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Passeggiare nei deserti è un diritto dei sardi

Passeggiare nei deserti è un diritto dei sardi
Passeggiare nei deserti è un diritto dei sardi
Marco Agostino Amucano

Pubblicato il 01 April 2020 alle 20:34

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Olbia, 1 aprile 2020- Nella Babilonia dei sermoni sui social, degli austeri video “pontificali” selfie-gestiti e della grandine di dirette da tinelli e terrazzini, delle invettive degli untori e degli ulema atei che strepitano per sprangare le chiese, mi permetto di scrivere anche io poche considerazioni dettate dall’osservazione dei fatti.

Eventuali riferimenti ad analoghi accadimenti storici, più o meno lontani nel tempo e consultabili nella letteratura come nella storiografia, saranno da me rimandati ad altra occasione, primo perché se ne sta abusando, secondo perché ritengo che la storia non si ripeta, checché se ne dica, e quando sembra farlo sono cambiati uomini, circostanze, batteri e virus: il che conferma il primo assunto dell’assurda concezione della storia ciclica.

Citerò qui solo una frase del Manzoni, il quale, narrando della peste seicentesca a Milano nei Promessi Sposi, e della conseguente, collettiva perdita della valutazione serena delle cose, scriveva: “Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”. Bene, ciò che vorrei oggi fare è stanare il buon senso che si nasconde sotto il tavolo di firmatari di decreti (le “grida” spagnolesche descritte dal Manzoni), e dei contemporanei “untori” che insultano e denunciano chi si azzarda ad evadere –pur senza nessun scientificamente provabile rischio, dall’esperimento sociale inaudito (questo sì, mai visto nella storia umana) in cui tutti siamo diventati cavie umane. Vengo al dunque.


Vivo in una meravigliosa campagna equidistante dieci chilometri dai due centri maggiori, Olbia e Golfo Aranci, la cui linea astratta di confine cade a qualche centinaia di metri dalla mia abitazione. Vedo incombere minacciosa dalla finestra una vegetazione di macchia giurassica, che si mangerebbe in due anni bagno e cucina, qualora non provvedessi a potare sistematicamente polloni e rami di lentisco a suon di motosega.

Ogni tanto fanno capolino i mufloni; cinghiali notturni cantano la serenata in branco, e qualche cane replica da lontananze astrali. Negli anni passati ho cercato spasmodicamente tracce visibili di insediamenti antichi in zona: pochissima roba, quasi nulla. L’uomo del passato aveva evidentemente posti ben migliori dove farsi la capanna di frasche, accoppiarsi e fare figli, andandosene dove c’erano sorgenti o altro che dir si voglia, e riservava i boschi ghiandiferi documentati nel medioevo al pascolo dei suoi porci.

Se ne fregava, insomma, del panorama. Un deserto, per millenni, e con il primo stazzo dei Casula che spunta per caso poco più di un secolo fa. Adesso siamo una ventina di abitazioni circondate da questo deserto millenario offeso solo dagli incendi e, a parte le due case dei vicini a me più prossime, con due o tre eccezioni nelle altre quasi non so chi ci abita, e che faccia abbiano i natii di questo borgo selvaggio, e cosa facciano nella loro vita ordinaria, a parte farsi i fatti loro. Un borgo circondato dal deserto di roccia e macchia mediterranea, in cui ognuno si fa i fatti suoi, che combatte con la vegetazione che vuole entrare in soggiorno.

Vorrei quindi sapere – vista la follia collettiva - se ci posso camminare, in questo deserto di scisti e graniti di milioni di anni. Se posso andare a vedere le vacche bianche dell’altro stazzo là in fondo ad un chilometro e mezzo, che però è in comune di Golfo Aranci; se posso camminare in quel sentiero solitario meditando sulle umane sorti nel tratto dove la casa più prossima resta a ottocento metri e mezzo.

Se posso incedere lento, ammirando il cielo, il tramonto o l’alba, o le formiche o il corvo imperiale, senza vedere anima viva al cento per cento, e a cento metri se mi va male ( o bene?). Se posso tentare di salire su quell’altura rocciosa, nemmeno trecento metri di quota in vetta, l’unica in zona dove nidificano le aquile. Mi dicono di no, che non lo posso fare. Il virus dei decreti e il virus Coronavirus incombono minacciosi.

E io vi chiedo allora di dimostrarmi scientificamente che, facendo ciò, io posso contrarre o trasmettere un virus, qualsiasi tipo di virus, anche il più bastardo dei coronavirus, anche quelli che potresti sparare con un Winchester, se cammino in solitudine col mio cane nei deserti precambriani della mia Sardegna, quelli che apro la porta di servizio e me li trovo già in casa. Dimostratemelo scien-ti-fi-ca-men-te, ripeto. Mi direte e ripeterete che un’eccezione non fa statistica, ed il solito mantra lava cervello del dobbiamo restare a casa.

E invece la Sardegna e la maggior parte del suo territorio così poco antropizzato fanno, eccome fanno statistica, perché noi sardi viviamo in un posto eccezionale che fa eccezione stavolta più e meglio di altri. Chi come me vive in campagna, o in un paese, ed ha la campagna che incombe sulla nuca perché vive nelle periferie di nuova lottizzazione, fa statistica.

Guardatevi un po’ la carta geografica dell’Isola e vedete come da un paesino all’altro ci sono anche decine di chilometri. La scarsa densità demografica della Sardegna fa eccezione, ma fa statistica, perché è quasi un’intera regione che la fa diversamente. Coloro che vivono in posti come il mio, o in paesi come Bonorva, Usellus, Escovedu ecc. ecc. circondati dai deserti imbiancati da pecore, o in mezzo alle sugherete, o nelle steppe desolate dell’Arborea, fanno statistica a tutti gli effetti.

Sono i paesi ora emarginati dalla geografia e dalla storia, che finalmente e brevemente si sarebbero potuti prendere la loro modesta e non certo esaltante, ma sempre rivincita, almeno con una passeggiata in solitudine dei loro residenti, senza rotture di palle, fermi, rischi, autocertificazioni e favorisca documenti. E invece si sono visti circondare dal filo spinato dell’assurdo. Una nuova Alcatraz diffusa a prescindere dalle mesete e dagli inselberg insediati più da costruzioni di morti che di vivi (i nuraghi).

Il paese di Morgongiori (OR)

Chi risiede in questi abitati non è compresso in insulsi palazzoni di venti piani con ascensori. Non si riversa nelle metropolitane. Non fa jogging nei parchi sgomitando con altri mille disperati joggers, quindi non è a rischio infortunio caviglia come blaterano, perché a quanto pare i maggiori rischi sono in ospedali e market, farmacie e tabacchini, i luoghi dio necessità che non rendono necessario l’atto più necessario e naturale dell’uomo dopo il mangiare e il dormire: camminare.

Chi vive in questi luoghi sardi che non sono i capoluoghi, non può avere le stesse regole dei capoluoghi. Non si può non differenziare, non si può collettivizzare stalinianamente un divieto là giusto, qua irragionevole. Io ho la libertà di esprimere la mia libertà se posso esprimerla, se le condizioni me lo consentono: questo è lo stato di diritto.

Non posso privarmi di una libertà che ha un valore assoluto, solo perché l’altro non può esprimere la stessa libertà per motivi di necessità. Mi chiedo come dei politici che fanno della bandiera sarda la loro bandiera, e dell’esclusività di un popolo esclusivo come il nostro il loro vanto, non possano avare considerato questa nuova ed imprevista eccellenza sarda che sono diventati questi abitati piccoli, spesso in fase di spopolamento, e di tutti coloro che possono permettersi, come noi sardi appunto, di camminare giornate intere senza vedere un essere umano se non col binocolo.

Per non parlare di quei villaggi turistici costieri, villaggi fantasma se fuori stagione, che restano più disabitati e mesti di un allestimento di Cinecittà al termine delle riprese di un film western di Sergio Leone, e che non saranno certo i ventimila settentrionali scappati qui ad avere trasformato in brulicanti metropoli.

Lasciateci in pace, lasciateci camminare, almeno noi. Lasciateci passeggiare in pace, nei boschi, nelle stradine solitarie, nelle spiagge tornate ad essere ricoperte dalla posidonia. E voi, politici sardi, “considerate la vostra (=nostra) semenza”, e riflettete sul fatto che Usellus non è Bergamo, e Morgongiori non è Milano.