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Cronaca

Violenza domestica, l'appello del Consultorio di Olbia: denunciate, avrete aiuto

Violenza domestica, l'appello del Consultorio di Olbia: denunciate, avrete aiuto
Violenza domestica, l'appello del Consultorio di Olbia: denunciate, avrete aiuto
Angela Galiberti

Pubblicato il 16 September 2013 alle 16:15

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Olbia - L'aumento delle denunce riguardanti la violenza di genere e la violenza domestica avvenuto durante questa estate non è passato inosservato. A lanciare un appello, questa volta, è il Consultorio della Città di Olbia attraverso due personalità di spicco: Liliana Pascucci (responsabile dei servizi consultoriali e membro della commissione Pari Opportunità del Comune di Olbia) e Carmen Ghiani (psicologa dell'Asl n°2).

L'appello non arriva a caso. L'Azienda sanitaria numero 2 di Olbia, dal 2010, ha siglato un protocollo di Intesa con l’Associazione Prospettiva Donna (che gestisce il Centro antiviolenza e la Casa Rifugio), la Fidapa, la Congregazione Figlie della Carità e l’amministrazione comunale di Olbia. Lo scopo di questo protocollo lo spiega per bene la dottoressa Liliana Pascucci. "Il protocollo serve ad accogliere, prestare cura e soccorso, assistere e supportare, la donna vittima di violenza - racconta Liliana Pascucci - fare una prima valutazione del caso e accompagnare e sostenere la donna all’’interno della rete dei servizi sociali e psico-sociali". Accogliere, sostenere e indirizzare le donne vittime di violenza non è semplice, anzi: le dinamiche in gioco sono complesse e, a volte, imprevedibili. Per questo il sostegno degli specialisti Asl è molto importante. “L’Azienda Sanitaria deve accogliere, ascoltare e prendere in carico la donna e i suoi figli minori - spiega la dottoressa Pascucci - l'Asl ha poi il compito, fornendole il giusto supporto anche psicologico, di inviare la donna al Cento antiviolenza e ai servizi sociali dei Comuni di appartenenza per i relativi interventi. Il Protocollo d’Intesa, in scadenza e che andrà rinnovato, si è dimostrato uno strumento utile per armonizzare le varie competenze e professionalità presenti sul territorio che, insieme, interagiscono per migliorare la qualità della vita delle vittime e dei loro figli”.

Dunque, le donne che dovessero rivolgersi alla Asl troveranno personale qualificato e una rete pronta ad assisterle. Per questo, l'appello della dottoressa Carmen Ghiani è ancora più importante e significativo. Il fenomeno, purtroppo, è molto ben radicato ed è molto difficile da estirpare. La violenza di genere è trasversale, tocca tutte le classi sociali e tutte l'età: a cambiare è solo il modus operandi o l'escalation della violenza. Parola di Carmen Ghiani, psicologa della Asl numero 2 di Olbia.
"Eventi brutali come quelli raccontati nelle cronache locali di questi giorni - afferma la dottoressa Ghiani - consentono alla nostra Società di prender coscienza di un fenomeno, quello della violenza, ancora troppo sommerso, che spesso non arriva nei Tribunali o davanti alle Forze dell’ordine, ma, fortunatamente, approda negli ambulatori degli psicologi. Un passaggio che avviene solo quando le “vittime” sono psicologicamente distrutte e si rendono conto di aver bisogno di un supporto, esterno alla famiglia, per riprendere in mano la loro vite e quelle dei loro figli".

Le donne, dunque, chiedono aiuto troppo tardi, quando la loro vita è semi-distrutta e la loro psiche è a pezzi. "Per questo noi vogliamo dire a queste vittime che siamo a loro disposizione, perché insieme si può uscire da quello stato di prigionia e, solo insieme, si può affrontare quello stato di “vergogna” che a volte impedisce di reagire alla violenza". Uscire dalla spirale della violenza, per la vittima, non è affatto semplice. Razionalmente sembra un'impresa semplicissima, ma tra la vittima e il carnefice si instaura uno strano e malsano rapporto di interdipendenza che porta la donna a sentirsi in colpa. "Le donne, solitamente vittime, subiscono e sopportano la violenza nel momento in cui l’aggressore ha già minato il loro senso di identità e avvia un percorso di demolizione delle difese psicologiche - spiega la dottoressa Ghiani - tanto da insinuare un elevato senso di colpa e di dubbio, sentimenti che rendono difficile per la vittima prendere atto della condizione di sopraffazione nella quale vive, che le impedisce di comunicarlo anche ai familiari più vicini". C'è solo un modo per uscire da questa spirale “superare la vergogna della condizione in cui si vive, raccontarla e farsi aiutare, perché un amore malato”non è un amore sano”e va curato, ma non da soli”, conclude la dottoressa Ghiani.