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Cronaca

L'olbiese del mese: la professoressa Anna Maria Raspitzu

L'olbiese del mese: la professoressa Anna Maria Raspitzu
L'olbiese del mese: la professoressa Anna Maria Raspitzu
Olbia.it

Pubblicato il 09 September 2013 alle 13:03

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Olbia - Antonio Savigni, nostro inviato speciale alla scoperta e riscoperta dei personaggi che hanno reso grande la Città di Olbia, è tornato con una nuova intervista. Dopo l'economia, il dott. Savigni si è lanciato alla scoperta del mondo dell'educazione con un personaggio assai conosciuto in tutta la Gallura: la professoressa Anna Maria Raspitzu. Scopriamo insieme ad Antonio Savigni il mondo di questa professoressa vecchio stampo, ma molto moderna.

Il nostro personaggio del mese è Anna Maria Raspitzu, professoressa, laureata in lettere, classe 1945, da poco in pensione. Ha cresciuto intere generazioni di Galluresi che sono passate nelle sue classi a Oschiri, La Maddalena e Olbia, ma non solo. Da buona sarda, come ama definirsi, ci invita a raggiungerla per l'intervista nella sua bella casa a Monte Littu, perchè possa ospitarmi, come conviene alla migliore tradizione isolana. All'ingresso, i cani fanno la guardia, mentre i gatti riposano beati, tutte le porte sono aperte e sul campanello, in mezzo a tante, una targa: "Questa casa non è uno zoo": si capisce subito che la padrona di casa ha anche un certo senso dell'umorismo.

Vorremmo iniziare chiedendole di qualche aneddoto caratterizzante la sua infanzia, a partire da come è cresciuta. C'è un momento in particolare della sua vita dove ha deciso di studiare per fare l'insegnante?

Io sono una ex allieva salesiana. Cresciuta alla scuola di Don Bosco, che è diventato Santo raccattando tutti i ragazzi poveri e sottopoveri di Torino, ragazzi che non avevano famiglia, perfino gli spazzacamini, che venivano in città e non erano nessuno, in balia di gente senza scrupoli. Don Bosco li ha accolti, li ha amati e li ha abbracciati, nonostante fossero sporchi e puzzolenti. Ha cercato di insegnare loro un lavoro, aprendo prima di tutto laboratori e officine. Imponendosi, poi, anche con i datori di lavoro per tutelarne i diritti. Io sono cresciuta con questo ideale, ho sempre pensato che la mia dote personale sia l'insegnamento di Don Bosco.

"Per voi studio, per voi lavoro, per voi prego. Perchè voi giovani mi avete preso il cuore." Questo è il filo conduttore della mia vita, non solo della mia giovinezza. Accogliere i giovani, amare i giovani. Sono molto importanti.

E' vero non sono affettuosa, ma nei momenti importanti ci sono. So anche comprendere quando i ragazzi hanno bisogno e io ci sono. Tante volte mi è capitato di avvicinarmi al banco di qualche studente all'intervallo e chiedere lui di raccontarmi cosa avesse. Percepisco molto facilmente un disagio. Allora chiedo: "Cosa ti sta succedendo?" Certo, non sono sdolcinata, al massimo ti do' una bastonata!

Quali sono i motivi per cui ha deciso di entrare nel mondo dell'educazione?

Io non sono nata con l'idea di fare l'insegnante, volevo lavorare in una casa editrice. Un pochino sono un topo da biblioteca. Da ragazza leggevo moltissimo! Ho il rimpianto di quelle estati della mia giovinezza in cui facevo tre cose: leggevo libri, ascoltavo dischi e scrivevo lettere alle mie amiche. Bellissime. Era la mia vacanza, la mia estate. (Qual era la domanda?...) Ah ecco, volevo lavorare in una casa editrice, ma non era possibile. Una volta, forse era l'ultimo anno di liceo, mia madre lavava i piatti e le dissi "Oh mà, ascolta, vorrei fare psichiatria" e ricordo che mia madre mi rispose in gallurese, "Alli olti chi calchiunu ti ci lampi in calchi treppa". Mia madre era una casalinga, mio padre, di Monti, invece lavorava in guardia di finanza, aveva fatto la guerra di Etiopia, ad Addis Abeba. Aveva ottenuto il permesso di sposarsi, a patto di rientrare in Africa. 2 Aprile 1940.

Rientrato in Africa, Addis Abeba cadde in mano inglese. Venne fatto prigioniero e raggiunse, a piedi, un porto eritreo per prendere una nave che lo avrebbe condotto in Kenya. Stivato in questa imbarcazione, affamato e disperato, mio padre si ritrovò in una vasca con un carabiniere. Nel silenzio quest'ultimo levò dalla tasca un tozzo di pane, mio babbo aveva fame e dopo che si guardarono negli occhi, quello non fece che dividerlo con mio padre, senza dire altro. Da quando sono a conoscenza di questa vicenda mi sono detta "Nessuno a casa mia deve andare via senza niente", la carità e l'amore per il prossimo sono le uniche cose che valgono. Sono così arrivata a trovare la mia strada, quella dell'insegnamento, ho scelto lettere perchè amavo la poesia, anche se ho dovuto studiare anche cose che non mi piacevano. Ho sempre cercato di fare cose gratificanti, che parlassero più al cuore, che alla ragione. Scegliendo bene i programmi, senza che fossero "pallosi". Ho ricercato cose che avessero un senso, un significato.

Basta trovare il canale giusto, la strada giusta per permettere a ciascun ragazzo di esprimersi. Si ottengono risultati sorprendenti. Aldilà di ogni aspettativa. Per fare emergere il tesoro che c'è nei ragazzi, non bisogna avere un pensiero rigido, bisogna essere creativi, artistici. Il lavoro deve essere bello, senza trasmettere l'ambizione sfrenata per il "dieci". Fondamentalmente sono fuori dagli schemi.

Sta più andando a scuola?

Sono tornata solo due volte, per la festa di una collega che andava in pensione e per il certamen. La mia vita è fatta di stagioni. Mi sentirei a disagio, gli altri lavorano e cosa dovrei fare? Continuano a invitarmi, ma ripeto, è una questione di stagioni. Mi mancano i ragazzi, mi manca il mio lavoro. Però capita, per esempio quanto lavo i piatti, di tirare un sospiro di sollievo nel sapere che non ho più compiti da correggere.

Mi corregga se sbaglio, la vostra generazione è sostenitrice convinta di una corrente di pensiero secondo la quale i giovani non hanno più i valori, sono sconsiderati e svogliati. Lei condivide questa lettura? Quanto di vero c'è in quanto sostengono le generazioni più esperte?

In linea di massima sì. E' quello che appare, poi non bisogna per forza seguire il luogo comune. Forse chi esce fuori dai binari fa meno notizia di chi continua a camminare. Ci sono molti ragazzi che fanno volontariato, che vivono bene, ma che non fanno notizia. Ogni generazione è quello che ha ricevuto. Abbiamo fornito ai ragazzi delle immagini fuorivianti. Quello che conta è la bellezza fisica, quello che conta è il sapersi arrangiare, quello che conta è l'utile, le amicizie importanti, quello che conta sono i soldi. Sono immagini fuorvianti. Io ho sempre cercato di comunicare che non sono questi i valori che contano.

Settembre è un mese che profuma di scuola, chissà quante classi, ogni volta nuove, in tutti questi anni di insegnamento. Quanto è difficile ogni volta ricominciare da capo e entrare in contatto con nuovi studenti? Ci parli di questo momento nel rapporto tra docente e alunno...

C'è la novità, naturalmente, per cui ti devi aggiornare e ringiovanire, imparare un lessico nuovo, ogni classe è diversa. Però devo dire che in questi ultimi anni io la quarta ginnasio non la reggevo più, troppo frivoli, superficiali, per tenerli dovevo fare uno sforzo immane. Totale l'assenza di regole. Specchio per truccarsi, telefonino, chiacchiere, che si aggiungeva a una pentola di ormoni. Fa parte di quell'età, ma in questi ultimi anni è stato difficile, anche se poi ho trovato un canale di intesa. In quinta ginnasio il rapporto cambia, c'è già un metodo, anche se è difficile per il programma che è tostissimo e poi iniziano quegli amori totalizzanti e destabilizzanti che fanno perdere la bussola alle ragazze. Ragazze posate e assennate, in quarta, nella quinta ginnasio sono perse. Comunque ho sempre cercato di tenere unite le classi del ginnasio, facendoli conoscere tra loro, ora questo non avviene più.

Ha cresciuto intere generazioni di galluresi ed ha contribuito in mondo significativo al mondo della scuola, può dirci come la scuola l'ha ripagata?

Sì, si passa un pezzo della vita con gli altri, una stagione della vita con gli altri. Però alla domanda non so rispondere, io ho sempre cercato di parlare con i colleghi, cercando un'intesa anche con i presidi, quando non riuscivo mi ritiravo in buon ordine. Si cerca di andare d'accordo, ultimamente una collega mi ha detto che si sentiva la mia mancanza a scuola, "perchè ci tenevi uniti".

Nei suoi anni di educatrice ha sempre avuto una buona parola per tutti, anche se non ha mai apprezzato chi il libro non lo toccava affatto, ma in questi in cui la pensione le offre un altro punto di osservazione sul mondo della scuola, quali consigli, certamente preziosi, vorrebbe condividere con i nuovi studenti di Olbia? E quali consigli per gli educatori?

Non ne voglio dare di consigli, per carità!

Non ha consigli da dare?

Assolutamente no.

Mi arrendo. Da quanto è in pensione?

Da due anni. Ho pianto molto. Da giovane e utile, diventi vecchio e inutile. Pensavo di non farcela. Invece sono sopravvissuta. Perchè non conosco nè la noia nè la solitudine.

Se le chiedessi, non tanto i pregi o i difetti del sistema educativo olbiese, non vogliamo offendere nessuno, ma piuttosto dove sappiamo eccellere e dove invece dovremmo migliorare cosa mi risponderebbe?

Questa è una domanda molto ampia a cui io non posso rispondere. Io non faccio parte del sistema educativo olbiese. Io ho la mia nicchia, ho avuto le mie classi. Li ho portati in giro in tutta la Sardegna, Grecia, Tunisi, Creta. I ragazzi non hanno bisogno di parole o di consigli. Hanno bisogno di testimonianze. Cioè la coerenza di vita con i tuoi ideali e i tuoi valori, che si spera non siano effimeri.

Vuole dire che un professore deve essere prima di tutto un modello?

Io credo di sì, i miei professori rappresentavano un modello per me. Ci sono stati anche professori che mi hanno fatto capire che non sarei mai voluto essere come loro, capisci anche quali modelli non vorresti seguire.

Il suo approccio e le sue lezioni non sono sempre state convenzionali, si è sempre riconosciuta per iniziative non proprio ortodosse, perchè ha trovato necessari approcci diversi da quelli tradizionali per le sue lezioni, la cattedra rappresenta un limite non per forza invalicabile?

Io credo che sia l'insegnante a fare la materia. L'insegnamento è la professione più bella del mondo. Ti consente di plasmare, di formare, di riempire il cuore e la mente dei ragazzi. Volevano mandarmi al liceo, mi sono sempre ribellata, "io voglio il ginnasio, io voglio i miei asini!". Una cosa è formare i ragazzi al ginnasio, altra cosa è ereditare gli "Asini degli altri", asini e con la cresta alta! Le persone più sono ignoranti, più sono presuntuose. Con gli studenti si diventa parenti. Ci si conosce a vicenda, c'è uno scambio di "amorosi sensi" direi, uno scambio di intelletto, di conoscenze, di emozioni che l'insegnante da' e che riceve dai ragazzi. Si diventa parenti. Per me ritrovare un ex alunno è come ritrovare uno di casa, di famiglia.

Professoressa, lei non si è mai sposata.

Un collega ha di recente fatto un'osservazione: "Anna Maria è una farfalla libera". Ieri o stamattina, non ricordo, pensavo a questa frase ed ho fatto una considerazione su me stessa: "sostanzialmente io non voglio nessuno, ho bisogno di autonomia e libertà, altrimenti mi ammalo." Un uomo mi condizionerebbe la vita. Io sono felice perchè faccio la vita che io desidero.

Mi racconti di suo padre

Io l'ho vissuto poco, dopo la guerra rientrò a Monte Littu, era il '44, ricordo che la prigionia lo aveva condizionato molto, rischiò perfino di essere ucciso. Alla fine del '45 sono nata io. Ha continuato a lavorare nella guardia di finanza. Poi nel '50 andò in congedo e avevamo bestiame, vigna. La terra rendeva allora! Io ho studiato grazie ai proventi ottenuti con la vendita dei prodotti della terra, anche con la pensione di mio padre, ma vendevamo il latte, la frutta, la carne. Da dieci anni anche io faccio l'orto, bellissimo, mi costa un pacco di soldi. Se andassi al supermercato, spenderei molto meno. Ho anche le galline, porcellini d'india, gatti, qualche cane. Come dice mio cugino, che era direttore di banca: "eh, celtu Anna Marì, tutti cosi chi rendini!"

Quindi lei ha parlato gallurese?

Certo, io parlo gallurese. Ti dirò di più, con le persone, se riesco a rivolgermi in dialetto, significa che c'è grande confidenza, grande intesa. E' la lingua del cuore, lo sento molto bello.

Noi professoressa all'intervistato chiediamo sempre quale sarebbe il suo auspicio per il futuro della Gallura e per il territorio abitato dagli studenti che ha cresciuto: il suo augurio?

La risposta è scontata: che i ragazzi, i giovani di domani amino il lavoro, che amino le cose giuste, che rispondono a un senso di giustizia, e non a interessi personali. Voglio citare un testo di Tucidide, che ho tradotto in questo periodo, un capolavoro, le Demegorie (demos, popolo; agoreuo, parlare in pubblico ), ovvero i discorsi pronunciati in pubblico da personalità importanti. Tucidide mette in bocca a dei personaggi dei discorsi non quali realmente furono pronunciati, ma quali avrebbero potuto essere pronunciati. Nella cronaca de La guerra del Peloponneso, queste demegorie, fungono da pause nel testo. Cade Atene, sotto i colpi degli Spartani, con essa la democrazia...la polis è in ginocchio. Tucidide mette in bocca a Pericle il seguente discorso, bellissimo : "E io vi dico che Atene è scuola dell'ellade, perchè noi siamo arrivati alla conclusione che è bene che siano in molti ad occuparsi della polis, e che a tutti viene data la stessa possibilità di essere uguali e di pensare agli interessi di tutti e non agli interessi di ciascuno" che conclude con un frase che io conosco a memoria in greco che tradotta è "Amiamo il bello con moderazione e il sapere senza mollezza." Il discorso bellissimo, eroico, di Pericle, orgoglioso di Atene arrivata alla democrazia. Se posso dire per Olbia? Che faccia l'interesse di tutti. Certo, non è l'Atene di Pericle.

Però è la città felice!

A me piace Olbia perchè è molto aperta. Tutti quelli che vengono ad Olbia non se ne vanno, evidentemente hanno trovato ospitalità, cosa che non succede nella stessa misura da altre parti. Dovrebbe essere una città ricca, più seria. Per ottenere il benessere bisogna spaccarsi la schiena, io vengo dalla cultura contadina e sono convinta che l'essenza dell'uomo stia nel lavoro. Sempre e solo con il sacrificio si possono ottenere soddisfazioni. "Ti guadagnerai il pane con il sudore della fronte" lo ha detto Dio ad Adamo. O, come dico io, durante i compiti in classe: "Sangue, sudore e lacrime." Il lavoro è la competizione, lo stimolo per dimostrare quanto vali, per far venire fuori il tuo talento. Io ho dato il meglio di me quando ero in difficoltà. Spero che si abbandoni la cultura del bar, come luogo di raccolta. Non ci si concentri troppo in una vita improntata sull'immagine. E' vero, c'è tanta gente che lavora, brava, che prega, ma c'è anche una fascia che vive sopra le righe.

Ha quasi sempre insegnato ad Olbia, ma la sua casa, il suo mondo e potremmo anche dire il suo nido, è a Monte Littu, di cui è cittadina illustre, dove nasce l'amore per questa località?

Sono rimasta qui perchè c'era mia mamma. E poi perchè il lavoro va bene in città, ma poi ho bisogno di tornare a casa per riprendere me stessa. Ho bisogna della mia solitudine, del mio silenzio, della mia nicchia, delle mie letture. Ah, vi devo consigliare un libro, scrivilo! L'ho acquistato nel 2000 durante il giubileo, a Roma, l'ho letto dopo 13 anni, racconta di un'ebrea olandese. Il titolo "Diario: 1941-1943", di Etty Hillesum. Ha un cervello enorme, straordinaria.

Non è stato semplice obbligare l'enfasi e il pathos di una vivacissima chiacchierata a queste righe, ma quel che meglio può esprimere lo spirito della professoressa è il suo modo di definire la sua professione, che è poi, in sostanza, la sua vita: "Fare l'insegnante è come stare sulla linea del Piave, con il coltello in bocca e l'elmetto in testa".

Antonio Savigni