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Volere vino? Ovvero quando a noi piacevano ‘le bionde’.

Volere vino?  Ovvero quando a noi piacevano ‘le bionde’.
Volere vino?  Ovvero quando a noi piacevano ‘le bionde’.
Dionigi Pala

Pubblicato il 08 August 2015 alle 14:41

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Cala Sassari…!

Oggi, una conca popolata qua e là di tetti rossastri che covano case, villette gestanti famiglie che parlano strano… E una trama di viottoli asfaltati che salgono e scendono; ora costretti a contorcersi come un abbraccio ad alcuni spuntoni rocciosi svettanti tra la folta macchia di odoroso lentisco; ora liberi di percorrere un breve tratto diritto che pare un tentativo di giungere presto al candido arco di sabbia finissima, e al mare… a dissetarsi. Alle mie spalle un continuo sfrecciare ronzante di auto che vanno, che vengono… come un traffico di laboriose api mai sazie di nettare ma gravide di teste, di mani, di voci urlanti, ridenti… Quanti anni da allora…! Tanti che a fatica riesco a contarli: ne ho settanta; quelli erano i sessanta… quindi.. cinquanta? Sì! Vada per cinquanta…!

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golfo aranci 1

Quella mattina mi fermai proprio qui, di ritorno da Golfaranci, con la mia sgangherata seicento che, già da qualche curva, pareva arrancare a fatica per il gran caldo che toglieva il respiro. Sollevato il cofano posteriore ebbi conferma, ancora una volta, del penoso stato di un motore ormai esausto, trasudante olio da tutte le parti e sibilante vapore! Ed ora? Per l’olio non era un problema: da tempo, infatti, viaggiavo con alcune lattine di riserva; ma l’acqua? S’abba… s’abba… s’abba… , mi l’aìo ismentigada! [1] Decisi di allungare la sosta con la speranza che, raffreddato il motore, la vecchia di quasi duecentomila chilometri mi avrebbe riportato, come sempre, a casa; nel frattempo, avrei ammazzato il tempo (e me!) fumando qualche sigaretta. Fu nel preciso istante in cui portai alle labbra la mia melassata senza filtro che scorsi fra Figarolo e Tavolara lo scuro profilo di un cargo battente bandiera americana avanzare lentamente verso il centro dell’ampio golfo, seguito da alcune unità da guerra e… E poi… lei! Eccola: una portaerei gigantesca la cui imponenza pareva competere con la maestosità di Tavolara. Al mio precipitoso rientro, parcheggiata la “tartaglia” da un lato dell’allora deserta via S. Simplicio, mi venne incontro mio fratello Augusto accompagnato da zio Ubaldo. Riuscii solamente a… , che mi investirono con un trionfante:

Sunu arrivados sos Americanos! Istanotte andhamus a controllare sa situatzione e cras notte incumintzamus su commérciu!”. [2]

Dedicammo gran parte del pomeriggio più che alle cure della seicento ad osservarne, costernati, il motore che versava in condizioni a dir poco pietose e a confortarci l’un l’altro sostenendo che la vecchia non poteva tradirci proprio in quella promettente occasione, pena il suo definitivo avvio verso una ingloriosa e umiliante rottamazione. E non ci tradì; almeno in occasione del suo primo ed unico suo utilizzo all’inizio della imminente missione commerciale!: forse perché incoraggiata dalle abbondanti e continue libagioni di olio e acqua. Sopraggiunto il tramonto partimmo alla volta della nostra “terra promessa” e dopo una breve sosta nello sterrato accanto alla strada, calata l’oscurità, ci avventurammo lentamente e con le sole luci di posizione lungo i tormentati e scoscesi viottoli di Cala Sassari. Giunti ad una piazzola per noi familiare, la cui posizione ci permetteva di dominare con lo sguardo il campo allestito in poche ore dagli Americani, spento il motore, scendemmo dall’auto e iniziammo a pianificare la nostra prossima attività commerciale con i nipoti dello zio Tom. Intanto fra le tende ferveva l’attività febbrile dei marines impegnati a sistemare i numerosi mezzi di trasporto incessantemente vomitati, durante la serata, dai cargo d’appoggio grazie a potenti mezzi anfibi di ogni genere. Le Jeep si contavano a decine e venivano dislocate un po’ in disparte rispetto alle tende. Il tutto appariva come accerchiato e protetto da numerosi mezzi leggeri cingolati e ruspe. E poi cataste di casse contenenti le classiche razioni alimentari (Meal, Combat, Individual B-3 Unit) ovvero pasti individuali di combattimento. Ad intervalli si udiva un gracchiare di ordini e avvisi provenienti da vari altoparlanti sparsi per il campo illuminato a giorno da potentissimi punti luce alimentati da possenti generatori funzionanti a pieno regime. Al termine del nostro sopralluogo rientrammo a casa per mettere a punto il nostro “piano di lavoro” per l’indomani. Stabilimmo che la vecchia seicento sarebbe stata utilizzata solo per il primo trasporto con qualche bottiglia al fine di saggiare l’entità della domanda. Infine prendemmo la decisione circa il “prezzo” da richiedere per lo scambio: una bottiglia di “Chiaretto del Campidano” alla pari per una stecca di sigarette. Ad un mio timido “esagerati!” fu pronta, e perentoria l’affermazione:

“Mascé, si cheren buffare, boghen sigarettas! As a biere chi, sididos comente sunu, cussos si ndhe ogan puru sos mudandhas!”.[3]

Ci ricordammo di questa battuta qualche giorno dopo quando mio fratello, su minore ‘e domo,[4] rientrò con una sacca contenente indumenti di vario genere appartenuti ad un marine, sididu che una puddha sidida, [5] e che finirono, senza indugio alcuno, in sa mundhetza.[6] Nel primo giorno di attività il sodalizio andò incontro a un inaspettato successo: dopo un’ora dal nostro arrivo quindici bottiglie di Chiaretto si involarono per lasciare il posto ad altrettante stecche di sigarette. Per la verità, almeno all’inizio, faticammo non poco per far capire i termini della contrattazione. Ogni ostacolo frapposto fra l’idioma inglese e quello italiano, però, venne meno non appena la mano di Augusto, stanca degli insuccessi della lingua, mostrò una bottiglia accompagnata dalla più ovvia delle domande: “Volere vino?”. La risposta fu immediata e decisa: “Ies!!!”. In un attimo si materializzarono numerose stecche di profumate ‘bionde’ d’oltre oceano le quali finirono inghiottite nel sedile posteriore della nostra auto. Per una intera settimana, al calare del buio, il “traffico” si svolse in modo ordinato e redditizio grazie anche al naturale passaparola che si era diffuso rapidamente nell’accampamento.

golfo aranci 4

Nei giorni successivi utilizzammo l’auto di zio Ubaldo che ci avrebbe consentito di stipare nel bagagliaio e negli spazi interni una cinquantina di bottiglie di vino per volta e di metterci al riparo da un possibile rischio di rimanere appiedati con l’aggravante del dover lasciare incustodito (se non abbandonato!) il “bottino” frutto del nostro commercio. Le bottiglie, infatti, al nostro arrivo in “zona d’operazioni”, si trasformavano, tempo un’ora, in un egual numero di stecche di sigarette. Finché una notte… Giungemmo sul posto con un po’ di anticipo rispetto all’orario al quale avevamo abituato i nostri assetati e assidui clienti. Dopo pochi minuti d’attesa ecco uno di loro impegnato a risalire faticosamente la scarpata che ci separava dalle tende. Masticando poche parole in un italiano strampalato ci propose di seguirlo proprio all’interno dell’accampamento in una delle tende più esterne. Ovviamente restammo alquanto incerti se accettare o meno quella proposta. L’idea, però, di poter concludere affari più vantaggiosi ci stimolò a tal punto che decidemmo di seguire in silenzio il nostro amico il quale ci precedette di alcuni metri invitandoci, con classici gesti cinematografici, ora a fermarci, ora ad acquattarci, ora ad avanzare. Giunti davanti all’ingresso, delle mani possenti ci spinsero attraverso un lembo della tenda appena sollevato. All’interno fummo accolti da qualche dozzina di soldati molti dei quali ci mostrarono subito stecche di sigarette di ogni tipo con la chiara intenzione di portare a termine, in tempi brevissimi, il solito baratto. Poco dopo, mentre ci accingevamo a compiere il tragitto inverso con il prezioso carico e preceduti dalla solita scorta, ecco un altro giovane marine irrompere improvvisamente e tutto trafelato per annunciare (lo capimmo poco dopo) l’imminente arrivo di un controllo. Evidentemente qualcuno di grado più elevato si era insospettito, forse, per il continuo andirivieni della truppa verso il nostro punto di ristoro; oppure, molto più probabilmente, era stato il comportamento troppo allegro di alcuni sottomessi a suggerire una visita a sorpresa. Noi fummo invitati molto cortesemente ad uscire seguiti da un fiume di … sfuin grou mbor guin… carabinieri… e, senza mollare il pesante fagotto, risalimmo verso la strada lasciandoci alle spalle il latrato del graduato che rampognava la truppa. La nostra guida ci aiutò a vuotare la macchina depositando fra i cespugli tutte le bottiglie di vino e ci salutò col classico “batti cinque” e con un insistente “tumorrou vino”. E tumorrou tornammo puntuali. Quel tumorrou segnò, comunque, un punto di svolta per i nostri scambi. La sera precedente, senza dubbio, i nostri amici avevano dato fondo a tutte le loro scorte di ‘bionde’ poiché in molti si presentarono con sottobraccio cartoni di viveri, di quelli già menzionati all’inizio. Uno di loro ci presentò uno scatolone in metallo appena strappato ad una ghiacciaia, e contenente del prosciutto cotto. Un altro si tolse il Timex dal polso e non volle saperne di tenerlo nonostante gli offrissimo la bottiglia in regalo; un altro ancora ci propose, illuminandolo con la propria torcia, un vistoso anello militare con incastonata una pietra color rubino. Ormai era chiaro che la vena delle sigarette si era esaurita. Decidemmo perciò di accettare quello che la piazza offriva.

anello Al ritorno a casa accontentammo la nostra curiosità di conoscere il contenuto delle razioni alimentari. Per riuscire ad aprire una di quelle casse non bastarono forbici o coltelli da cucina. L’involucro era di cartone durissimo e in grado di garantire un perfetto isolamento. Era evidente che si trattava di una robustezza appositamente studiata per offrire un’ottima resistenza all’impatto sul terreno, in caso di lancio da un aereo, con in più una quasi perfetta impermeabilizzazione. Dopo numerosi tentativi riuscimmo finalmente ad averne ragione. All’interno di ciascuna delle trentadue casse, dodici confezioni contenenti una razione completa: dalla carne ai beans in tomatoe sauce (fagioli in salsa di pomodoro), alle patate, e poi marmellata, burro di arachidi, gallette e, per finire, il dolce, un cucchiaino sterile, degli stuzzicadenti, gomma americana, fiammiferi e un pacchetto di dieci sigarette. La nostra attività si chiudeva, insomma, nel modo più positivo. La notte che precedette la partenza dei marines ci recammo a Cala Sassari con la sola intenzione di dare un ultimo sguardo al nostro teatro d’operazioni. Avevamo con noi soltanto una bottiglia d’acqua fresca che avrebbe dovuto soddisfare la nostra sete dopo una giornata caratterizzata da un caldo insopportabile. Nel campo fervevano i preparativi per l’imminente partenza che sarebbe avvenuta il giorno successivo alle prime luci dell’alba. Gran parte del materiale era già stato imbarcato durante il pomeriggio e la sera. Rimanevano, ormai, soltanto le tende e un gruppo elettrogeno per garantire un’illuminazione appena sufficiente… La nostra avventura era alle battute finali…! E sarebbe finita a quel punto se non avessi notato, aguzzando la vista, qualcosa che a me pareva una forma umana acquattata dietro un cespuglio a qualche metro più in basso rispetto alla nostra posizione. Mentre sedevamo in macchia indicai l’ombra agli increduli Augusto e Ubaldo i quali mi canzonarono apertamente con i più coloriti apprezzamenti sul mio senso visivo.

- Caro Nigi, tu per rendere più appetibile il vino hai voluto aumentarne la gradazione sottraendo “gradi” alla tua vista!

- Buona, questa, commentai, ma per me quella non è solo un’ombra!

Le mie insistenze non furono inutili. Scendemmo dall’auto e ci avvicinammo al bordo della strada; io, deciso a dimostrare l’integrità delle mie facoltà visive e loro per convincermi del contrario. Nel frattempo notai che Ubaldo aveva steso un braccio la cui mano stringeva la nostra bottiglia d’acqua, non più fresca, e la capovolse per vuotarla proprio in direzione, anzi, sulla perpendicolare dell’ombra misteriosa la quale dopo un sobbalzo assunse forma umana dando il via al seguente scambio di battute:

- Uba’, ma ite lampu ses fattendhe? No lu ‘ies chi m’as fattu su bagnu!?

e Ubaldo - Ma chie ses?

e lui - Mario, so; ite, no m’as vidu? Tandho ses lubiu!

e Ubaldo - Ndhisco meda chi bi fisti tue! Proìtte no as faeddhadu?

e lui - Mi so cuadu proìtte mi pariadzis finantzieris! Ma ite m’as lampadu addossu? Abba o attéru? [7]

La risposta, Ubaldo, gliela dette mentre gli passavamo accanto andando via. Abbassato il finestrino:

- Mario, atteru fidi!

e lui, preoccupato - Atteru… ite???

e Ubaldo - Atteru! Ndhe cheres ischire de cosas! Ti naldzo sólu chi faghet rima cun frisciu...!

e lui, terrorizzato - Ma abbéru ses naldzendhe? Narami sa veridade, bruttu pólcu! [8]

Dopo esserci allontanati a distanza di sicurezza Ubaldo arrestò l’auto e, sceso, si rivolse al nostro amico:

- Mariooo… Volere vino?

Un potentissimo “Vaffa…!” ci raggiunse e ci accompagnò nel buio della notte e negli anni successivi ogniqualvolta, come in questa occasione, riaffiora il ricordo di quei lontani giorni, quando, di notte, andavamo a Cala Sassari alla conquista delle “bionde americane”.

Dionigi Pala

[1] L’acqua… l’acqua… l’acqua…, l’avevo dimenticata!

[2] Sono arrivati gli Americani! Stanotte andremo a controllare la situazione e domani notte cominceremo il commercio!

[3] Mio caro, se vogliono bere, tirino fuori sigarette! Tu vedrai che, assetati come mai, quelli sono disposti a barattarsi persino le mutande!

[4] … il più piccolo di casa.

[5] … assetato come può esserlo una gallina assetata.

[6] … nella pattumiera

[7] - Uba’, ma che accidenti stai facendo? Non vedi che m’hai fatto la doccia!?

e Ubaldo - Ma chi sei?

e lui - Sono Mario; ma che è, non mi hai visto? Allora sei orbo!

e Ubaldo - Mica sapevo che c’eri tu! Perché non ha proferito parola?

e lui - Mi sono nascosto perché credevo che foste guardie di finanza! Ma cosa mi hai gettato addosso? Acqua oppure altro?

[8] - Mario, era altro!

e lui, preoccupato - Altro… cosa???

e Ubaldo - Altro! Ma quante domande fai! Ti dico soltanto che fa rima con frisciu…! (lett. ‘serratura’. Ubaldo vuole far intendere che si tratta di orina la cui formulazione in sardo è pisciu).

e lui, terrorizzato - Ma parli seriamente? Dimmi la verità, brutto porco!

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Le foto in b/n presenti nel testo sono state gentilmente concesse da Massimo Velati al quale va il nostro più sentito ringraziamento.