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La mia personale storia del calcio olbiese. Un ricordo di "Palleddu"

La mia personale storia del calcio olbiese. Un ricordo di
La mia personale storia del calcio olbiese. Un ricordo di
Settimo Momo Mugano

Pubblicato il 12 May 2018 alle 23:54

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La ripresa del calcio olbiese datata 1945-'46

Per continuare la storia del calcio olbiese devo riferirmi alla fine dell'anno 1945 e all’inizio del 1946 che ho vissuto personalmente e dei quali posso raccontare avventure e aneddoti che mi porto ancora dentro malgrado siano trascorsi 72 anni.

Ho vissuto la ripresa del calcio olbiese dall’arrivo in città dell’allenatore Bonesini ingaggiato dalla ricostruita Società che faceva capo, nel primo periodo, al bar di Giovanni Deiana, il notissimo Giuanni Catrea.

Il nuovo allenatore si mise subito all’opera convocando allo stadio comunale non solo i giocatori olbiesi che avevano fatto parte della prima squadra e quelli che avevano partecipato al Campionato di seconda categoria Regionale. L’allenatore Bonesini invitò i giovani olbiesi che aspiravano a vestire la maglia della città per una gara durante la quale egli scelse i giocatori che avrebbero formato le due squadre: la prima destinata al Campionato maggiore e alla eventuale promozione in Quarta Serie e in Serie C, e la seconda che avrebbe partecipato al Campionato Regionale.

Io partecipai a quella selezione insieme a Egido Podda, al mio vicino di casa Piero Meloni e Ido Madau che, però, non entrò a far parte della squadra perché, pochi mesi dopo, raggiunse i suoi parenti negli Stati Uniti e non mi risulta che sia mai tornato ad Olbia.

Entrai dunque a far parte, con grandissima soddisfazione, della formazione che partecipò al campionato Regionale insieme a giocatori di provata abilità tecnica a cominciare da Paolo Degortes, il “Palleddu” che, di quella squadra, venne nominato Capitano e, come testimonia la fotografia in copertina, da Gianni Zuddas, Filippo Mocci, il sottoscritto, Filippo Marroni, Giacomino Pileri, Nicola Cossu, Bruno Garrucciu, Pippo Loriga, Nicola Loriga e Aldo Brunori. Ero, come la foto dimostra, il più giovane della compagnia e vissi quel campionato come un sogno.

E come un sogno fu giocare la mia prima partita in trasferta sul campo dell’Ozieri e segnare il gol della vittoria che rischiò di trasformarsi in pareggio se i nostri avversari non avessero sbagliato un calcio di rigore concesso dall’arbitro per un fallo commesso da Pippo Loriga. Di quel gol conservo un ingiallita colonna di giornale dove è scritto: “Sono stati i padroni di casa a dominare la partita ma è stata l’Olbia a passare in vantaggio con Mugano durante una mischia”.

Quella squadra aveva come accompagnatore un ex giocatore dell’Olbia, Francesco Picciaredda(detto Pinzighittu) il quale, disponendo per ogni trasferta sarda (fatte sempre in treno, 3^ classe e con partenze alle 6 del mattino da Olbia) di un piccolo budget, lo spendeva sempre con grande oculatezza, molte volte imponendo alla squadra come primo piatto una minestrina.

A Sanluri, il Capitano Palleddu, quando Francesco Picciaredda stava ordinando per primo piatto la famosa e poco costosa minestrina, lo interruppe annunciandogli che la squadra non sarebbe scesa in campo se il Dirigente non avesse ordinato per pranzo un sostanzioso piatto di spaghetti.

Il nuovo menù ebbe come risultato finale uno strabiliante vittoria per 7 a 1 per i bianchi dell’Olbia. Risultato poi festeggiato, dopo aver fatto la doccia nella fontanella della stazione di Sanluri, con il generoso vassoio dei mostaccioli del bar della stazione.

In pochi mesi ero passato dal campetto sterrato del rione la Croce al terreno dello stadio comunale (ancora sterrato) dove la tribuna era stata appena realizzata. Nei campionati precedenti per goderci la partita dall’alto noi ragazzi, con qualche tifoso di maggiore età, salivamo sul muro di cinta dello stadio o, nelle occasioni speciali, venivamo ospitati sul cassone del camion che veniva parcheggiarlo nella zona centrale del terreno di gioco dove sarebbe nata la tribuna.

Entrando a far parte della squadra dell’Olbia a quella età non si può che sognare una lunga e gloriosa carriera calcistica. Il mio sogno, allora tifosissimo della Juventus, era di vestire la maglia bianconera.

[caption id="attachment_98954" align="alignleft" width="287"] La squdra del Civitavecchia. Io sono il secondo in piedi da sinistra[/caption]

Non avrei mai immaginato, invece, che, finito quel campionato, la mia famiglia si sarebbe trasferita a Civitavecchia dove avrei fatto parte di quella società, segnando tantissimi goal, per poi far parte della seconda squadra dell’Arezzo, città nella quale ero ospitato, per frequentare il primo liceo classico, da mio fratello Gino.

La soddisfazione e l’entusiasmo di quel primo tiro in porta segnato a Ozieri, si moltiplicò sul terreno del Comunale di Olbia quasi ogni volta che si giocava la partita di allenamento (di solito il giovedì) tra nostra squadra e quella che disputava, se con ricordo male la Quarta Serie o la Prima Divisione. Erano partite accesissime durante le quali si rischiava la lite specialmente quando noi riuscivamo a battere la Prima Squadra che doveva, poi a fatica, sopportare i nostri sfottò. Durante una di quelle partite tentai, riuscendoci, di dribblare il pesante e robusto terzino Piro (non ricordo se si trattasse di Gino Piro) il quale per impedirmi di volare verso la porta ricorse ad un fallaccio che i compagni della mia squadra cercarono di vendicare arrivando quasi alle mani. Per fortuna l’allenatore riuscì a frenare i miei compagni più arrabbiati. Io, però, dovetti tornare a casa con le ginocchia e i gomiti insanguinati che non potei nascondere a mia madre per la semplice ragione che spesso andavo allo stadio in pantaloni corti.

Feci parte anche della squadra nella partita giocata a Sassari nella quale prendemmo, se non ricordo male, dieci o undici goal.

In quella trasferta demmo il primo e unico esempio di sciopero calcistico in campo. L’arbitro ci negò un rigore così plateale che suscitò la rabbia dei miei compagni più grandi alla testa dei quali c’era l’indiavolato Palleddu. Dopo le proteste, un paio di minuti l’arbitro, forse per vendicarsi delle contestazioni e degli epiteti che i miei compagni gli avevano indirizzato, assegnò alla squadra sassarese un rigore che tutti noi reputammo assolutamente inesistente. Il rigore fu battuto e subimmo il goal.

Tornando verso il centro campo Palleddu, capitano della squadra, ci impose di smettere di giocare. Palla al centro, subito regalata agli avversari, due o tre passaggi e tiro in porta senza che il nostro portiere intervenisse, e goal. Questa scena venne ripetuta non so più quante volte fino a che l’arbitro fischiò la fine di quella “strana partita” che, nel secondo tempo, vide giocare solo una squadra e l’altra subire l’onta della sconfitta a braccia conserte. Di quello “sciopero” la Società pagò una onerosa multa e, se non ricordo male, con un paio di giorni di squalifica.

“Di quel grande personaggio del calcio olbiese ho ricordato le tappe sportive più significative, ma credo sia doveroso ancora una volta rendergli l’omaggio che merita per aver dedicato una parte importante della sua vita, dei suoi impegni famigliari e di lavoro al calcio olbiese.

E voglio anche ricordare che la mia famiglia è stata molto legata alla sua, grazie all’amicizia nata fin da ragazze tra mia sorella Masina e la moglie Dina.

Palleddu se n’è andato la domenica del 18 maggio del 2014. Con lui ho come perduto un altro pezzo importante del mio giovanile passato con il quale ho vissuto le avventure più belle della mia breve vita calcistica con la maglia bianca dell’Olbia. E’ stato un grande giocatore, uno stimatissimo tecnico e, malgrado la differenza di età, un caro amico. Nessuno ad Olbia lo chiamava col suo vero nome ma con l’affettuoso e rispettoso diminutivo di “Palleddu”, che aveva il grande significato di indicare affetto e ammirazione”. Dicevi Palleddu e tutti sapevano di chi stavi parlando testimoniargli confidenza, fiducia e simpatia.

Sono andato a trovarlo nel 2013 nella sua casa di via San Basilio alla vigilia del Ferragosto e, naturalmente, abbiamo parlato a lungo di calcio, del “suo” calcio avventuroso, fantastico e intrigante di cui ho già scritto. Ci ha lasciato nella giornata conclusiva del Campionato di Calcio di serie A che gli ha fatto compagnia per i lunghi anni della sua lontananza dallo stadio, certamente riportandogli sempre alla mente quel calcio giocato che fa parte della sua e della nostra storia. Io, appresi con commozione della sua scomparsa e mi rammaricai moltissimo di non aver potuto dedicargli l’ultimo saluto. Ma ho pregato i suoi figli Giovanna, Nardino Antonio, Angelo, Rita, Gianfranco e Fabiana di salutarlo per me. Con Palleddu un giorno torneremo a giocare a pallone insieme e gli racconterò, ancora con grande orgoglio la gioia e l’entusiasmo vissuto al suo fianco nella partita in cui ho messo a segno il mio unico goal con la nostra maglia bianca dell’Olbia.

Più tardi il calcio olbiese entrò in crisi e la Società fu obbligata a rinunciare all’iscrizione al campionato di Quarta Serie. Fu un lungo periodo di “penitenza” che durò fino al 1954 - ’55, anno in cui cominciò un tempo favorevole che portò la squadra dell’Olbia a vincere il Campionato di 1^ Divisione che le aprì le porte della partecipazione al Campionato di Quarta Serie che disputò fino al 1963. Alla fine di quel campionato la Società subì l’onta della retrocessione a causa di tre punti di penalizzazione per illecito sportivo.

In quegli anni fecero parte della dirigenza dell’Olbia Giovanni Serra, Giuseppe Marrosu, Mariolino Sardo, Giovanni Antona, l’ingegner Mario Lupacciolu, l’altro spedizioniere olbiese Giovanni Campesi, il dottor Antonio Amucano ed il mio amico d’infanzia Elio Pintus che ebbe il coraggio, all’inizio della nuova stagione, di assumere la presidenza della società malgrado i tre punti di penalizzazione. Al suo fianco ci fu un gruppo di appassionati e capaci dirigenti tra i quali il dottor Antonio Amucano, Nicola Cossu, Pietrino Langiu, Pietro Setzi, Martino Occhioni, Tonino (Tony) Addis, Francesco Columbanu, Palleddu (Paolo Degortes) che, di quella squadra assunse la guida tecnica. Quel campionato fu così esaltante che, malgrado i tre punti di penalizzazione, la squadra conquistò la promozione al campionato di Quarta Serie.

La presidenza di Elio Pintus con ancora alla guida tecnica di “ Palleddu”, raggiunse il grande e ambito traguardo della promozione in Serie C. Io quella squadra la vidi giocare nello stadio di Civitavecchia facendone per la pagina de “Il Tempo” di Roma una appassionata cronaca o sui campi romani dove coglievo l’occasione di salutare il mio amico d’infanzia Elio Pintus e incontrare il famoso olbiese Astro Mari che non perdeva mai l’occasione che il calendario gli offriva per tifare per la nostra Olbia.