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Pubblicato il 03 April 2019 alle 17:40
Olbia, 03 aprile 2019 - Riceviamo e pubblichiamo la lettera/nota stampa di Luisella Maccioni, Segretaria della Funzione Pubblica CGIL, dedicata al femminicidio.
Correva l’anno 2001 e per la prima volta sulla stampa nazionale apparve la parola “Femminicidio".
Da allora un problema spesso accantonato o addirittura messo nelle ultime pagine dei giornali, divenne una emergenza nazionale.
Indagini e studi accurati hanno appurato che con “impressionante regolarità” viene uccisa 1 donna ogni 2/3 giorni, statistica che conferma chiaramente ciò che il movimento delle donne sostiene con forza da tempo: e cioè l’impossibilità di pensare al femminicidio come ad un evento momentaneo e imprevedibile ma che deve essere invece considerato come una pratica ben radicata a livello sociale e culturale nella nostra società.
Questa considerazione dovrebbe intervenire pesantemente nel dibattito che si è aperto, in questi ultimi giorni, sul diritto alla vita, sulla difesa personale e non ultimo sull’idea che sta, purtroppo, riprendendo fiato sul “corpo delle donne” (vedi il Convegno di Verona) dove si sostiene che la natura abbia assegnato a uomini e donne differenti destini sociali e diverse funzioni psichiche, che identificano automaticamente la donna in un ruolo riproduttivo e di cura.
Insomma una concezione molto ideologica di matrice patriarcale, con lo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte.
Ma qualcuno sostiene che il vero pericolo per donne sia “l’Islam”. Salvini a Verona.
Purtroppo questa idea che il nemico sia sempre altrove porta alla sottovalutazione sulla vera emergenza: cioè che il femminicidio è in ogni caso e senza nessuna assoluzione un fenomeno culturale!
Un fenomeno che corre trasversalmente nella società italiana dal professore universitario al bracciante agricolo, dal dirigente aziendale al poliziotto e cosi via, un fenomeno che non si prende cura del titolo di studio o della posizione economica ma che ha un denominatore comune: il dominio dell’uomo sulla donna, una forma di violenza ai danni delle donne in quanto donne, una negazione del più fondamentale diritto umano alla vita e in quanto tale non può essere ignorato né vedere nell’impunità degli autori la sua conseguenza più certa.
La violenza di genere si articola a più livelli sia di natura interpersonale, sia istituzionale e si intersecano tra loro.
Alle donne devono essere garantiti pace, uguaglianza, libertà e rispetto in ogni ambito della vita nella sfera pubblica così come in quella privata perché la discriminazione di genere che avviene a porte chiuse nella casa affianco non può e non deve restare impunita o inaudita, tale violenza riguarda tutti donne e uomini in prima persona.
E non bastano affermazioni deleterie come quelle fatte dal Ministro dell’Interno, bisogna, al contrario, promuovere una azioni forti che rimettano al centro l’importanza dell’educazione alla parità di genere e alla prevenzione contro la violenza di genere in modo tale da intervenire in funzione di una vera e propria rivoluzione culturale.
Ma non solo la necessità di sopperire a quello che è un grave vuoto normativo in materia di violenza di genere non debba essere affrontato solo a livello legislativo in relazione a quelle che sono le pene da attribuire agli autori di tali crimini per renderli responsabili delle loro azioni, è inaudito parlare di castrazione chimica non si risolve il problema, come è fuorviante il “telefono rosso in difesa delle donne”, tralasciamo, per carità, la scelta del colore, come se bastasse una telefonata per eliminare il femminicidio e una castrazione volontaria per sdradicare una cultura maschilista e oppressiva.
Il cambio di rotta è da fare ma soprattutto a livello culturale, con una promozione della cultura della non violenza, del rispetto e della libertà delle donne a partire dalle scuole perché il futuro non è ancora scritto e i bambini e le bambine che educhiamo oggi saranno gli uomini rispettosi di domani.
Oltre a questo una cultura legislativa che preveda alle donne di sentirsi tutelate per non spingerle a rimanere silenti di fronte ad un uomo violento, padrone, maschilista sia in ambito familiare che lavorativo.
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