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Pubblicato il 17 October 2019 alle 15:41
Olbia, 17 ottobre 2019 - Varcare la soglia del secondo campo rom di Olbia, divenuto in un lasso di tempo piuttosto breve una mega discarica abusiva, è come entrare in un mondo parallelo.
Tra lo svavillante luccichio del centro e il buio di Sa Corroncedda c'è l'abisso dell'abbandono, dell'occhio che non vede e del cuore che non duole, del pregiudizio e di una integrazione che fatica a entrare veramente a regime.
Nonostante l'ordinanza del 3 ottobre scorso che sanciva lo sgombero del campo e la conseguente perimetrazione del sito, i cinque nuclei famigliari che non sono riusciti a trovare una sistemazione alternativa ieri sera erano ancora a Sa Corroncedda e il campo era facilmente raggiungibile.
Giungere al tramonto significa poter vedere con i propri occhi cosa vivono queste cinque famiglie.
La strada che porta a ciò che rimane del campo inizia a essere costellata da una montagna alta di rifiuti fin dal depuratore di Abbanoa.
La montagna diventa sempre più alta fino a che non arriva a quello che una volta era un incrocio: a sinistra si girava per entrare nel campo, si procedeva dritti per raggiungere le altre case della zona e il Padrongianus.
Oggi questo incrocio non esiste più: la strada per il Padrongianus è interrotta da un cumulo di rifiuti.
Si è perciò costretti a girare a sinistra, tra due immense montagne di rifiuti alte almeno 2 metri.
L'accumulo ha proporzioni immense: solo recandosi sul posto si ha davvero la percezione di quanto grave sia la situazione per l'ambiente e per le persone che vivono ancora lì.
Solo dopo metri e metri di cumuli si arriva a ciò che rimane del campo, punto in cui vivono, adattandosi a una situazione difficilissima, ancora dei nuclei famigliari.
Sono 30 i cittadini che non hanno trovato ancora una sistemazione alternativa: si tratta di 5 famiglie con una decina di minori presenti che meritano una condizione abitativa migliore.
Poiché il campo è "chiuso", non vi sono i servizi primari: non c'è l'elettricità, non c'è l'acqua.
Non è ammissibile lasciare 5 nuclei famigliari in balia degli eventi e in condizioni igieniche precarie, con lo spettro incombente dei topi attirati dai cumuli.
Il campo, infatti, è ancora meta di continui scarichi compiuti da soggetti che arrivano dall'esterno e che contribuiscono ad aggravare ulteriormente la situazione.
Dei rom si è detto e si dice tutto e il contrario di tutto, ma questi rom - i nostri rom - sonocittadini italianie sono olbiesi ormai di terza generazione.
Sul processo di integrazione dei cittadini di etnia rom e sinti, favorito dai fondi che l'Europa mette a disposizione, possiamo dire molte cose.
Di certo, a Olbia, sono stati fatti grossi passi in avanti su diversi aspetti (per esempio sulla scolarizzazione), ma è chiaro - a fronte di ciò che è successo - che qualcosa, nell'ingranaggio, è inceppato.
Non basta chiudere un campo per fare integrazione, non basta mettere a correre dei fondi per creare una comunità accogliente, non basta spostare nuclei famigliari da una parte all'altra di un territorio per far sì che le persone vogliano essere accolte o si sentano accolte all'interno di una comunità.
Intanto che le istituzioni riflettono sul significato della parola "Integrazione" e sulle azioni da prendere (è da sottolineare che l'Assessorato ai Servizi Sociali segue da vicino queste famiglie), è doveroso risolvere l'emergenza umanitaria che si è creata a Sa Corroncedda nel più breve tempo possibile.
Qualche novità potrebbe esserci nei prossimi giorni poiché il Comune avrebbe trovato una struttura idonea dove trasferire questi 5 nuclei famigliari.
Oggi è il 17 ottobre: quando saranno messe in sicurezza quelle famiglie?
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