Thursday, 18 September 2025
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Pubblicato il 18 September 2025 alle 16:00
Olbia. È facile imbattersi nel profilo social di Silvia Goblin Eremita. Un nome ( Goblin) che incuriosisce specialmente un boomer nostalgico degli anni '70/'80, che si chiede cosa si celi dietro la scelta di inserirlo dopo il proprio nome, e un cognome Eremita che non vuole essere una caratteristica personale. Qui si scopre una donna molto affascinante che è un vulcano di esperienze, idee, passioni e spessore (il che non guasta davvero di questi tempi).
L'olbiese Silvia Eremita infatti è una figura eclettica e passionale che incarna la versatilità di una donna contemporanea: speaker, conduttrice, medico ed ex cantante, nonché instancabile appassionata di fai da te. Ha tracciato il suo cammino spostandosi tra diverse regioni per seguire ciò che le regalava entusiasmo, lasciando anche Olbia, la sua città d’origine, ma portando con sé una curiosità contagiosa e una voglia di sperimentare che non conosce confini.
La sua formazione medica le conferisce una solidità razionale su cui poggia ogni progetto, mentre la comunicazione e l’empatia con chi entra in contatto con lei ne fanno una professionista capace di trasformare la complessità in prossimità. La sua personalità vivace si declina in una molteplicità di ruoli, dove creatività e entusiasmo rappresentano i cardini: dalla scena alla scrivania, dal palcoscenico alle dinamiche quotidiane del fare, Silvia sa trasformare l’energia in opportunità.
Il suo modo di essere donna moderna si fonda sull’emancipazione e sull’affermazione di sé, sempre seguendo la passione e l’entusiasmo. Non ha mai fatto leva sull’aspetto fisico per definire il proprio valore: la sua eleganza risiede nella professionalità, nella disciplina e nel rigore, valori che la accompagnano anche quando esplora nuovi orizzonti creativi. In questa intervista, Silvia ci racconta come la curiosità, la disciplina medica e la libertà di espressione convivano nel suo quotidiano, alimentando una traiettoria in cui la multidisciplinarità diventa successo e ispirazione per chi la segue.
Il tuo nome d’arte lascia intuire uno spirito fuori dal coro: come nasce l’alias “Silvia Goblin Eremita” e in che modo riflette la tua visione artistica e professionale?
"Goblin deriva dal film a cui io sono molto affezionata: quello di David Bowie e Jennifer Connolly. È tra l’altro David Bowie è diventato sicuramente il mio artista internazionale preferito che ho seguito per tantissimo tempo, mentre il resto è il mio nome e cognome: Silvia Eremita. Ho origini pugliesi per metà e per metà viterbese, con una nonna sarda che giustifica la mia presenza ad Olbia. Non c’è una visione artistica unica: io sono tante cose che ho scoperto nel tempo. La musica, mi ha accompagnato da subito, ed è stata sempre presente. L'ho coltivata sin dall’inizio. Infatti dall’età di 16 anni ho tirato su il primo gruppo tutto al femminile nella città di Olbia. Eravamo veramente carine, graziose, insomma, tutte ragazze che facevano sempre musica pop rock. Cercavamo di avere uno stile tutto nostro, particolare, anche un po’ underground. Poi ho proseguito la mia carriera da cantante con altre formazioni, come Le Dimensioni, che era il mio vecchio gruppo. Infine è venuto fuori un progetto tutto mio che porta il mio nome, Silvia Eremita, con cui ho avuto tante soddisfazioni. Ho vinto diversi premi in Sardegna, sono andata all’Arezzo wawe con i miei musicisti, tra l’altro bravissimi: Alberto Monaco, Enrico Bonacossa e Luca Folino, che è il batterista in questo momento dei Tazenda. Abbiamo fatto delle grandi cose, dando vita al mio primo e unico EP che si intitola appunto Goblin. Nella Copertina c’era appunto un goblin che va a mettere il bastone tra le ruote a me stessa, sopra una bicicletta, che mi tappa anche gli occhi. Insomma questi goblin sono un po’ dentro di me e hanno sempre creato parecchi disordini, come se non volessero che io seguissi la strada canonica, insomma quella assegnata, quella che la società ti decide, quella che la società ti indica come quella più classica, quella per cui non ci si sconvolge molto. Io invece la linea classica non l’ho proprio seguita".
Sei una speaker-conduttrice-medico-ex cantante e hai anche esperienze in carpenteria: come bilanci tra le molteplici identità, e in che modo ciascuna influenza le scelte creative e professionali quotidiane?
"Ci sono stati diversi momenti che hanno scandito la mia vita. Ovviamente la carpenteria è in senso un po’ ironico, perché io adoro fare tutto ciò che è un lavoro manuale. Rispetto a mio marito io utilizzo cacciaviti, bulloni, trapano: quindi tutto ciò che riguarda la manodopera in casa la faccio io, e questo l’ho sempre fatto. Mi piacciono molti lavori manuali e in tutto ciò ho seguito le orme di mia nonna e di mio padre. Le mie molteplici identità si sono intervallate nel tempo. Ho sempre cantato, poi è arrivato il periodo universitario e mi sono affacciata al mondo della medicina, non perché ne sia stata costretta - entrambi i genitori sono medici -, ma è qualcosa che ho scelto io. Vedevo in questa professione un lavoro che potesse aiutare tanto gli altri e che mi desse soddisfazione. Volevo fare il chirurgo perché, con le mani ero brava. Avevo di questi pensieri, sapendo di lasciare però da parte la passione per tutto ciò che fosse artistico, creativo, musicale, perché fondamentalmente non ho mai avuto quel coraggio e quello spirito di intraprendenza di fare un salto nel vuoto. Sono stata vigliacca, come dico sempre: ho scelto la via più facile, forse. Però studiare e fare qualcosa che significasse mettere molto impegno mentale non mi spaventava. Non riuscivo a vedere un futuro in quell’altro senso, mentre sulla medicina potevo contarci. Era per me un percorso molto più chiaro, molto sicuro — studi, laurea, lavori e ci sei — e chiaro che poi, durante il percorso universitario, i problemi si sono fatti sentire, perché la parte artistica per quanto volessi tenerla fuori, in realtà la stavo coltivando sempre di più. La costruzione e la produzione dei pezzi è nata proprio nel periodo universitario,tanto che la mia tesi di laurea l’ho dedicata alla musica. Poi cosa è successo? iniziano i primi anni di lavoro: molto pesanti, molto intensi. Le soddisfazioni dal punto di vista musicale non arrivavano in Sardegna. L’insularità non ti aiuta perché non ti permette di esibirti in giro con poche spese. Insomma sappiamo bene che in Sardegna voler avviare un’attività musicale è faticoso e quindi farsi notare anche dalle altre regioni ha sempre il disagio navale e aereo. Forse io non ho avuto quella spinta emotiva o di sicurezza in me stessa per proseguire questo percorso, per cui, come dico sempre, con la musica ho litigato: ci sono stati tanti impegni, motivi ma anche economici che ho sostenuto da sola, quindi senza l’aiuto della mia famiglia, ma è una cosa che ho portato avanti io per mio conto. Quando ho visto che non arrivavano le conferme, le risposte che io volevo, ho chiuso. Sono anche una persona molto pratica e anche molto schietta: l’occasione non è arrivata, vuol dire che doveva andare così, quindi non voglio insistere e non voglio perdere altro tempo".
L’estetica e la presenza mediatica contano nel tuo profilo pubblico: come descriveresti l’interazione tra immagine personale, stile e professionalità medica, e quali messaggi vuoi trasmettere al pubblico attraverso i tuoi contenuti?
"Per tanti anni cercavo di mantenere un look sobrio, un basso profilo, perché non volevo che la mia immagine potesse in qualche modo intaccare la mia professione di medico. Col tempo le cose sono un po’ cambiate nel senso che mi sono aperta al pubblico in maniera un po’ più libera, più leggera, ma non allentata: non in senso di regali o di esibizione del mio corpo in questo genere. Anzi, sono molto riservata in questo senso: l’immagine conta ed è importante, è il primo biglietto da visita. Mi rendo conto che un’estetica piacevole, in qualche modo può incuriosire e, indirettamente, aiutare. Però ciò che uno produce mentalmente è fondamentale e necessario. Ho conosciuto tante donne del mondo dello spettacolo che, purtroppo, non hanno queste caratteristiche, non hanno queste peculiarità. Per questo rimane spesso centrato il ruolo della donna come accompagnatrice nell’immagine o come presenza quasi obbligata in un contesto di conduzione e di dialogo. Invece no. Mi arrabbio sempre tanto, quando vedo la donna ancora nel ruolo della valletta, nel ruolo della co-conduzione. Ad esempio io sono tra quelle persone che seguono il Festival di Sanremo da una vita. Ci sono stata anche l’anno scorso e ho fatto parte della sala stampa Lucio Dalla. Spero tanto che al Festival di Sanremo possa arrivare prima o poi una conduttrice femmina ma che stavolta sia anche direttrice artistica, perché questo non è mai successo (posto che vorrei essere io, ma credo di arrivarci e non credo che ci arriverò). Questo è un grande sogno, perchè io malgrado se ne parli sempre in maniera negativa, ne sono molto legata. Comunque tornando all’immagine della donna mi piace che dica qualcosa di sé e che dica qualcosa di importante e che si metta in mostra per quello che dice, per quello che sa fare, e anche con un’immagine giusta, giusta non vuol dire troppo coperta o troppo scoperta, ma che caratterizzi il suo essere. Ecco, una Donatella Rettore non sarebbe mai stata Donatella Rettore se non fosse stata così estrosa; quindi ognuno sia responsabile delle proprie caratteristiche, e della propria immagine. Ecco, adoro le donne con personalità, a cui piace fare un sacco di cose e che sono convinte di quello che fanno, forse perchè di questa popolazione di moderne Amazzoni, ci sono anche io".
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