto al sociologo Corrado Seddaiu, nuovo ospite della rubrica OLBIAchefu. Il dottor Seddaiu ha 47 anni, è nato a Sassari, ma ha origini galluresi. Completati gli studi in sociologia ad indirizzo antropologico presso l'Università La Sapienza di Roma, Corrado ha deciso di trasferirsi a Padru, paese di origine dei suoi genitori. Grazie all'associazione culturale Realtà virtuose di cui lui è Presidente e insieme all'archeologa Silvia Selis, il sociologo Alberto Monaco, l'esperto di grafica e informatica Mauro Ghezzo, e Pietro Pedone, da alcuni anni portano avanti alcuni interessanti studi e progetti all'avanguardia sul fenomeno dello spopolamento in Sardegna.