Friday, 19 April 2024

Informazione dal 1999

Lettere, Olbiachefu, Generale

I conti si pareggiano - di Antonio Appeddu

I conti si pareggiano - di Antonio Appeddu
I conti si pareggiano - di Antonio Appeddu
Patrizia Anziani

Pubblicato il 04 August 2018 alle 22:25

condividi articolo:

I conti si pareggiano

Il merito era stato di Lucresa1, la nonna paterna. Lo chiamava nelle prime mattinate luminose di primavera, quando le piante sono in fiore e sono nelle condizioni di riservare, almeno a chi le conosce, il meglio di sé.

"Innàtziu2, accumpagnàmi a sa tanca de sos piràstros chi devo coglìre unu pagu de elva"3. Innatziu, per curiosità e per compiacere la nonna, la seguiva tenendo in mano un cestinetto di isciareu4 nel quale sarebbero finite le erbe appena raccolte. La donna, prima di tagliarle con un affilatissimo coltellino a serramanico, gli diceva i nomi delle piante perché li ricordasse quando lei non sarebbe stata più su questa terra. Camminavano tra i cespugli di mirto e lentisco fino ad arrivare nelle chiarìe dove la donna rallentava il passo e volgeva lo sguardo a terra. Selezionava, con la mano, le varie specie erbacee e alzava lo sguardo verso il nipote in piedi al suo fianco:

- Mih, a lu ides custu? Custu est pabantzolu. Faghet bene meda a su figadu. Et custa est lattaredda, bona a fagher insalada5.

In un'occasione, Lucresa si era fermata davanti ad una piantina di cisto. L'aveva accarezzata e gli aveva detto che quella pianta, in generale, era odiata dai sardi, specie dagli allevatori di pecore e vacche e che la estirpavano solo perché non conoscevano le proprietà di quella specie: se le avessero conosciute, anziché calpestarla o sradicarla, l'avrebbero protetta e diffusa. "Ma - diceva la donna - il cisto ha il difetto di crescere dovunque e, non essendo specie rara, è considerata infestante!"

Innatziu ascoltava e fissava nomi e proprietà nel cervello. Ancora non poteva immaginare quale fosse l'intimo meccanismo di azione di queste erbe a favore o contro l'uomo, ma intuiva che in quegli organismi si trovassero, in concentrazione adatta, delle sostanze capaci di guarire o, addirittura, di uccidere.

Quando andava per campi con gli amici, mentre costoro vagavano con lo sguardo verso il cielo a guardare uccelli, lui metteva a fuoco erbe e piante che incontrava e ripeteva sistematicamente le informazioni che la nonna gli aveva fornito.

Arrivato a dieci anni, conosceva un discreto numero di piante officinali e di quasi tutte poteva elencare i benefici che garantivano all'uomo o i problemi che potevano creargli. Era anche stato messo alla prova, con successo, quel giorno in cui, nei pressi di casa, Luisi6, uno dei suoi migliori amici, si era provocato un ampio taglio nella mano mentre cercava di spezzare una canna che aveva raccolto poco prima. Innatziu era corso a casa ed era tornato con un mazzetto di erba, aveva preso i gambi e li aveva spremuti sulla ferita dell'amico. Dai gambi era fuoriuscito un lattice che aveva ricoperto la ferita. Il sangue aveva subito smesso di sgorgare e, dopo due giorni, dalla mano dell'amico erano scomparse anche le tracce della ferita.

Lucresa, una sola volta all'anno e quando riteneva che fosse il momento propizio, raccoglieva un'erba di cui non aveva mai parlato al nipote. Lui la intravedeva soltanto nel cestino ma non era mai riuscito a riconoscerla fra quelle che incontrava in campagna. Aveva anche chiesto alla donna perché non lo coinvolgesse mai in quella raccolta. Lucresa, con sguardo severo e voce bassa, aveva risposto "Cand'at a essere su momentu, t'apo a iscobiare su segretu. Tando, as a essere tue chi as a coglìre cussa pianta. Semper chi ti fàtat piaghère!"7

Innatziu, inoltre, col passare degli anni, aveva notato che due mesi dopo la raccolta di quell'erba, in un armadietto di legno collocato in un angolo della cucina, compariva un gruppo di vasetti di vetro contenenti una sostanza grigia e densa. L'aveva anche annusata, quella sostanza, ma quell'odore non gli era piaciuto per niente.

Finite le scuole medie, il ragazzo si era iscritto al liceo. Era un ottimo studente, capace di assimilare con rapidità gli argomenti di studio e con una forte voglia di partecipazione alla vita scolastica ed al dialogo con studenti e docenti. Forse l'entusiasmo era la sua caratteristica più marcata.

Ma l'entusiasmo, si sa, non è un tratto caratteriale molto amato da certe persone, specie quelle invidiose, ed è una di quelle qualità che è facile spegnere, specialmente nei più giovani. Glielo diceva spesso, la nonna, "Fizu meu, ammentadi chi s'invidia non morit mai"8. Si dovette rendere conto, un giorno, che le parole della nonna non erano casuali.

Fu quando l'insegnante di scienze naturali diede alla classe un compito piuttosto comodo per gli studenti: scelto a piacere un tema, l'allievo doveva svilupparlo in tre o quattro cartelle scritte a mano.

Innatziu, convinto di fare cosa apprezzata dall'insegnante, scelse il tema delle erbe officinali. Forte della sua esperienza in campo, illustrò le azioni benefiche di diverse specie della flora sarda e diede anche indicazioni su come confezionare diversi preparati. Spiegò nei dettagli come fare un infuso, un decotto; come produrre un unguento e distillare un'erba o le foglie di un albero.

Era convinto di aver fatto un ottimo lavoro e, soprattutto, di aver trattato un tema rilevante e di attualità per la società moderna. In fin dei conti, era ormai risaputo che i farmaci prodotti dall'industria aggiustano da una parte e rompono da un'altra! Si aspettava il plauso dell'insegnante.

Rimase, pertanto, sconfortato quando conobbe l'esito della correzione del compito: quattro! Con, allegato, un poco lusinghiero giudizio sul tema che, in sintesi, veniva definito "scadente e privo di idoneo spessore scientifico".

Quando l'insegnante lesse, in classe, i voti assegnati ai vari componimenti, Innatziu non disse nulla: non volle dare importanza a quella donna anche se il suo stato d'animo era stato profondamente ferito dal trattamento subito. Era stato educato da suo padre a dissimulare, specie nelle situazioni più dolorose per lui.

Rientrato a casa, si confidò con la nonna che, visto l'avvilimento del ragazzo, se lo mise davanti e gli disse:

- Non ti dèves meravizàre de cussu chi t'est sutzèssu. B'at zente cunvìnta chi bàlet solu cussu chi ischit issa. Est unu bellu fiòttu, ma est sa zente peus chi tue potas attopare. Sunt sos ignorantes. Ammentadi chi su printzìpiu de sa connoschèntzia est de ischìre de non ischìre. S'òmine sàbiu e de gabbàle, cando una cosa non la connòschet, si frìmmat et ascùltat cussos chi nd'ìschint pius de isse. Sa zente de pagu valore, sos ignorantes, fintzas si sunt addoctoràdos, cando s'imbàttint in arrèjonos chi non connòschent, lèant de mancu in preju chi-e nd'ìschit. Cussa professorèssa, pro comente t'at trattàdu, at demustràdu de essere fèmina chi non balet a nudda. Non ti meravizes si, intro de calchi annu, as a esser tue a li fagher bider chi, cun tègus, at isbagliàdu grussulanamente"9.

La vicenda smorzò decisamente gli entusiasmi del ragazzo, anche perché, dopo quell'episodio, se ne verificarono altri nei quali l'insegnante aveva tentato di sminuire il valore delle sue prestazioni scolastiche.

Innatziu, qualche volta, si chiedeva il perché di quell'atteggiamento nei suoi confronti. Cosa aveva fatto per meritare quel trattamento? E, poi, da un professore ti aspetti oggettività di giudizio, parità di trattamento, comprensione per tutti. Quella, invece, sembrava che gli avesse dichiarato una guerra personale. Un giorno, pur di contraddire una sua risposta all'interrogazione, era arrivata a contestare che un qualunque numero elevato zero potesse dare, come risultato, uno. Eppure bastava prendere anche un manualetto di matematica delle elementari per scoprire che la risposta era giusta. Tra l'altro, l'atteggiamento che la donna gli riservava, faceva da contraltare a quello che veniva garantito ad alcuni compagni di classe che, sebbene sempre poco ferrati sui vari argomenti, venivano sistematicamente premiati con giudizi brillanti e voti sproporzionati rispetto alla preparazione manifestata alle prove.

Aveva tentato, Innatziu, anche di confrontarsi col padre, ma questi gli aveva dato una riposta per certi versi disarmante: "Ricordati che il grosso degli insegnanti è costituito da persone serie e preparate. Non sono molti quelli inadeguati. Questi ultimi, però, per la scuola sono peggio del colera. Dove passano loro la scuola muore: la uccidono usando il loro lavoro per compiacere al potente di turno o per avvantaggiare parenti e amici. L'unica cosa che mi sento di dirti è di fare in fretta col liceo e passare all'università. Dopo la laurea, quando vedrai la tua insegnante per strada, potrai far finta di incontrare un fantasma. Certa gente non merita neanche la fatica di uno sguardo!".

Ogni fine settimana dei mesi compresi fra aprile e luglio, Innatziu metteva in funzione un piccolo alambicco che aveva in casa. Lo caricava bene: prima l'acqua, poi la retina di acciaio per evitare il contatto diretto con la massa vegetale e, sulla retina adagiava le erbe e le foglie che aveva deciso di distillare. Tappava la caldaia col coperchio e collegava i tubi dell'acqua. Apriva la saracinesca della bombola del gas e dava fuoco al fornello. Dopo un po' di tempo, l'idrolatro iniziava a fuoriuscire dall'alambicco. Produceva acque aromatiche e oli essenziali.

Questi ultimi erano la sua passione. In parte, li utilizzava per fare unguenti per la pelle. Provava un piacere raffinato e intenso quando sentiva le amiche gioire perché i suoi preparati rendevano la pelle liscia ed elastica. Il prodotto, inoltre, passava dalle mani delle amiche a quelle più esigenti delle loro mamme e lui si trovava sistematicamente subissato di richiesta di nuovo preparato che, comunque, esaudiva sempre.

Finito il liceo si era iscritto in Legge. Lo affascinava l'idea di diventare un giurista, di appropriarsi dei meccanismi delle procedure e delle motivazioni filosofiche più intime della norma di legge. Si sentiva attratto da quella materia che, in apparenza ed ai più, sembra arida ma che, una volta eliminato lo strato superficiale intriso di formalismo, si trasforma in ragionamento armonico ed equilibrato e costituisce un'efficacissima chiave di lettura della società e dell'agire umano. A ciò, sosteneva il ragazzo, bisogna aggiungere l'utilità pratica della conoscenza del diritto: quella di difendersi da soli in una società dove l'individuo è sempre più oggetto di prevaricazioni da parte di altri individui e della stessa pubblica amministrazione. "Una famiglia che non abbia al proprio interno un avvocato - diceva spesso agli amici - è una famiglia rovinata. Le spese legali stanno diventando una delle voci di spesa più rilevanti per tutti, anche perché fra contenziosi con privati e con uffici pubblici, la difesa dei propri diritti è assurta la ruolo di attività principe della vita dell'uomo moderno!".

Arrivò alla laurea e, subito dopo, iniziò a frequentare lo studio di una avvocato della sua città. Ma la passione per le erbe non l'aveva mai abbandonato. Non potendo recarsi con la necessaria frequenza nei terreni di famiglia ed avendo ormai residenza fissa in centro, aveva acquistato un appezzamento di terreno alle porte del paese dove aveva realizzato un piccolo laboratorio e trapiantato numerosi esemplari della macchia mediterranea. A chi gli chiedeva come mai, anziché piantare fiori o alberi da frutta, avesse messo a dimora piante di lentisco, cisto, rovo, mirto ed altre ancora, rispondeva sistematicamente "Noi sardi siamo, in fin dei conti, un popolo povero. Ci hanno impoverito nel corso dei secoli e continuano a farlo anche oggi. E noi lasciamo fare. Ma il paradosso è che siamo un popolo povero seduto su un baule stracolmo di gioielli. La ricchezza l'abbiamo sotto il fondoschiena ma noi guardiamo altrove. Se il sardo sapesse cosa si può fare con le piante che la natura gli ha messo a disposizione, la smetterebbe di copiare gli esempi dannosi che arrivano dal mare e lavorerebbe con ciò che ha a disposizione! Pensate solo al binomio piante officinali con archeologia: se lo valorizzassimo come si deve, garantiremmo ricchezza a tutti i sardi, compresi quelli che oggi, per cercare lavoro, sono fuori dalla nostra terra".

Un giorno l'aveva chiamato al telefono la nonna e lui era andato prontamente a trovarla.

- Fizu meu, mi pàret chi sìet bènnidu su tempu de ti nàrrer una cosa chi t'apo cuàdu fìntzas a oe. Ti chelzo iscobiare su numene de cussa pianta chi andaìa a coglìre a sa sola. Deves ischìre chi est pianta chi podet fagher meraculos. Ma mi deves promìttere chi non as a esageràre fattende impiàstros cun issa. Como t'apo a narrer cando et comente la deves impreare. Tue la dèves immaginàre comènte un'iscùdu pro sa pedde. Non nèlzas a niùnu su chi ti so nende como: sa die chi custas cosas las ant a ischìre in mèdas, si nd'ant a appropriare sas multinatzionàles de sas meighìnas et tando, a su postu de l'aer a gratis, sa zente, et subra e tottu sa zente piùs povera, at a esser obligàda a la pagare a pesu de oro.10

- Ti lu promìtto. Eo isco muntenner unu segretu.11

Innatziu, così, conobbe le proprietà di questa pianta e, subito, preparò degli unguenti che provò su di sé con risultati strepitosi.

Potè, così, allargare la gamma delle produzioni, che allestiva soltanto a beneficio della sua cerchia di amici i quali, sistematicamente, facevano ricorso a lui per risolvere qualche piccolo problema della pelle o per evitare il ricorso ad integratori alimentari da acquistare in farmacia. Ormai era un avvocato affermato e dalla professione ritraeva reddito e soddisfazione lavorativa. Ma la passione per le erbe non lo mollava e poter disporre di una sorta di ambito sperimentale fra gli amici gli consentiva di dare uno fine operativo a ciò che produceva nel suo piccolo laboratorio.

D'estate, come tutti gli anni, frequentava la spiaggia principale del paese. Era una spiaggia lunga e profonda, frequentata da una parte dei compaesani (il resto andava a cercare sistemazione nelle spiagge frequentate da vip per il solo gusto di poter raccontare agli amici di aver visto le chiappe di quell'attricetta o le spalle di quel cantante). Era un abitudinario: stessa collocazione e stessi orari di arrivo e di partenza. Arrivava alle otto e abbandonava la sabbia alle 11,30 per poter essere pronto, con gli amici, per l'aperitivo che si consumava regolarmente nel bar di "zietto Stefano" di via Veneto.

Il programma in spiaggia, quotidianamente, prevedeva due o tre nuotate e la lettura del libro del momento. Sotto l'ombrellone, seduto su una sedia con i braccioli, leggeva per almeno un'ora, nella speranza che non si avvicinasse nessuno ad interrompere la lettura, ovvero il suo sport preferito.

E fu in spiaggia che ebbe modo di pareggiare il conto che si era aperto al tempo della scuola.

L'aveva notata, a pochi metri dal suo ombrellone: era lei. Invecchiata, inevitabilmente, ma era lei. Stessa pettinatura e stesso atteggiamento di sfida nei confronti di chiunque le passasse davanti. L'avrebbe riconosciuta in mezzo a mille donne: la professoressa di scienze.

La donna non era sola. Con lei, sotto l'ombrellone, stazionavano una giovane donna con un bambino. Quest'ultimo giocava, come tutti i bambini su una spiaggia, con la sabbia e, ogni tanto, si avvicinava all'acqua per riempire il secchiello e continuare col gioco.

Dopo un po', la donna prese per mano il bambino e si diresse verso il bagnasciuga. Fece qualche passo in acqua e iniziò a camminare parallelamente alla riva tenendo per mano la creatura. E' una pratica molto diffusa fra le donne che sanno bene che passeggiare nell'acqua di mare aiuta a risolvere i piccoli problemi circolatori delle gambe. Il bambino seguiva la nonna anche se aveva l'acqua all'altezza della vita. Dopo pochi minuti, senza apparente motivo, iniziò a piangere a dirotto. Era un pianto di dolore, angosciato. La donna corse fuori dall'acqua e fece sedere il bambino sotto l'ombrellone. La madre lo controllò nelle gambe e si accorse che, all'altezza del ginocchio, il piccolo presentava degli arrossamenti. Capì che si trattava del tocco di una medusa: non è raro trovare questa specie anche in prossimità della battigia. Provò a lavargli il ginocchio con dell'acqua, ma la disperazione del bambino non cessava e, con essa, il pianto di dolore. La professoressa, allora, si guardò attorno e si diresse verso gli ombrelloni collocati al fianco del suo per trovare, evidentemente, un rimedio. Ma senza successo. Si diresse allora verso Innatziu che, tra l'altro, non aveva ancora riconosciuto.

- Mi scusi, signore, ha per caso dell'ammoniaca al seguito?

- Mi spiace, non ho ammoniaca.

- Che disperazione. Mio genero ci ha lasciate qui e tornerà solo nel pomeriggio. Siamo senza macchina e non possiamo neanche fare ritorno a casa.

Innatziu, a quel punto, mise la mano nella borsa degli asciugamani e tirò fuori un boccetta di vetro con uno spruzzatore. Conteneva un liquido che sembrava acqua.

- Se vuole, può provare questo liquido. E' un prodotto a base di un'erba. Può darsi che sia efficace e che risolva il problema del bambino.

- Mi garantisce che non farà male a mio nipote?

- Questo non glielo posso garantire. Posso solo dirle che è ottenuto da una pianta senza uso di solventi chimici ed è, pertanto, un prodotto naturale. Di sicuro gli fa più male il tocco della medusa.

Nel frattempo si era avvicinata anche la nuora col bambino. Quest'ultimo era in preda ad un dolore lancinante e non riusciva a smettere di piangere.

- Come ti chiami? - gli chiese Innatziu

- Giorgio - rispose fra i singhiozzi il piccolo

- Signore, ha qualcosa che possiamo usare? - chiese in evidente stato di disperazione la madre di Giorgio

- Ho appena detto alla signora che dispongo di questo prodotto ma lei vuole avere garanzie che non avrà effetti negativi su suo figlio. Posso solo dire che produco io questo liquido e lo produco con le foglie di una pianta spontanea. Decida lei se spruzzarlo sul ginocchio di suo figlio.

La madre prese subito il flacone dalle mani di Innatziu e senza indugio, mentre la suocera cercava di bloccarla "e se poi gli fa male?", spruzzò il liquido sulla parte dolente del bambino. Passarono pochi secondi e il bambino smise di piangere, abbracciò la gamba della madre e così rimase per un po'. Dopo qualche minuto Giorgio aveva ripreso a giocare con sabbia, secchiello e paletta e la madre aveva ringraziato calorosamente Innatziu per aver risolto tempestivamente il problema del figlio. La giovane donna si era nuovamente avvicinata per ribadire la sua gratitudine e, saputo che si dilettava con i preparati a base di erba, gli chiese se disponeva di qualcosa che eliminasse l'arrossamento dalla gamba del figlio. Innatziu prese dal portafogli un suo biglietto da visita e le disse "Venga pure nel mio studio questo pomeriggio. Le darò un unguento da mettere sul ginocchio di suo figlio. Mia nonna, quando parlava di questo unguento, diceva che era uno scudo per la pelle. Vedrà che dopo pochi minuti spariranno tutti gli arrossamenti". La donna lo ringraziò ancora e gli garantì che sarebbe andata a trovarlo in studio nel pomeriggio. Dopodiché tornò dalla suocera e le porse il biglietto da visita di Innatziu affinché lo leggesse. L'anziana insegnante guardò il rettangolino di carta dopodiché alzò lo sguardo verso l'avvocato con un'espressione che significava "adesso capisco di chi si tratta!" e si ricordò. Si ricordò di come l'aveva trattato in occasione di quel compito di scienze. Le venne in mente l'irritazione che aveva provato allora, quando, leggendo il compito di quel ragazzino, si era dovuta rendere conto che, mentre lei ignorava completamente la materia, Innatziu la conosceva perfettamente. Ed aveva provato un forte sentimento di gelosia per la competenza del ragazzo alla luce della sua ignoranza.

Era rimasta ritirata sotto l'ombrellone per non dover ammettere la sconfitta.

Ma lui, la sua vittoria l'aveva ottenuta: le aveva dimostrato che i conti si pareggiano sempre, anche a tanti anni di distanza.

Su chi non s'ischit, si minispretziat (Quel che non si sa, si disprezza) - Antico proverbio sardo

© Antonio Appeddu 2018

Note
  1. Lucrezia
  2. Ignazio
  3. Ignazio, accompagnami nel campo dei perastri che devo raccogliere alcune erbe
  4. Asfodelo
  5. Guarda, lo vedi questo? Questo è tarassaco. E questa è lattaiola, buona per fare insalata
  6. Luigi
  7. Quando sarà il momento (opportuno), ti svelerò un segreto. Allora, sarai tu che raccoglierai quella pianta. Sempre che ti faccia piacere!
  8. Figlio mio, ricorda che l'invidia non muore mai
  9. Non devi meravigliarti per ciò che ti è successo. C'è gente che crede che valga solo ciò che sa lei. È un bel gruppo di persone, ma sono le peggiori che tu possa incontrare. Sono gli ignoranti. Ricordati che il principio della conoscenza è il sapere di non sapere. L'uomo colto e di valore, quando un argomento non lo conosce, si ferma e ascolta quelli più preparati di lui. La gente di poco pregio, sottovaluta le persone preparate. Quella professoressa, per come ti ha trattato, ha dimostrato di essere una donna che non vale nulla. Non ti meravigliare se, tra qualche anno, sarai tu a farle vedere che, con te, ha sbagliato grossolanamente.
  10. Figlio mio, mi sembra che sia giunto il tempo di dirti una cosa che ti ho tenuta nascosta fino ad oggi. Ti voglio rivelare il nome di quella pianta che andavo a raccogliere da sola. Devi sapere che è una pianta che può fare miracoli. Devi, però, promettermi che non esagererai facendo preparati con lei. Adesso ti dirò come e quando la devi utilizzare. La devi immaginare come uno scudo per la pelle. Non dire a nessuno ciò che sto per dirti: il giorno che queste cose le sapranno in tanti, se ne approprieranno le multinazionali del farmaco e allora, anziché averla gratis, la gente, e soprattutto i più poveri, sarà obbligata a pagarla a peso d'oro.
  11. Te lo prometto. Io so mantenere un segreto.