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Salvatore Careddu ricorda il grande scrittore e regista Mario Soldati

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Pubblicato il 09 September 2018 alle 12:10

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Dinanzi ad una tragedia come quella che sta vivendo Genova, dopo la caduta del ponte autostradale “Morandi”, tra i vari pensieri che in tali situazioni affollano la mia mente, mi sono chiesto come e quanto avrebbe sofferto il mio amico Mario Soldati (Torino, 17 novembre 1906 – Tellaro, 19 giugno 1999), lui che amò tanto la Liguria. Da parlarne in tanti e tanti scritti da viverci in quel di Tellaro dagli anni Sessanta sino al giugno 1999 quando è mancato. Voglio ricordarlo! Sono trascorsi circa vent'anni da quando ci ha lasciato era ed stato un grande scrittore, regista, giornalista. La sua figura penso che sia rimasta viva nel ricordo delle persone che lo hanno conosciuto e che gli hanno voluto bene. Per cui come ebbi modo di scrivere in passato, in circostanze come quelle attuali, è difficile dimenticare una persona che ha lasciato nella tua vita un segno profondo di amicizia, stima e affetto. E ancora più difficile se questa persona per me ha il nome di Mario Soldati. Allora il ricordo rimane cementificato, granitico, tanto forte che diventa impossibile collocato nell'oblio. Così come ero solito fare negli anni che mi tennero legato a lui da una grande amicizia con Marisa, da lui definita come scrisse ne “Il vero Silvestri"(Milano, Garzanti, 1957) "La fiducia reciproca uno nell’altro senza domande e senza offerte, senza riconoscenza e senza possesso, senza sevirtù e senza gelosia” -concludendo con - "cos'è dunque l'amicizia se non la forma più alta dell'amore?"

Quante e quante volte in questi anni ho avuto modo con la mente di rivisitare Tellaro, rivedere la sua casa aspra e incontaminata posta tra i lecci e la macchia mediterranea, con gli ulivi ai margini degli scogli e del mare e con la vista sull'isola del Tino e della Palmaria, quella che lui definiva "l'alta aguzza isola del tino formidabile parete di roccia bianca e grigia verso il mare aperto verso il "Golfo dei Poeti” e tutto un bosco folto di pini in rigido pendio. Lungo uno spigolo di roccia sale fino in cima al candido cilindro del faro, e scende con uno sperone di scogli fino allo stretto che la divide dalla vicina Palmaria con la scogliera dagli strapiombi ciclopici, le profonde grotte, l'estremo incavo delle insenature, dalle quali sgorgano ruscellando sui massi sorgenti perenni di acqua dolce". È per me un rivivere di intense emozioni. Come giunto nell’ingresso venivo accolto da un profondo silenzio, silenzio che era solito appartenere alla sua vita ogni qual volta componeva i suoi scritti, i suoi articoli. Silenzio, che era di tanto in tanto, rotto, come scrisse in un racconto nella “Casa del perché” dalla mobile lucida superficie marina che si frantumava al riflesso dell'ultimo sole nella soave sera foriera di ombre autunnali, vaste come il golfo era una tarsia tremolante di infinite lamelle, labili losanghe tutte simili di forma, diverse di estensione e colorate alternativamente di rosa o di celeste, secondo se riflettevano la chiara luminosità del ponente o, dal quadrante opposto lo sfumato profondo azzurro della notte che si approssimava con altri giochi di luce e colore. Era come una danza delle losanghe. Con la sua misteriosa bellezza, con la dinamica e l'ottica degli spruzzi delle spume dei riflessi, delle gocciole come quando il remo si tuffa quando si scava nel flutto, una via quando ne esce si incanta precipita. Così, come una legge estetica, idraulica cronometrica e fotometrica.

Lascio Tellaro con il ricordo di tante conversazioni e quando a sera inoltrata mi chiamava per chiedermi un particolare, una precisazione, un chiarimento su un episodio che mi aveva interessato professionalmente per “I racconti del Maresciallo” Già, il maresciallo. Per lui era come la ricerca del padre, esprimeva il nostro bisogno di ritrovare quella figura severa, esemplare, protettiva. Anche se i suoi metodi più sicuri restano le silenziose illimitate risorse del ragionamento, dell’intuizione e dell'immaginazione.