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Aspettando "su Vapore"

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Nadia Spano

Pubblicato il 27 November 2016 alle 18:17

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Olbia, 27 novembre 2016- Ieri ho visto le foto pubblicate del "su Vapore", come si diceva in olbiese, attraccato al molo dell'Isola Bianca, com'era nei tempi che furono e, come sempre, si è aperto il baule dei ricordi ed una pagina dolce della mia infanzia, si è affacciata dapprima timidamente, quasi con pudore, poi sempre più prepotentemente per farsi largo tra i tanti ricordi. Quando ero bambina, fino ai cinque anni, ovvero alla morte di mia nonna Titina - agli atti Battistina Deiana - mamma era solita ogni sera che Dio comandasse, fatta eccezione il mal tempo o la febbre, portarci a trovare nonna.

Verso le 16,30 ci cambiava e metteva un vestito bello, non quello della domenica, ma comunque ben ordinato, i calzettoni rigorosamente bianchi con le ballerine in vernice o gli stivaletti se era pieno inverno, il giacchino o il cappotto in panno pesante e, ben pettinati i capelli con le codine o le trecce, mano nella mano, io, mamma e mia sorella Anna Rita, passavamo per Via Dettori, un pezzetto di Via Regina Elena, Via Defilippi per girare a sinistra ed arrivare subito al "palazzo Ughes", dove al secondo piano abitava nonna Titina.

Nonna ci aspettava sempre sul portone di casa che si apriva su un largo e lungo corridoio, con il pavimento di mattonelle fatte di pezzi di marmo sempre tirato a lucido. Subito dopo il portone, sulla sinistra si apriva la porta della cucina, con la credenza laccata in beige ed il tavolo con il ripiano in marmo bianco.

Ricordo della cucina soprattutto i profumi: quello del sugo e del caffellatte, fatto con la miscela Leone che era un misto di caffè ed orzo di un aroma particolare che non ho più risentito dopo la morte di mia nonna.

miscela-leone

È strano come da bambini restino impressi nella memoria particolari di profumi o sapori che poi non si ritrovano più. La stanza successiva aveva la porta sempre chiusa e solo raramente riuscivo a sgattaiolarci dentro. Era la camera del fratello di nonna, zio Toto, agli atti Stefano Deiana - di istivinzu "Ciucculata" - allora dal carattere burbero segnato, secondo nonna, dalla guerra, dove era stato fatto prigioniero dagli inglesi in Libia, e dalla morte della fidanzata; quindi come scapolo viveva con mia nonna e la sua camera era un tabù che ogni tanto violavo.

C'era un bellissimo letto in ferro battuto laccato chiaro con un grande rosone centrale, lavorato in scaglie di madreperla, un comodino con uno sportello, un cassetto ed un ripiano in marmo grigio; ed un armadio ad un'anta con un grande specchio davanti al quale amavo fermarmi per fare le boccacce e le piroette. La terza porta su quel lato del corridoio si apriva sulla camera da letto di mia nonna dove troneggiava il grande letto in legno intarsiato sia a testa che ai piedi, due comodini simili a quelli dell'altra stanza, un grande armadio a due ante con gli stessi intarsi del letto e, nell'angolo opposto, tra la finestra ed il muro il mio pezzo prediletto: una pettiniera con lo specchio che era tenuto da una cornice intarsiata, sostenuta da due colonnine a torchon che nel mezzo avevano un perno che permetteva allo specchio di oscillare in su e giù a seconda dell'altezza o della luce; un ripiano in marmo rosa e sotto tre cassetti di cui quello centrale con un secretaire dove nonna teneva i pochi oggetti di valore, le foto e lettere di nonno, che di tanto in tanto mi permetteva di vedere, senza toccare. Seduta sulla seggiolina, anch'essa intarsiata, ho passato tante fra le più belle ore della mia vita, a fingere di imbellettarmi col piumino e spazzolarmi i capelli con la morbida spazzola dal manico e rivestimento in argento.

Dall'altro lato del corridoio c'era la grande sala da pranzo con una base con sopra la cristalliera dove erano ben esposti sottilissimi bicchieri lavorati in lamina d'argento e servizi da caffè e da the che, sicuramente, nessuno usava se non per le visite degli ospiti importanti; il tavolo apribile il salotto ed una libreria ad angolo con diversi libri tra cui una delle prime edizioni dei Promessi Sposi e del Conte di Monte Cristo, entrambe illustrate ed una Bibbia. Infine l'ultima camera, di fronte alla cucina era la camera della sorella "zittella" di nonna, zia Natalina. Quando arrivava la primavera, e da allora fino all'autunno inoltrato, mia sorella che è cinque anni più grande di me, aveva il permesso di scendere a giocare nei cortili intorno al palazzo, così poiché io restavo da sola e spesso diventavo una lagnosa da premio Oscar, allora nonna mi portava nella sua camera la cui finestra si spalancava sul molo Brin, si sedeva sulla sedia e mi metteva seduta sul davanzale ad aspettare l'arrivo "de su Vapore", che allora attraccava proprio sul lato destro del molo. Ricordo che lo vedevo arrivare al faro, dove lo attendeva il rimorchiatore che faceva salire a bordo il Capitano del porto il quale aveva la responsabilità di "guidare" la nave tra le insidiose secche del golfo fino alla sicurezza dell'attracco.

Se chiudo gli occhi sento ancora il profumo di aria pulita mischiato al profumo della salsedine, risento le voci dapprima calme poi sempre più concitate dei marinai a terra che prendevano le grosse cime lanciate dal "Vapore" per legarle agli ormeggi a terra e più lontane le campane della Chiesa San Paolo che richiamavano alla messa vespertina, perché i due orari coincidevano. Ogni volta era un rito che si svolgeva nello stesso modo ed ogni volta nonna mi raccontava di suo padre, ovvero mio bisnonno, che era Capitano di porto ed al tempo della canzone "Se potessi avere Mille Lire al mese", lui le guadagnava e dava ogni mese a mio padre, il maggiore dei nipoti, 50 lire come paghetta mensile da spendere in dolcetti di ogni genere, di mio nonno falegname che aveva fatto con le sue mani ogni mobile di quella casa della quale risento il profumo del legno lucidato con la cera. Poi mi diceva: ".... quelli erano bei tempi!" e con un sospiro ed un bacio mi rimetteva per terra. Era una gran bella donna mia nonna, in tutti i sensi: grande perché alta e bella fisicamente, con due splendidi occhi azzurri come il cielo di maggio ed una carnagione chiarissima; e bella d'animo, coraggiosa e fiera dei suoi genitori e di quel marito falegname, morto troppo presto, lasciandola con mio padre neanche diciottenne ed altri tre figli da crescere (sarebbero stati cinque se i due nati subito dopo papà non fossero morti di scarlattina a distanza di una settimana l'uno dall'altra,in tenerissima età.

Oggi so che era il suo modo di ricordare il passato per non perderlo, ma anche il modo di dare a me radici forti, conoscendo attraverso lei i miei antenati e ciò che erano stati. Rimpiango sempre di non averla potuta godere per più anni e di non avere un bagaglio più importante di ricordi con lei; ma ogni volta che passo davanti a quel palazzo ormai fatiscente, alzo gli occhi a quella finestra e vedo una bambina seduta sul davanzale, saldamente tenuta dalle braccia della nonna e vedo i loro occhi, così simili, guardare oltre il molo Brin, oltre il faro, entrambe in attesa di vedere la sagoma " de su Vapore" che arrivava.

©Nadia Spano 2016