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La battaglia di Passo di Buole nei ricordi di Giorgio Bardanzellu

Terza e ultima parte del volume “Pagine di Guerra”

La battaglia di Passo di Buole nei ricordi di Giorgio Bardanzellu
La battaglia di Passo di Buole nei ricordi di Giorgio Bardanzellu
Federico Bardanzellu

Pubblicato il 25 April 2021 alle 18:00

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Luras. Concludiamo la pubblicazione del volume “Pagine di Guerra” (35 pp.), edito nel 1958, per i tipi dell’editore Gatti. Oggi è on-line la terza ed ultima parte. Come già detto, il libro è stato scritto in prima persona da uno dei testimoni della “Grande Guerra” 1915-1918, il lurese Giorgio Bardanzellu. In questa terza puntata sono narrate le vicende vissute durante la battaglia del Passo di Buole (31 maggio 1916). Il passo fu anche soprannominato "Le Termopili d'Italia", essendo un passaggio obbligato che gli Austriaci avevano scelto per sfondare verso la Pianura Veneta, nell'operazione passata alla storia come "Strafexpedition". L'esercito italiano, dove militavano molti combattenti sardi, invece, resistette, vanificando il tentativo nemico. Cliccando qui potete leggere la prima parte e qui la seconda parte dell'articolo dedicato al volume di Giorgio Bardanzellu.     LA BATTAGLIA DI PASSO BUOLE 30 Maggio 1916 Il 207° Reggimento Fanteria (Brigata Taro), ricostituito ad Avio dopo gli epici combattimenti del 15, 16, 17 maggio 1916 in Val Lagarina, andò a presidiare le posizioni di Cima Mezzana e di Passo Buole, sul crinale di monte che, partendosi dal Coni Zugna, fa da spartiacque tra Val d'Adige e Vallarsa. Da una parte, a ponente, la Valle del Gatto scendeva a precipizio verso l'Adige che fluiva solenne in un grigiore opaco di piombo. A nord la Cima Mezzana, alta circa 1700 metri, formata a cupola, tagliata a mezza costa da un nastro di strada che con rossicci serpeggiamenti ne disegnava le insenature, sovrastava con la sua imponenza il Passo di Buole, che tra le alte cime, si presentava basso come un groppone di monte schiomato e sconvolto dalle granate. A levante, simile ad un immenso anfiteatro di smeraldo si apriva la Vallarsa, densa di vegetazione. Fiumi di verde scendevano, rapidi, dalle creste a sommergere i borghi di fondo valle che si salvavano alla vista con le guglie dei campanili protese al cielo e sforacchiate dal cannone. Giù, giù, sprofondate fra pareti di rocce, gorgogliavano le schiumoseacque del Leno. Sulla sponda destra una bella strada carrozzabile scendeva dal Pian delle Fugazze, si allungava, bianca, fino al munitissimo forte Pozzacchio e andava a Rovereto a portarvi il saluto d'Italia.Altre strade si irradiavano da essa in tutte le direzioni. Una, ben tenuta e ben battuta, partiva da Anghebeni e, insinuandosi nel Vallone di Focsi, si arrampicava, a spirale, sulla nuda scogliera di Monte Corno, sacro al valore e al martirio di Cesare Battisti.Da per tutto si notava, dall'alto, un cauto movimento di carri e di uomini. Affluivano le riserve nemiche per gli assalti decisivi. La nostra linea partiva dal Pasubio, che chiudeva a sud-est il nostro orizzonte e, tra scoscedimenti di valli e di selve, scendeva fino al villaggio di Chiesa. Qui la trincea, scavata nella terra in campo scoperto, fu presa a bersaglio dalle artiglierie più potenti e più. lontane che la tempestarono di colpi imprimendo al terreno circostante l'aspetto di un paesaggio lunare. Dal villaggio di Chiesa la linea seguiva le anfrattuosita del terreno, creava un sacco in mezzo al quale sorgeva il torrione del Parmesan che gli austriaci avevano costellato di mitragliatrici, e si riallacciava con l'andamento non ben precisato, fra salti di rocce e insidie di boschi, alla trincea nostra di Cima Focolle. Da tre giorni gli Austriaci avevano saggiato con prudenti attacchi le nostre posizioni. Avevamo di fronte fino alla Valsugana l'XI Armata Austro-Ungarica, comandata dal Generale Dankl, che comprendeva l'VIII e il XX Corpo d'Armata, agli ordini, questo, dell'Arciduca Ereditario Carlo. Nel settore che va dall'Adige alla Vallarsa noi opponevamo le forze della XXXVII Divisione agli ordini del Generale Ricci Armani. Il 30 maggio 1916 il bombardamento nemico, sospeso durante la notte, ricominciò con rabbia inaudita nelle prime ore del mattino mentre le ultime stelle impallidivano e un chiarore diffuso inondava le vallate aumentando la lucentezza dei ghiacciai lontani. Da tutti i monti intorno, dallo Spiel e dal Finonchio, dal Col Santo e dal Pozzacchio i proiettili giungevano rombando e si abbattevano sulle nostre posizioni con lo strepito dell'uragano. La nostra linea era diventata un cratere in eruzione. E fra gli schianti e i crolli si annunziava da lontano, con tortuosi boati, che dominavano tutti i frastuoni possente e tremendo, il 420 che arrivava come un ciclone tra laceranti sibili, si abbatteva con la furia della valanga ed esplodeva con la potenza del tuono," sollevando globi di terra e colonne di fumo che andavano ad oscurare il sole, quasi a nascondere a Dio la vasta rovina compiuta. Ma i cannoni ebbero cattivo pasto in quel giorno. Non sempre colpirono a segno. II nostro schieramento si avvantaggiava di posizioni naturali assai favorevoli. Ci eravamo asserragliati dietro il crinale che segnava il displuvio fra Val d'Adige e Vallarsa e che costituiva per noi un utile riparo. Quasi sempre i proiettili o ne martellavano il dorsale, lasciandoci salvi, o superavano la linea andando a rompersi fra le pietre di fondo valle. Le mie mitragliatrici (III Sezione del 207° Fanteria), incastrate in spacchi di roccia dominavano col loro tiro falciante l'ampiezza delPasso. Le vedette segnalavano le mosse delle fanterie nemiche mentre perdurava, ostinato, il martellamento dei cannoni. Noi occupavamo una linea improvvisata senza reticolati e senza difesa accessorie. Le nostre sorti, erano affidate al vantaggio del terreno e al valore dei soldati. Ma tutti sapevamo che su quei monti si decidevanole fortune d'Italia. Gli austriaci col favore di una improvvisa nebbia e della boscagliainiziarono la marcia di avvicinamento arrampicandosi per l'erta, cauti e silenziosi.Si slanciarono poi in file serrate tra gridi di hurrà e scoppi di bombe. I nostri soldati, già impazienti di battersi, balzarono dalla trincea come se fossero scaturiti dalla terra. Là dove il nemico credeva di aver seminato con l'artiglieria la distruzione e la morte, si trovò di contro muraglie di cuori ardenti, petti gagliardi di difensori, punte affilate di baionette. Come se le pallottole, fischiando, suonassero una musica di incitamento i nostri fanti, impavidi, puntavano e sparavano a colpo sicuro. Di fronte e di fianco le mitragliatrici, con tiro rapido, fulminavano i bersagli.Il fuoco divampò per tutta la lìnea con schiocchi di fucileria, con rombo di bombe a mano, con moltiplicato rullo di mitragliatrici. In violenti corpo a corpo i nostri mantennero, con fermezza, le posizioni. Si batterono tutti coraggiosamente. Gli ufficiali, imbracciato i fucili, nel culmine della lotta, davano l'esempio. Le schiere nemiche di assalto, davanti a così strenua resistenza, ripiegarono decimate e malconce, ondeggiarono e scomparvero nei boschi. Altre ne sopraggiunsero con formazioni fresche. Con sprezzo evidente del pericolo passarono sopra i loro morti,superarono i loro feriti e, bravi e risoluti, guadagnarono lo spazio che lì separava da noi. Li accolse una scarica precisa, rapida, violenta. Le canne delle nostre mitragliatrici diventavano roventi per il tiro incessante.Ad un certo punto una loro arma arditamente trasportata al sommo di una nostra trincea aprì, d'infilata, contro di noi un fuoco d'inferno. Vi fu un momento di scompiglio. Ma, per fortuna, un aggiustato colpo a zero di un cannoncino nostro da montagna mandò in aria la macchina e i serventi. Però gli austriaci ritentarono la prova colmando i vuoti e spingendo avanti le loro riserve. Il gioco valeva ben la posta.Un onda umana, come un maroso infuriato, si rovesciò su di noi. Un grido solo li investì e li avvolse: Savoia! Anche i feriti incitavano e sparavano. Bisognava salvare l'Italia o morire: poiché della salvezza d'Italia si trattò appunto a Passo Buole. II miracolo si compì. Dopo un feroce corpo a corpo, gli austriaci, scompaginati, sbalorditi, punti alle reni dalle baionette, si volsero in fuga ripiegando tra le rupi e il bosco. L'attacco ancora rinovato, come ultimo tentativo, si infranse senza rimedio. La battaglia era vinta. A sera, il Comandante della Divisione, Generale Gualtieri, comunicò al Comando Supremo le parole memorabili: « Non abbiamo ceduto di un passo e non (tederemo finché ci sarà un uomo ». Il Bollettino di guerra del 31 maggio 1916 citava all'ordine del giorno della Nazione * le animose fanterie del 61° e del 62" Reggimento Fanteria (Brigata Sicilia) e del 207° Fanteria (Brigata Taro) che a Passo Buole irruppero più volte dalle trincee, ricacciando l'avversario alla baionetta ».Poi l'urlo della battaglia si affievolì. Gli austriaci presero posizione in fondo valle e noi ci preparammo alla vittoriosa controffensiva di giugno.