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Cronaca

Olbia, la cultura che c'è: successo per "Storie di un attimo"

Olbia, la cultura che c'è: successo per
Olbia, la cultura che c'è: successo per
Angela Galiberti

Pubblicato il 18 October 2015 alle 13:17

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Olbia, 18 Ottobre 2015 - Due settimane di mostre nel cuore del centro storico: la prima settimana come da calendario con tanto di incontri e workshop eccellenti, la seconda settimana come regalo a tutti gli olbiesi appassionati di cultura e fotografia.

Storie di Un Attimo, il festival popolare della fotografia organizzato dall'associazione Argonauti guidata da Marco Navone, si chiude oggi con un meraviglioso successo di pubblico e critica, confermandosi come uno dei festival più importanti a livello regionale e - perché no! - anche nazionale.

Mentre al MAN di Nuoro si festeggia la mostra su Vivian Maier, ad Olbia si ammirano il vecchio e il nuovo, la storia della fotografia (vivente) e i nuovi talenti, retrospettive affascinanti e reportage di viaggio dall'altissimo valore storico-culturale. Il tutto in una cornice che merita di essere valorizzata: il centro storico di Olbia. Una città, l'Olbia felice dei greci, spesso tacciata di superficialità, ma che nasconde invece grandi movimenti culturali che - ogni tanto - riescono ad emergere con prepotenza e fantasia.

L'intuizione di Marco Navone, affiancato da decine di giovani appassionati come la fotografa emergente Serena Carta e maestri del diaframma come il fotoreporter de L'Unione Antonio Satta, è stata vincente: la fotografia appassiona, emoziona, stimola, ma soprattutto richiama centinaia di persone e non solo tra gli appassionati. Poter ascoltare un fotoreporter come Mauro Galligani è un privilegio che in pochi possono farsi sfuggire.

Le mostre che per 15 giorni hanno fatto vivere il centro storico rappresentano probabilmente il meglio del passato, del presente e del futuro che il mondo della fotografia può produrre. Certo, manca il nome "straniero", lo Steve McCurry della situazione, ma i nostri fotoreporter azzurri (e a quattromori) non hanno proprio nulla da invidiare ai divi della National Geographic (che, per carità, adoriamo).

La mostra di Galligani dedicata alla caduta del comunismo è un concentrato di emozioni, fatti storici dimenticati o (per ironia della sorte) ancora vivi, colori e storie di uomini e donne senza nome che escono prepotentemente dalla stampa fotografica e trafiggono animo e sguardo dell'osservatore. Galligani ha impresso sulla pellicola la Storia, quella con la "s" maiuscola: il crollo del Muro, i funerali in pompa magna di Tito attorniato da tutti i capi di Stato dell'epoca (chi ha riconosciuto Pertini guardando la foto?), l'eccidio dei bimbi di Beslan con le loro tombe, la furia nucleare di Chernobyl, l'arrivo della democrazia nell'Est Europa e le precedenti guerriglie sanguinose, le rovine di Grozny, Putin alla Casa Bianca davanti ad Obama, i militari russi, l'entrata del KGB. Dove c'era (e c'è ancora) la Storia, c'era (e c'è ancora) l'obiettivo di Galligani. Da questa mostra non si può non uscire straniti, come se per un'ora e mezza (tanto ci vuole a osservare tutti gli scatti in esposizione al Museo Archeologico) si fosse entrati in un'altra dimensione.

Oltre ai grandi nomi, Storie di Un Attimo ha avuto merito di recuperare alcuni luoghi "dimenticati" come la saletta ricavata nell'ex Scolastico in vicolo della Refezione e lo Spazio Arst, cioè il vecchio capolinea in Corso Umberto.

Nella Refezione sono stati messi a contrasto un primatista della perfezione, Davide Cerati, e l'artista sarda Federica Sanna, con Unwoman. Da una parte la (stucchevole e ormai fuori tempo massimo - ci scusi il Cerati!) perfezione dei volti femminili ovviamente bellissimi (e sempre giovani, tranne uno solo) abbinati all'altrettanto stucchevole e fuori tempo massimo "anzianità interessante" del volto maschile sempre vecchio e sempre "bruttarello"; dall'altra parte i nudi femminili imperfetti di Federica Sanna nei quali si scorge l'uso e l'abuso della nudità femminile ad uso e consumo di una società machista e superficiale. Insomma, da una parte lo stereotipo in tutto il suo patinato splendore (le foto di Cerati sono assolutamente bellissime), dall'altra la lotta agli stereotipi di genere e all'oggettificazione del femminile attraverso la normale (e sanissima) imperfezione dei corpi.

E poi: Andreino Marras con il suo viaggio verso l'India in bus negli '70, i costumi sardi femminili di Angelo Lauria, le ventose suggestioni di Serena Carta, Piero Basoccu e i cimiteri industriali esposti in un altro "cimitero" (l'Arst di Corso Umberto, che meriterebbe di sicuro un'altra vita!), Mario Saragato e il metal sardo, e così via. Tante, troppe le mostre di cui scrivere: meglio vederle. Le mostre sono visitabili fino a stasera: approfittatene.