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Gigi Riva come il DDT

Articolo di Marco Agostino Amucano

Gigi Riva come il DDT
Gigi Riva come il DDT
Marco Agostino Amucano

Pubblicato il 23 January 2024 alle 14:00

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Olbia. Correvamo su e giù nel marciapiede durante il tempo infinito di “Tutto il calcio minuto per minuto”. I pantaloncini a quadri principe di Galles imposti da mamme sadiche se ne infischiavano del freddo pungente di metà febbraio. Risolvevamo la contraddizione giocando a non stare fermi nemmeno un attimo.

Così anche il tratto di Corso Umberto I deserto, immerso nell’accidia pomeridiana delle domeniche di paese, contrastava –giustificandolo - il Bar Italia stipato di uomini che si accalcavano vocianti. Risuonavano nel caos generale, alternandosi nella grande radio a valvole, la voce rauca di Sandro Ciotti ed il “qui studio centrale” di Enrico Ameri.

Il bambino di nove anni qual ero si intimidiva all’idea di perforare l’impenetrabile selva di scarpe nere ben lucidate e di abiti domenicali che odoravano di un mix di naftalina, sigaretta, caffè ristretto e Vecchia Romagna Etichetta Nera, “il brandy che crea un'atmosfera”, come ripeteva da anni Gino Cervi nel Carosello. Toccava così a Guido, nipote del titolare del bar, “zio” Giovanni Deiana soprannominato “Cadrèa”, entrare e fare la solita domanda.

-Nonno, cosa sta facendo il Cagliari?

-Zero a zero.

-Quanto manca alla fine?

-Ventesimo del secondo tempo. Ce n'è ancora per segnare...

Ce n’era a sufficienza anche per noi, che di corsa scendevamo giù come razzi verso la stazione ferroviaria, per riprendere senza convinzione i giochi sospesi solo un minuto prima. Ma tre minuti dopo eravamo ancora davanti all’ingresso del bar, con Guido pronto a ripetere la stessa domanda. Sapevamo, noi piccoli sul marciapiede ed i grandi che trepidavano nel bar, che sarebbe successo. E ci pareva strano che non fosse ancora successo. Perché succedeva sempre che prima o poi arrivasse. Parlo, ovviamente, del gol di Gigi Riva.

Per come io vissi i trionfi del Cagliari nell’anno dello scudetto, il mitico 1970, il gol di Gigi Riva valeva quanto la conseguente vittoria, ovvero questa valeva la metà senza un gol del calciatore-mito dell’infanzia. Perché quelli di Riva non erano golletti da minimo sindacale di un centravanti qualsiasi. I suoi erano capolavori di potenza, di precisione chirurgica. Ogni pallone colpito dal suo piede sinistro disegnava nell’aria una perfetta linea retta. L’innocua sfera di cuoio diventava in una frazione di secondo devastante come la palla di un cannone napoleonico piazzato a dodici metri dalla linea di porta. Roba da balistica militare.

Luigi Riva con la maglia del Cagliari campione d'Italia. Settembre 1970

Senza pensarci troppo, il tempo di scrivere un articolo, Gianni Brera ribattezzò Gigi Riva “Rombo di Tuono”. Non tenne in conto, il grande giornalista cultore di barolo d’annata, che Gigi Riva poteva essere anche fulmine, ma soprattutto bocca da fuoco. E quindi –pensavo, e lo penso tuttora – “Rombo di Cannone” avrebbe reso maggiore giustizia all’evidenza di quelle bordate. Ma, si sa, non sempre la ferrea logica determina il successo di un soprannome.

La ricchissima mitografia creata intorno alla leggenda vivente di Gigi Riva è talmente nota che ci parrebbe poco originale riproporne anche solo una minima parte, seppure si sia certi che il tifoso, o anche solo l’amante dello sport, la gradirebbe comunque. Un vero eroe d’altronde è destinato alla reiterazione eterna e ciclica dei racconti delle sue gesta, come accade per Gilgamesh, Ercole, Giasone, Achille, Ulisse, Orlando il paladino e così via. Che poi i sardi, da buoni isolani, ed ancor più i sardi che vivono fuori dall’isola, tendano ancora a rendere ossessiva la ripetizione di quelle gesta, si può umanamente comprendere.

Non si è mai visto infatti un attaccante così straordinariamente efficace e spettacolare, non solo nell’Italia del dopoguerra, ma nemmeno dal giorno in cui il football venne importato nel Bel Paese. E soprattutto resta ancora incredibile, per chi sardo non è, che un campione di tale caratura decidesse di giocare solo e sempre in una squadra comunque di provincia, quale è e sempre sarà il Cagliari, rifiutando sdegnato le offerte miliardarie persino di un Gianni Agnelli, l’uomo cui non si poteva dire di no. Caso inedito nella storia del calcio professionistico, soprattutto se rapportiamo l’anomalia al valore sublime del campione. Eroico, doppiamente eroico.

Gigi Riva riesce a tirare nonostante Roberto Rosato e Karl Heinz Schnellinger, i due grandi difensori del Milan della fine degli Anni Sessanta

Gigi Riva è nel suo eroismo un terapeuta collettivo della psicologia del sardo, perché ne ha riscattato il plurisecolare e malcelato complesso di inferiorità.

Se uno come Riva ci ha scelto definitivamente, allora valiamo definitivamente qualcosa, allora non siamo solo terra da esilio e da confino, non siamo solo terra di pecore da latte, di pastori mastrucati e di belati, gli stessi che le curve nord degli stadi ci rivolgevano e ci rivolgono ancora in trasferta, ma che non vengono stigmatizzate come "razzismo", da sanzionare con multe salate o sospensione di partite, perché quei versi non sono i “buuuuh” rivolti a Balotelli. Non è solo questione di vocale, ma lasciamo perdere le polemiche.

Gigi Riva, lo ha detto e ripetuto, sa benissimo che i pastori sardi sono degni del massimo rispetto, e che la patente di imbecille deve essere data a chi non apprezza un mestiere così duro, antico e nobile, lo stesso di Abramo e di re David.

Certo, quel complesso di inferiorità da seconda rivoluzione industriale, stupido, insensato, inconscio se vogliamo, era sbagliato averlo, quantunque non tutti i sardi lo avevano o lo hanno. Ma Gigi Riva – più dell’Aga Khan- ha aiutato molti di noi a liberarsene, a capire che era anacronistico ritenerci ancora luogo da condanna ad metalla; che siamo un popolo straordinario e una terra unica; che era sbagliato farsi falcidiare dai luoghi comuni e dai giudizi impietosi, come per millenni siamo stati falcidiati dalla malaria.Sotto questo punto di vista, Gigi Riva coi suoi gol e la sua scelta di vita è stato come un DDT per i nostri complessi di inferiorità geo-storica.

Un riscatto passato dalla vittoria dello scudetto, quanto, se non di più, dal “gran rifiuto” di Gigi al padrone storico della Fiat e della Juventus. È per questo che i sardi lo adorano, più ancora che per le reti sfondate col sinistro. Fenomeno nel calcio, fenomeno come uomo e nella scelta di vita definitiva. Grazie Gigi, ed auguri di cuore per il tuo settantacinquesimo compleanno. Vengono con qualche giorno di ritardo, ma mi perdonerai sapendo che sono fatti da uno che aveva lo stadio Amsicora troppo lontano, e che da piccolo era costretto a consumare il marciapiede davanti a casa solo per sapere se tu avevi segnato.

In foto Gigi Riva durante i mondiali in Messico del 1970

Articolo pubblicato il 10 novembre 2019 in occasione del settantacinquestimo compleanno del campione Gigi Riva (Leggiuno 7 novembre 1944 - Cagliari 22 gennaio 2024).