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Realtà e virtù storiche dei borghi abbandonati: Badu Andrìa

Realtà e virtù storiche dei borghi abbandonati: Badu Andrìa
Realtà e virtù storiche dei borghi abbandonati: Badu Andrìa
Gian Battista Faedda

Pubblicato il 01 November 2017 alle 20:29

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Virtuosamente s’incamminarono. E a tutt’oggi proseguono con propri viaggi i soci di “Realtà virtuose”, enclave associativa dedita alla cultura storica e ambientale. Il connubio, creato e diretto dall’archeologa Silvia Selis e dall’antropologo Corrado Seddaiu, anche nell’autunno del 2017 ha voluto onorare la Sardegna con una rigenerante passeggiata alla riscoperta della storia degli antichi centri demici dell’interno isolano.

Dopo l’escursione del 16 Ottobre del 2016, in occasione della quale “Realtà virtuose” coinvolse decine di appassionati e studiosi nelle terre di Giuscherreddu, quasi un anno esatto dopo, per la precisione il 22 Ottobre scorso, la comitiva ha rivolto la propria attenzione alle emergenze dell’antico borgo di Badu Andrìa (tradotto letteralmente “il guado di Andrea”). Entrambi i borghi rurali, a loro volta frazione di Buddusò e poi passati al comune di Padru, appartengono a quel contesto geografico conosciuto con l’appellativo di Saltos de josso(o giosso ma anche joso e gioso a seconda della varietà linguistica locale).

I saltos, sin dal periodo della Sardegna giudicale, erano porzioni di territorio libere da vincoli di esclusività e a disposizione, quindi, della comunità per il fabbisogno quotidiano legato alla coltivazione e all’allevamento. Questa bella e utile realtà si è conservata ed è in essere, a tutt’oggi, in diversi centri dell’interno (pochi, per la verità), anche molto dopo la nota regia legge “delle chiudende” degli anni Venti del XIX secolo. I saltos oggetto delle investigazioni di “Realtà virtuose” e dei suoi protagonisti sono le porzioni sotto-monte del Comune di Buddusò, da cui la denominazione saltos de josso, locativo derivante dal latino iu-sum, cioè “di giù”, giunto nella lingua sarda, quale continuazione neo-latina direttamente dal latino oppure dall’attestato locativo toscano medioevale giuso (contrario di suso, si legga esemplificativamente la Divina Commedia).

Dalla chiesetta di Sant’Elìa, punto di partenza dell’escursione appena fuori il villaggio di San Pedra Bianca al borgo fantasma di Badu Andrìa, vi è circa un’ora di cammino, fra boschi meravigliosi di roverelle, querce, cisto, lentischio e letti di fiumi che rivolgono continue preghiere al “trascendente” perché invii quantità copiose di acqua. L’acqua dà valore a tutto e la sua mancanza è, pur essa, ragione di spopolamento.

“Queste zone sono sempre state molto frequentate – riporta Corrado Seddaiu riferendosi ai declivi che fanno da cornice al procedere della comitiva – non solo dai sardi autoctoni ma anche, per esempio, dai toscani che durante l’Ottocento si insediavano in queste zone per produrre carbone. Insieme al carbone, questi lavoratori d’oltre Tirreno portavano con sé anche merci da rivendere tra cui verosimilmente anche il formaggio. Di certo erano forieri di notizie e informazioni dalla penisola lontana”.

La storia dei toscani produttori di carbone richiama alla memoria i sardi produttori dello stesso combustibile, tra cui il poeta e scrittore di Badesi Andrea Ugnutu che nelle sua biografia ricorda i periodi in cui era solito sbarcare il lunario proprio producendo carbone.

Dopo una salita impegnativa, sulla cima dell’omonimo monte si incontrano i “palazzi” di Badu Andrìa (fino alla prima metà, nel sapere comune erano considerati “palazzi” tutti gli edifici con piano rialzato, tipici dei borghesi benestanti). “Visitare l’ex abitato di Badu Andrìa suscita una strana sensazione – spiega Silvia Selis – Soprattutto scoprendo gli interni si ha l’impressione che il borgo sia stato abbandonato in tutta fretta, come se fosse stato colpito da un disastroso evento atmosferico. Le finestre sono aperte ma presenti, all’interno i tavoli, le cucine abbadonate, le sedie e diverse suppellettili”.

Il borgo in questione non era fra i più popolosi dei Saltos de josso, sebbene sia testimoniato che nella seconda metà dell’Ottocento contasse oltre 70 anime. Deve la sua importanza al fatto che vi risiedevano, come racconta Seddaiu, i printzipales, ovvero i personaggi influenti della ricca borghesia rurale che ricevevano l’incarico, prima sotto la dominazione spagnola e poi sotto i Savoia, di controllare la situazione reddituale degli abitanti e imporre, di conseguenza, l’esazione fiscale. Badu Andrìa nacque proprio sull’antica strada che da Buddusò e Alà dei Sardi conduceva verso Terranova Pausania, per cui costituiva un passo obbligato per tutti, anche se molti cercavano di aggirare il fisco di allora evitando il transito oppure nascondendo, vieppiù, le proprie ricchezze. In un simile clima il banditismo non poteva non essere una costante così come l’eliminazione fisica di coloro che erano deputati alla riscossione delle tasse.

L’architettura di quanto permane del diruto villaggio è suggestiva e riporta a rimaneggiamenti, nel tempo, di edifici originari vecchi di diversi secoli. Oltre alle case con i piani rialzati, con testimonianza di recenti tentativi di recupero e riutilizzo tramite infissi di metallo e materiali moderni, si trovano edifici con il solo piano terra, privi di servizi igienici, dalla quadratura modesta ma dalla disposizione pratica e dignitosa. Alcuni sono muniti di comodi terrazzamenti creati ad hoc. Gli elementi litici per la realizzazione delle aperture per porte e finestre sono realizzate in granito scolpito, come i gradini. I tetti sono di legno di castagno ormai vetusto e pericolante. Le antiche vie, ancora leggibili, sono larghe abbastanza per il transito non solo di equini e bovini ma anche dei carri dagli stessi trainati. Parimenti ampio spazio trovavano gli armenti che potevano essere condotti e meglio controllati nei recinti fronte-stante le umili abitazioni.

“La corrente elettrica giunse negli anni Cinquanta – conclude Corrado Seddaiu – ma lo spopolamento in atto era ormai un fenomeno inarrestabile. Tra l’altro in queste frazioni non c’era una chiesa, e quindi un parroco, per cui i matrimoni, i battesimi e le cresime dovevano essere programmate e divenivano celebrazioni collettive”.

Le visite di “Realtà virtuose” verso l’interno, motivate dallo spirito di recupero identitario e culturale, nonché ambientale, si propongono di tramutarsi in un progetto che possa ripopolare le campagne. Non solo per le ancestrali finalità legate alla coltivazione della terra e all’allevamento ma anche per la concretizzazione di un turismo sostenibile. In questo momento le attenzioni sono rivolte ai Saltos de josso confinanti, tra l’altro, con il Parco Tepilora che interessa ben 11 comuni delle province di Sassari e Nuoro. Per tale ragione l’attività dell’associazione olbiese trova l’appoggio e il sostegno del comune di Padru, amministrazione di riferimento sempre presente per il tramite dell’assessore alla cultura Linda Bacciu, che non esclude la propria partecipazione attiva alla concretizzazione dell’idea.

Nel mentre cresce anche l’interesse dei comuni circonvicini. Infatti, sembra che una interessante tesi sul recupero di Badu Andrìa sia stata recentemente presentata da una giovane studentessa di Alà dei Sardi. Non può che essere un buon segno.

©Gian Battista Faedda

In galleria alcune immagini del borgo abbandonato.