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Olbia, la maxi rissa in centro ed il disagio dei giovani: la parola alle associazioni

L'episodio di violenza dello scorso sabato apre la riflessione sulla condizione delle giovani generazioni

Olbia, la maxi rissa in centro ed il disagio dei giovani: la parola alle associazioni
Olbia, la maxi rissa in centro ed il disagio dei giovani: la parola alle associazioni
Camilla Pisani

Pubblicato il 25 May 2021 alle 06:00

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Olbia. Il dibattito sul disagio subito dalle generazioni più giovani, durante questa pandemia, è rapidamente balzato all’ordine del giorno in seguito alla maxi rissa consumatasi lo scorso 22 maggio, nel centro storico di Olbia. Quanto accaduto è noto: durante il primo sabato di zona gialla, un gruppo di giovanissimi, alterati forse da qualche drink di troppo, hanno dato inizio ad una violenta escalation di inseguimenti e colluttazioni, sotto gli occhi attoniti degli avventori dei bar tra Piazza Matteotti, Piazza Regina Margherita e Corso Umberto; aggressiva anche la reazione contro le forze dell’Ordine, intervenute nel tentativo di ristabilire la calma e sedare gli animi. Il video della rissa ha poi fatto il giro della città, lasciando in tutti una sensazione di sbigottimento, di rabbia, di smarrimento: sono questi i nostri giovani? E perché si comportano così? Cosa possiamo fare per loro? Domande in larga parte senza risposta, che hanno suscitato riflessioni importanti in molte delle realtà associative presenti ad Olbia. “Rispetto agli episodi di disagio giovanile che sono balzati alla cronaca nello scorso weekend, mi esprimo con la consapevolezza di affrontare un fenomeno complesso per cui non esistono soluzioni semplici. Fatta questa premessa, spero che questi gravi episodi portino a prendere coscienza che esiste un problema giovanile da affrontare che non riguarda solo le famiglie né solo la scuola ma l'intera comunità educante, in ogni sua componente. Individuare responsabilità ristrette rischia di sollevare alcune parti della comunità dalla responsabilità all'educazione dei più piccoli, questo sarebbe un errore giacché ognuno ha responsabilità singole che si fondono con quelle collettive. Cosa si potrebbe fare per andare incontro ai nostri ragazzi? Certamente potenziare le reti educative coinvolgendo anche il volontariato, le associazioni sportive e culturali perché il sostegno non sia fornito solo ai ragazzi ma anche alle famiglie e alla scuola in ottica auto-mutuo aiuto; ultimo ma non per importanza, un impegno delle istituzioni volto a creare dei programmi strutturati di educativa di strada per andare a generare nuovi modelli di aggregazione lì dove l'aggregazione si crea spontaneamente. Serve un impegno fattivo di tutti senza la ricerca di punizioni esemplari ma con la volontà di ascoltare e di costruire un dialogo per un futuro il più sereno possibile per i nostri giovani” dichiara Veronica Asara, presidente della onlus Sensibilmente. Importante la funzione educativa e catartica della cultura: "Il disagio giovanile certamente esiste e questo anno e mezzo di pandemia ha esasperato la situazione, non si può non considerare l’effetto negativo che le restrizioni hanno avuto sui ragazzi, che adesso, non appena hanno possibilità di uscire, scatenano tutta quell’energia repressa in modi non proprio consoni. La strategia per affrontare questa cosa, secondo me, è indubbiamente culturale, ovvero concerne la creazione di un contesto all’interno del quale i ragazzi possano vivere, socializzare, condividere le loro passioni, i loro sogni, le loro ambizioni in maniera costruttiva; un luogo libero in cui possano esprimere sé stessi ma allo stesso tempo vigilato ed indirizzato dalla visione di un adulto, di una figura educatrice. Credo che il problema, ad Olbia, stia nel fatto che non esistano punti di aggregazione giovanile e sociale, mancano delle politiche di finanziamento di queste attività; queste situazioni richiedono infatti degli sforzi sia di tipo sociale che economico, e se le nostre autorità amministrative non investono su questo, il problema non smetterà di esistere. Credo che questi ragazzi abbiano la necessità di vivere e sperimentare le proprie emozioni, il disagio probabilmente nasce anche da questo, dal non riuscire ad esprimerle e canalizzarle in maniera costruttiva; questo si può fare attraverso il teatro, le attività laboratoriali, lo sport. Se una città mettesse a disposizione dei ragazzi dei campi, una piscina pubblica, un teatro pubblico, un centro di aggregazione sociale, respireremmo un clima differente” afferma Federica Catasta, presidente dell’associazione di promozione culturale Mediterrarte. La questione è complessa e non riducibile ad un paio di voci, seppur puntuali e profonde: l’episodio occorso in centro sottolinea l’urgenza di aprire una riflessione che coinvolga famiglie, scuola, associazioni ed amministrazione; una riflessione che sappia fornire risposte, soluzioni efficaci allo sbando di queste giovani risorse, perse dentro un vuoto di senso e di prospettive che opprime, divora, ottundisce.