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Rubens D'Oriano, cantore dell'Olbia dei Greci

Rubens D'Oriano, cantore dell'Olbia dei Greci
Rubens D'Oriano, cantore dell'Olbia dei Greci
Marco Agostino Amucano

Pubblicato il 01 March 2020 alle 17:39

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Olbia, 1 marzo 2020- Aleggia un’aria piuttosto mesta, nell’ampia sala convegni del Museo Archeologico, quando alla fine della serata l’assessore alla Cultura Sabrina Serra consegna a Rubens D'Oriano una targa ricordo a nome dell’amministrazione comunale e della cittadinanza.

Grazie per tutto quello che ha fatto con competenza e passione per la città, questo più o meno il contenuto delle poche e sincere parole incise nel metallo. Il sindaco Settimo Nizzi, che fu anche sindaco della “Olbia da bere” dei primi anni Duemila, quella che precede crisi del 2008 e insulso patto di stabilità, colui che –chi scrive lo sa benissimo per diretta esperienza - con tanto entusiasmo ha sempre voluto uno sviluppo della città non disgiunto dall’impegno per la valorizzazione dei beni archeologici, riconoscendo all’Archeologo un ruolo fondamentale, è anche lui un po’ commosso, ma solo chi lo conosce bene se ne accorge.

È rotta dall'emozione anche la voce di Gianni Muzzu, preside del’ITCT Dionigi Panedda, quando presenta l’efficace video-spot dei suoi alunni, girato presso il tratto delle mura puniche di Via Torino.

L'assessore alla Culura Sabrina Serra, il sindaco Settimo Nizzi e l'archeologo Rubens D'Oriano

Va in pensione dopo trentasei anni, il dr. Rubens D’Oriano, ispettore prima e direttore dopo della sede staccata della soprintendenza archeologica “per le provincie di Sassari e Nuoro” (io la chiamo ancora così nonostante la girandola di nomi che cambiano come il tempo a marzo, e come ai tempi della soprintendente Fulvia Lo Schiavo, purista della grammatica che in “provincie” ci volle mettere giustamente la “i”).

Il tempo passa per tutti, e neanche chi del passato ne fa una professione può permettersi di fermarlo. Ma c’è archeologo e archeologo, e D’Oriano è archeologo vero, archeologo di razza, come pochi lo sono. Uomo di scienza più che da carta intestata della Soprintendenza, nonostante sia stato anche impeccabile ed appassionato funzionario ministeriale della tutela del bene archeologico, si laurea a Pisa in tempi in cui il greco e il latino se non li inserivi nel piano di studi non ti laureavi; in tempi in cui le cinquanta pagine non erano quelle di un'intera tesi di laurea, ma quelle limitate all’elenco della bibliografia consultata di una tesi vera e non per finta che se non ti prendeva almeno, ripeto, almeno un anno di vita, non ti facevano laureare; in tempi in cui la conoscenza dell’ortografia e della morfo-sintassi erano presupposti imprescindibili per laurearti in Lettere Antiche con indirizzo archeologico. In tempi in cui il sapere archeologico, tecnico e specialistico, doveva innestarsi su un preesistente, solido ceppo di conoscenze classiche storiche, linguistiche, letterarie, artistiche.

Oggi i tempi sono cambiati, e troppo pure, e “una laurea non si nega a nessuno”, si lascia scappare Rubens con ironica eleganza. L’importante - aggiungo io - è poi farsi chiamare “archeologo” con sussiego, una volta ottenuto il pezzaccio di carta con una tesi di poche pagine, ma tantissimi copiaeincolla. Non sarà così per tutti, direte. Ovvio, ma è meglio che mi fermi qui. Torniamo a Rubens.

Nessun archeologo meglio e più di lui ha rivoluzionato le conoscenze del passato della città felice nell’ultimo mezzo secolo, della Olbìa polis dalle aristocratiche origini orientali, il cui nome pareva poco più di un fumoso mito di fondazione degli storici greci, se non, per qualcuno, la storpiatura grecizzata di un cartaginese “Elbi”. D’Oriano in fondo è anche lui un eroe greco, ma della conoscenza. Il vero eroe eponimo dell’archeologia olbiese a cavallo dei due millenni. Il paziente ricostruttore di una trama di dati prima sottilissima, poi sempre più consistente negli anni, e che hanno portato a far conoscere in filigrana le prime e più remote origini dell’insediamento umano olbiese, come nessuno avrebbe mai immaginato, e forse nessuno avrebbe saputo fare. Così gli dei stabilirono.

Testina fittile di divinità femminile (Afrodite?) in stile greco-ionico proveniente dagli scavi del porto antico, e datata al 520 a. C.

Non solo uomo di scienza: D’Oriano come uomo di tutela è stato anche un Leonida, a capo non dei Trecento spartani che disperatamente difesero la patria alle Termopili contro il barbaro persiano, ma il condottiero di uno sparuto esercito di una decina fra archeologi (ricordiamo Antonio Sanciu, archeologo di altissimo livello anche lui andato in pensione, che lo ha affiancato per un trentennio circa, prima di andare a dirigere la sede staccata di Nuoro), geometri, disegnatori e assistenti di scavo (fra questi Ennio Puzzu e Giovanni Sedda non sono più fra noi).

Uno sparuto manipolo di eroi spartani che spesso ha dovuto difendere eroicamente dall’Idra delle benne il nostro passato, e che lo ha difeso ad oltranza, stavolta però senza soccombere come Leonida e i suoi, ma vincendo una battaglia che alla fine ha visto tutti noi vincere, tutti noi che vediamo nel passato un bene da conoscere e tramandare, da valorizzare come strumento di valorizzazione di noi stessi e della nostra civitas.

“Fatti non foste a viver come bruti…”

Nella sua conferenza durata poco meno di un’ora e tenutasi giovedì scorso, 26 febbraio (L’archeologia a Olbia, ieri, oggi, domani il titolo), Rubens D’Oriano ha suddiviso in tre parti la sua affascinante esposizione. La prima parte, dedicata alla tutela, è stata una carrellata solo parzialissima e veloce di un innumerevole elenco di scoperte. “Noi archeologi della Soprintendenza scaviamo dove gli altri scavano”, ci ha detto, e si capisce quanto si sia scavato ad Olbia negli ultimi quarant’anni.

Nella seconda parte, dedicata ai risultati della ricerca scientifica, D’Oriano ha mostrato in estrema sintesi il frutto delle lunghe indagini sulla città, partendo dai quei dati di ritrovamenti spesso casuali fra una trincea per il tubo dell’acqua e una fondazione di casa, e derivati da studi personali, come di una pletora di numerosi altri studiosi da lui coordinati dal suo ufficio olbiese. Dalla nascita fenicia della città nel 770 a. C. (“la fondazione si allinea cronologicamente alle città fenicie più antiche del Mediterraneo occidentale”), all’improvvisa comparsa dei greci di Focea nel 630 a. C.

Per oltre centoventi anni Olbia è stata una città greca, come dimostra il suo aggettivo sostantivato “Olbìa”, ossia felice, prospera per l’insediamento. L’unica città greca della Sardegna.

Eclatante acquisizione per la storia non solo di Olbia, ma anche della storia della grecità antica, della storia sarda e di tutto il Mediterraneo occidentale, e che inizialmente qualche studioso derise. “Un coccio non fa primavera”, gli disse un accademico alla metà degli anni Novanta, durante un importante convegno, quando D’Oriano propose la prima ipotesi di un’Olbia greca all’attenzione del mondo scientifico. Ora non lo deride più nessuno, a fronte della straordinaria messe di dati che in tutti questi anni sono emersi sempre più abbondanti, da ultimo dagli scavi dell’Urban Center di San Simplicio.

Si invita anzi il lettore che voglia approfondire l’argomento ad andare a vedere la piccola, ma raffinata mostra “Olbia greca” all’Airport gallery dell’aeroporto Costa Smeralda, inaugurata sempre il 26 febbraio ed organizzata dalla Geasar in collaborazione della Soprintendenza archeologica e del Comune di Olbia.

Uno dei reperti greci provenienti da Olbia esposti in questi giorni alla mostra su Olbia greca presso l'Airport Gallery

Rivoluzionarie anche le scoperte sulla Olbia romana: dal porto e le navi incendiate dello scavo “del tunnel” che provano la fine di un’epoca, quella del dominio romano, a causa dell’attacco dei Vandali nella metà del V secolo, al tempio di Cerere sotto l’attuale basilica minore di San Simplicio, alla migliore conoscenza e definizione del santuario di Ercole sotto la chiesa di San Paolo.

Dopo i doverosi cenni ai tanti monumenti resi fruibili al pubblico e gestiti purtroppo solo per una manciata di anni, alla curatela scientifica da lui svolta per la creazione del Museo Archeologico e del Museo sotterraneo della necropoli San Simplicio, Rubens D’Oriano ha dedicato l’ultima parte della relazione al bilancio del suo operato.

È toccato a lui stesso farlo, e si auspica che ci siano in futuro occasioni in cui saranno altri a farlo, come doveroso. “L’archeologia può essere fonte potenziale di crescita economica, e la tutela non contrasta con le istanze dello sviluppo economico della città. Soprattutto il Museo archeologico rappresenta meglio di ogni discorso il cosmopolitismo e l’apertura alle altre culture della città antica, un connotato che la Olbia dei nostri giorni ha mantenuto”.

Lavori di messa in posa di tubi con ritrovamento di strutture murarie antiche in Via Monsignor Francesco Cimino (anno 2005, foto dell'autore dell'articolo)

In chiusura, Rubens D’Oriano ha accennato alla drammatica riduzione del personale degli uffici della Soprintendenza. "Io sono andato in pensione un mese fa. Quest’anno dalla sede di Olbia andranno via l’ultimo geometra e l’ultimo fotografo. L’unico archeologo, il Dott. Francesco Carrera, qui dal dicembre 2017, avrà un territorio enorme da controllare, e dovrà fare questo da solo. Sta venendo giù tutto, è bene che la gente lo sappia! È vero che è in svolgimento un concorso pubblico per archeologi ed architetti, ma non per fotografi, geometri, disegnatori amministrativi... " Come farà il nuovo Leonida, Francesco Carrera, a combattere contro i mostri della tutela senza un esercito che lo affianchi? Speriamo in tempi migliori. Tutta la città lo spera.

Chi scrive e la redazione di Olbia.it, insieme a tutto il team della rubrica Olbiachefu, fanno gli auguri a Rubens D’Oriano, intellettuale sensibile e di spessore, amante della cultura, curioso ed aperto anche verso altri campi del sapere.

Che sia per lui una pensione serena, lunghissima, proficua di studio, ricerche, pubblicazioni, letture e, perché no? ancora di grandi scoperte scientifiche. Nessuna attività rende più giovane della ricerca della verità e della bellezza, fossero anche solo quelle della storia e dell’arte sublime espressa dagli antichi greci che diedero il nome alla nostra città.