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Olbia, dopo le vacanze Pasquali riprendono le catechesi delle 10 Parole

Il lavoro: una porta che spalanca il Cielo

Olbia, dopo le vacanze Pasquali riprendono le catechesi delle 10 Parole
Olbia, dopo le vacanze Pasquali riprendono le catechesi delle 10 Parole
Ilaria Del Giudice

Pubblicato il 04 May 2025 alle 11:00

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Olbia. Nella Parrocchia Sant’Ignazio, dopo la pausa durante le festività pasquali, sono riprese le catechesi del cammino spirituale delle 10 Parole nel quale, Padre Fabio Basciu e Padre Maurizio Gaviano, stanno presentando i 10 comandamenti, sulle orme di don Fabio Rosini (l’ideatore del percorso), in modo del tutto originale e attuale, contestualizzandoli nella realtà odierna. Tema dell’ultimo incontro, a proposito del comandamento “NON RUBARE” e in linea con i festeggiamenti del 1° Maggio: il lavoro.

Dopo aver spiegato il senso profondo che il Catechismo della Chiesa Cattolica attribuisce al furto, ovvero alla privazione di beni necessari alla vita che dovrebbero essere garantiti a ciascuno per diritto di nascita, anche qualora appartenessero al “ladro” umanamente in senso di possesso. Infatti l’uomo, nella concezione cristiana, sarebbe un amministratore di beni universali che Dio ha donato all’Umanità seppur non distribuiti in egual misura. Sta all’uomo amministrarli con saggezza e generosità e distribuirli affinchè a nessuno manchi il necessario. “Il grano, per esempio, non cresce dovunque, ma il pane serve a tutti – ha fatto notare Padre Fabio, spiegando - Il proprietario di un determinato bene diventa così un amministratore della Divina Provvidenza rispetto a quel bene. Il significato profondo del comandamento “Non rubare” è quello di amare con i beni. E qual è la maniera con cui Dio ha stabilito che l’uomo debba procurarsi i beni? Il lavoro”.

La domanda che ha seguito questa riflessione come naturale conseguenza è stata: “Perché lavoriamo? Qual è il senso profondo del nostro lavoro?”. Anche se possiamo essere animati da ideali più o meno alti, tutti fondamentalmente lavoriamo per sopravvivere, per poterci procurare il denaro che si serve al sostentamento. In certi casi, poi, scegliamo, quando possibile, un lavoro che ci gratifichi, per realizzarci a partire dal coltivare le nostre passioni. Ma questo non è sufficiente a darci una felicità piena perché, nel piano originario di Dio, il lavoro assume il valore del servizio agli altri. Va da sé che, se si lavora solo per guadagnare, il focus del lavoro sarà posto sul proprio ricavo e, di conseguenza, l’altro ignorato. A questo punto non c’è da meravigliarsi che, nel mondo del lavoro, si assista spesso a situazioni di disonestà o di pigrizia. Detto con le parole del relatore: “Se si snatura il senso profondo che Dio ha pensato per il lavoro, ovvero quello di essere un servizio fatto per amore al prossimo, questo diventa insipido e insoddisfacente, un atto inautentico incapace di rendere felici. Un bene fatto senza amore, per egocentrismo, per autoedificazione, anche se con un lavoro onesto, umilia, ferisce. Infatti chi fa un atto buono per sentirsi caritatevole non si preoccupa di chi lo riceve ma solo di sé stesso. Lavorare serve per amare. Il vero senso del lavoro è amare qualcuno. Se non lavoriamo con questa logica, in un certo senso, stiamo “rubando” perché il nostro lavoro diventa una grande menzogna che ci raccontiamo”.

In alcuni casi, poi, il lavoro può trasformarsi anche in qualcosa che ci “ruba” del tempo prezioso perché viene utilizzato come scusa per scappare dalla propria vita personale e familiare con tutte le sue sfide e difficoltà. Ha commentato ancora Padre Fabio: “Il lavoro, di per sé, non è idolatria, ma in certi casi ci si costruisce un idolo del lavoro. Il lavoro è, nel piano originario di Dio una cosa buonissima, tant’è che la sua benedizione all’uomo passa attraverso il lavoro. E’ una delle forme che ha l’uomo di assomigliare a Dio: essere l’immagine di Dio su questa Terra, che è sempre all’opera. Siamo chiamati a essere gli amministratori di questa Terra per il bene dei fratelli e del Mondo stesso. Il lavoro ha un senso vero autentico solo se diventa strumento d’amore. È giusto essere retribuiti per il lavoro che si fa, avere anche un vantaggio economico, ma è solo quando si accetta che il proprio lavoro diventi una missione di vita che questo si può trasformare in una grande catechesi costante. Dio ci vuole dare l’eternità attraverso il lavoro. La nostra vita e il nostro lavoro sono sacri e, se noi lo vogliamo, possono parlano di Dio. Qualunque lavoro, anche il più umile, è una porta sul cielo. Dio spalanca le porte del Regno dei Cieli proprio attraverso il lavoro. In ogni lavoro c’è qualcosa di meraviglioso da fare. Gesù ha fatto il falegname. È impressionante vedere che le sue mani, mani di falegname, furono inchiodate proprio al legno. Se mettiamo amore in quello che facciamo, permetteremo a Dio di manifestarsi nel nostro lavoro”.

La catechesi si è poi rivolta ad un altro aspetto importante del lavoro: la pigrizia. Padre Fabio, a partire dal celebre passo della Scrittura di San Paolo che recita “Chi non vuol lavorare, neppure mangi” ha fornito una descrizione originale del “vero pigro” che no corrisponde esattamente a ciò che siamo convenzionalmente abituati a far rientrare in questa categoria. Ha spiegato infatti il relatore: “Ci sono persone in perenne multitasking, ma incapaci di trovare del tempo per i loro doveri reali. Le persone molto agitate, in genere, sono persone che scappano. Il vero pigro è colui che vuole fare tutto ma in realtà non conclude nulla. Quello che non compie la propria missione, che non fa ciò veramente conta (ovvero quello che se non lo fa lui, nessun altro potrà farlo al suo posto). Molte volte siamo pigri anche con i figli: li “lanciamo” fuori, nel mondo, per non tenerli a casa perchè non sappiamo gestirli. E, così facendo, li facciamo diventare inconcludenti. Stare a casa, all’interno della famiglia, viene difficile a molti perché ci siamo alienati. Esiste una meravigliosa alienazione che da una giustificazione fortissima e inattaccabile: il lavoro. Questo può portare a procurarsi da soli i problemi a lavoro, i target da raggiungere, ecc, proprio per scappare dalle responsabilità. Uno dei sistemi migliori per non fare niente è infatti fare qualcos’altro. Tutto tranne ciò che dovremmo fare”.

Infine, l’incontro si è concluso con un invito ripreso dalla preghiera del Padre Nostro: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Padre Fabio ha così invitato i presenti a “mangiare ognuno il proprio pane”, inteso come ciò che Dio da, a ciascuno in modo personale, per poter essere pienamente realizzati e felici, senza incorrere in paragoni e inutili competizioni: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano può tradursi con “mangia il tuo pane, non desiderare quello degli altri”. Sei insoddisfatto perché non mangi il tuo pane e ti riempi la pancia dell’anima con tutto quello che passa: sei affamato ma ti sazi di cibi che non ti fanno bene. Il tuo pane è il tuo lavoro, la tua famiglia. Il nostro pane è il presente. Insoddisfatti, infelici, pensiamo sempre che il nostro cibo sia altrove e non mangiamo il pane che Dio ci dà. Sarai felice quando saprai stare nella tua storia. Sprechiamo un sacco di tempo in cose futili. Quando mangerai il tuo pane si placherà la tua fame. Quel pane è la tua missione. Abbiamo bisogno di imparare a vivere con ordine. Per fare disordine nelle nostre vite ci vuole un attimo. Poi sistemare è faticoso, e per rimettere in ordine alcune cose, a volte ci vuole una vita intera. Incominciamo a mettere ordine nella nostra vita. In fondo, la regola che accomuna ogni lavoro è una: l’ordine. Le cose devono stare al loro posto. Bisogna iniziare dalle cose più urgenti. Per mettere ordine bisogna innanzitutto fare spazio, buttare ciò che fa male. Imparare a fare discernimento passa per una semplice ma fondamentale domanda: cosa devo fare nella vita? Da questa risposta dipenderà tutto il resto della nostra vita”.