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Olbia e i nuovi poveri della pandemia: la mano tesa della Comunità Vincenziana

Più che raddoppiato il numero delle famiglie in difficoltà

Olbia e i nuovi poveri della pandemia: la mano tesa della Comunità Vincenziana
Olbia e i nuovi poveri della pandemia: la mano tesa della Comunità Vincenziana
Camilla Pisani

Pubblicato il 28 January 2021 alle 06:00

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Olbia. Via Canova 16: molto più di un semplice indirizzo. È qui infatti che, ogni giorno, festivi compresi, migliaia di persone vengono accolte per veder soddisfatta la più primaria delle necessità: mangiare. La Comunità Vincenziana si occupa infatti, col suo servizio di mensa, di offrire un pasto caldo a chiunque ne abbia bisogno: dal gennaio del 2000 è questa la vocazione delle decine di volontari, coordinati da Silvana Leoni, che si avvicendano con dedizione e impegno in un’incessante catena di montaggio; dalla raccolta di viveri presso aziende, supermercati e ristoranti alla preparazione dei pasti fino alla loro distribuzione, con un occhio sempre vigile alle fasce più fragili. Saziare chi patisce la fame rappresenta forse il più semplice e dirompente esercizio di umanità, e farlo nella più totale assenza di giudizio, prestando con gioia e umiltà il proprio aiuto sembra essere la “chiamata” dei volontari vincenziani. Stiamo parlando dunque di una vera e propria istituzione sul territorio, la cui utilità è certamente superfluo rimarcare. Ma cosa è cambiato, nell’annus horribilis della pandemia? Chi sono i nuovi poveri del SARS-CoV-2? È quello che abbiamo chiesto a Silvana Leoni, responsabile della mensa, che racconta : “sì, quest’anno è stato decisamente impegnativo e difficile sotto moltissimi aspetti. Abbiamo dovuto riorganizzare completamente la struttura interna, per adeguarla ai protocolli sanitari anti-contagio”. La mensa, infatti, che in epoca pre-Covid accoglieva migliaia di utenti al suo interno, è stata chiusa al pubblico: i volontari, dopo la preparazione delle pietanze, si impegnano quotidianamente a preparare pranzi al sacco, che ogni utente preleva e porta a casa; una sorta di take away della solidarietà. E chi la casa non ce l’ha? “Questa è decisamente una delle problematiche che il lockdown ha presentato: per gli utenti senzatetto, infatti, il pasto caldo in mensa rappresentava anche la possibilità di fruire di un tempo di riposo, di calore, di riparo. Con la pandemia in atto, questo aspetto di accoglienza è stato giocoforza cancellato, con grande dispiacere”. La riorganizzazione ha coinvolto non solo l’aspetto logistico ma anche, in larga parte, quello economico, come racconta la responsabile: “la pandemia ha ovviamente bloccato quelle occasioni legate alla raccolta fondi che noi come organizzazione riuscivamo ad allestire almeno due o tre volte l’anno. Questo ci ha fortemente limitato dal punto di vista della disponibilità economica, nonostante la generosità di moltissime aziende del territorio”. Ma c’è un aspetto, che è quello umano, che colpisce più di tutto: “con la chiusura delle attività commerciali - rivela Silvana Leoni - il numero di famiglie che si rivolgono a noi è aumentato vertiginosamente. Se prima del Covid aiutavamo un numero di famiglie, adesso quel numero è praticamente raddoppiato: oltre a fornire loro dei pasti pronti, cerchiamo, nei limiti delle nostre possibilità, di recapitargli pacchi viveri più volte al mese. Questi mesi di inattività lavorativa hanno devastato le condizioni economiche di moltissimi nuclei familiari, anche quelli più insospettabili: è un vero e proprio dramma, che coinvolge tutti i settori, indistintamente”. In uno scenario drammatico come quello dell’era Covid, diventa chiara la necessità di organizzazioni solidali come la Comunità Vincenziana, che si sta spendendo in modo da coprire le necessità di tutti i bisognosi, creando una vera e propria rete solidale con il supporto delle altre organizzazioni che operano sul territorio: “mai come quest’anno, siamo riusciti a collaborare con le altre realtà solidali, anche grazie al sostegno e alla sensibilità dell’assessore. Ci siamo inoltre occupati della distribuzione dei fondi della Protezione Civile, un aiuto immediato per chi si è trovato a fare i conti con la perdita del lavoro. Per noi, che non possiamo contare su fondi e risorse illimitati, questo è stato fondamentale per aiutare quante più persone possibile, non solo per il cibo ma spesso anche per pagare bollette o altre spese essenziali”, riferisce Leoni. Sono una trentina i volontari impegnati nell’attività della mensa, e lavorano a turno per garantire che la rodatissima catena di montaggio giri velocemente ed efficacemente: c’è chi si occupa di andare a prelevare i viveri che aziende private e ristoranti donano per la preparazione dei pasti; chi è impiegato in cucina; chi nella distribuzione dei pranzi. Ognuno di loro è ingranaggio essenziale del meccanismo, ognuno di loro ha imparato a guardare in faccia la povertà e a farsene carico, “senza mai fare alcuna differenza tra concittadini ed extracomunitari”, puntualizza la responsabile. È forse lapalissiano, magari anche populista sottolinearlo, ma non esiste occasione migliore (o peggiore) di un’emergenza mondiale per trovarsi sotto agli occhi, chiaro e forte, quanto la povertà sia la misura di come noi -in quanto umani- possiamo diventare fragili, attaccabili, mancanti. La profonda spaccatura economica che vede i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, rivela allora la vera discriminante, l’unica che possediamo realmente, a prescindere dal nostro reddito o dalla nostra quotazione economica: l’umanità. “Questa pandemia ha messo in ginocchio tutti i settori: dall’insegnante che vive di supplenze, che con la chiusura delle scuole vede annullato il proprio stipendio, al negoziante che guarda sgomento il proprio negozio sempre vuoto. Per non parlare delle categorie più vulnerabili dal punto di vista sociale. Mi è rimasta nel cuore la storia di una ragazza madre, licenziata dopo il primo lockdown, quindi venuta da noi già in grave difficoltà”, racconta con amarezza Silvana Leoni. “Al riaprire dell’attività di ristorazione presso cui era impiegata precedentemente, è riuscita ad essere assunta di nuovo, ma dopo tre, quattro mesi, l’amara sorpresa da parte del titolare: non sarebbe stata pagata per il lavoro svolto. Questa, insieme a mille altre situazioni con cui vengo quotidianamente a contatto, mi ha fatto male; vedere umiliata la dignità e la voglia di lavorare, l’umiltà di questa ragazza, mi ha fatto riflettere sull’ingiustizia di cui a volte ci si rende promotori. Ma io penso che ognuno dovrebbe aiutare l’altro, anche in funzione del fatto che la vita è una ruota, e tutti potremmo avere, un giorno, bisogno dell’aiuto altrui”. Saziare un affamato, tendere una mano amica a chi è disperato, porgere ascolto ad un grido di aiuto, sospendere il giudizio esercitando l’empatia: non è forse questo il senso dell’essere parte di una comunità? Questo l’interrogativo, che in sé custodisce anche la risposta, che la diffusione a macchia d’olio delle nuove e antiche povertà ci si presenta davanti: alla Comunità Vincenziana il sommesso plauso per farne una battaglia di partecipazione e fratellanza ogni giorno, da vent’anni.