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Cronaca

Anouk: dopo le botte, la vittoria di una sopravvissuta

Anouk: dopo le botte, la vittoria di una sopravvissuta
Anouk: dopo le botte, la vittoria di una sopravvissuta
Angela Galiberti

Pubblicato il 26 November 2015 alle 18:00

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Olbia, 25 Novembre 2015 – “Io sono una sopravvissuta!”, dicecol sorrisodi chi ha vinto una guerra e ha conquistato la libertà – quella vera. Anouk è davvero una sopravvissuta e ne è orgogliosa. Perché se non fosse riuscita a sopravvivere a ciò che le è capitato, oggi non sarebbe qui a raccontare la sua storia. Una storia orribile, ma che ha il suo lieto fine.

Anouk (nome di fantasia) è una donna sarda scampata miracolosamente ad un probabile femmicidio. I segnali c’erano tutti e lei, forse ispirata da chissà quale luce divina, li ha colti giusto in tempo per chiedere aiuto.

Anouk ha 15 anni anni quando incontra quello che diventerà suo marito. Una storia come tante che, agli occhi di una ragazzina innocente, sembrava perfetta. “L’ho incontrato che ero una ragazzina – racconta Anouk e mi sembrava tutto così bello. Mi sentivo al centro del mondo e lui mi faceva sentire importante. Siamo stati fidanzati per 12 anni, a me andava bene così. Poi sono rimasta incinta e ci siamo sposati”.

Anouk non si è mai resa conto che quella relazione così perfetta tanto perfetta non lo era. Quelle che lei scambiava per attenzioni amorevoli, non erano altro che un modo per isolarla e tenerla saldamente sotto controllo. La possessività ossessiva di quest’uomo, Anouk l’ha scambiata per amore, fraintendendo completamente tutti i segnali di pericolo. “Fino alla nascita della bambina non è mai stato violento, non ha mai alzato le mani – racconta Anouk -, ma certe cose le ho capite solo adesso. Ero completamente sola, non avevo amicizie o legami, ed ero inebriata da questa relazione. Poi è arrivata la bambina”.

Anouk e suo marito hanno vissuto per anni immersi in uno strano equilibrio morboso: lui la teneva sotto controllo in modo assiduo e asfissiante, lei percepiva tutto ciò come amore e ne era felice. Con la nascita della bambina le cose cambiano. I lavoretti saltuari di lui non bastano a mantenere la famiglia e Anouk decide di andare a lavorare quando sua figlia compie 3 anni: una cosa normalissima per lei, cresciuta con un padre presente e amorevole, più una mamma risoluta e lavoratrice. “Ho cominciato a lavorare perché i soldi non bastavano e sono iniziati problemi – dice Anouk –. Ha iniziato a picchiarmi, a dire che non dovevo lavorare, che ero una poco di buono e che lo tradivo. Se non potevo essere sua, diceva, non potevo essere di nessun altro. Ho dovuto smettere di lavorare dopo circa due anni, ma ho dovuto anche smettere di salutare i vicini di casa perché il saluto, per lui, equivaleva ad un tradimento vero e proprio”.

Anouk cresce la sua bambina tra botte, lividi e violenza assistita. Cerca di fare ogni cosa per rendere meno penosa la vita a sua figlia e tra le due si instaura una silenziosa solidarietà fatta di gesti, ma soprattutto di silenzi e sguardi. I tentativi di Anouk di placare la violenza gratuita del marito cadono sempre nel vuoto e cadono nel vuoto per circa 15 anni. Occhi neri, lividi, rivoli di sangue, naso distrutto: questa era la routine di Anouk. “Un occhio nero non lo puoi nascondere – dice la donna –. All’inizio trovi delle scuse, ti colpevolizzi, giustifichi anche di fronte agli altri. Poi le scuse finiscono”. Anouk, in 15 anni, non è mai andata al pronto soccorso. Nemmeno la penultima volta che il marito le ha alzato le mani. “Ricordo quel momento come se accadesse in questo istante – racconta la donna, mimando quello che ha dovuto subire –. Stavo mettendo a posto casa e, non ricordo esattamente come è successo, ma lui mi si è avventato addosso con la cassetta degli attrezzi. Lui mi ha sempre picchiato mirando al visoealla testa, ma quella volta mi sono protetta con le mani”.

La cassetta degli attrezzi rompe una delle mani di Anouk, ma la donna non va al pronto soccorso. Rimane in casa, sperando che un evento simile abbia l’effetto di svegliare, per così dire, il marito. “Speravo che si rendesse conto della gravità della cosa – dice Anouk –, ma in cuor mio avevo già deciso che se avesse riprovato a picchiarmi, me ne sarei andata”.

Dopo 10 giorni di indicibili sofferenze, perché la frattura non era stata vista da nessun medico, il marito torna a picchiarla, ma Anouk sgattaiola fuori di casa e inizia a correre con una forza e una velocità che non avrebbe mai pensato di possedere. Il buio della notte aiuta la donna nella fuga e l’uomo, sceso in strada per riacciuffarla, la perde immediatamente di vista. La donna corre, corre ancora e raggiunge la casa di una sua parente che, vedendo le sue condizioni, la accompagna immediatamente al Pronto Soccorso.

Quando sono arrivata al Pronto Soccorso mi ha accolto un’infermiera – dice Anouk –. E’ stata lei a chiamare il Centro Antiviolenza dopo avermi chiesto se avevo bisogno di aiuto: io ho risposto dì sì. E’ così che ho conosciuto Prospettiva Donna e sono entrata nella casa protetta, è così che mi sono salvata”.

Anouk era a rischio femminicidio. Se quella sera in cui è scappata fosse stata riacciuffata dal marito, sarebbe morta sotto i suoi colpi. Come sarebbe morta la penultima volta che è stata picchiata, se non si fosse protetta la testa con le braccia e le mani. Grazie a una precisa valutazione del rischio fatta dal Centro Antiviolenza, Anouk è entrata immediatamente nella Casa Protetta, iniziando così un percorso di ricostruzione. La spirale della violenza in cui Anouk è finita è una di quelle più subdole e insidiose. Una ragazzina innocente è stata lentalmente plagiata e isolata dal suo contesto socio-familiare, rendendola vulnerabile e plasmabile a piacimento tanto che, da adulta, ha faticato a riconoscere la violenza fisica e psicologica che le veniva inferta brutalmente. Anouk, però, non è morta sotto i pugni e gli schiaffi del marito. Lei ce l’ha fatta. Ha ricevuto l’aiuto di cui aveva bisogno e, adesso, è una donna rinata con un lavoro, tante amicizie e una figlia tremendamente brillante che non vedrà mai più sua madre con i lividi sul volto.