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Un tunnel segreto tra San Simplicio e Castel Pedreso

Un tunnel segreto tra San Simplicio e Castel Pedreso
Un tunnel segreto tra San Simplicio e Castel Pedreso
Marco Agostino Amucano

Pubblicato il 01 April 2018 alle 09:49

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Iniziamo oggi una serie di brevi contributi da pubblicare periodicamente, concernenti le cosiddette “bufale” legate direttamente o indirettamente al passato della nostra città. E purtroppo non si tratta di pesci d'aprile di un sol giorno, ma di inesattezze clamorose e perpetrate, o evidenti falsi archeologici, talvolta assurdi come quello che vedremo adesso, spacciati ostinatamente come autentici; o ancora semplici abbagli di studiosi del passato, presi dagli stessi in totale buona fede, e che pertanto sarebbero perdonabilissimi, dacché errare è umano. Alcune di queste sviste tuttavia, nonostante che siano state abbondantemente confutate addirittura dagli stessi primi propositori, per un migliore approfondimento della questione con nuovi dati o per critica di terzi, vengono ancora propalati ad arte nei nostri giorni per un qualche inconfessabile interesse, specie se trattasi di abbagli capaci di suscitare emozioni o suggestioni a buon prezzo al turista alquanto allocco o ad altre categorie di finanziatori in vario modo. Il che non sarebbe nemmeno un male se venissero presentati come i prodotti di fantasie letterarie e non invece come frutto di una seria e puntuale ricerca storica. In altri termini non si tratta affatto di fantasie legate all’esigenza di mescolare verità storica con invenzione, come si fa con l’avvincente genere letterario del racconto storico. Niente di tutto questo: siamo invece al cospetto di volgari “patacche”, talvolta inventate e millantate come rivoluzionarie o anche solo come inedite "verità" storiche o archeologiche e pertanto energicamente asserite. Al punto che in specifici casi vengono pomposamente proclamate in progetti richiedenti finanziamenti pubblici, di cui oggi, grazie al web ed ai social network, è un gioco da ragazzi arrivare a conoscenza. OLBIAchefuritiene pertanto necessario entrare in merito alla scabrosa questione, anche per fornire un servizio culturale altrettanto pubblico, atto a sconfessare e smascherare pubblicamente quei bluff sul nostro passato esibiti da spregiudicati procacciatori dei soldi altrui e e/o pubblici. Nel fare tale servizio di vigilanza attiva –diciamo così- potremmo anche avvalerci di altri seri studiosi, archeologi, storici, geologi ecc., disposti a fornire il loro autorevole contributo o le loro segnalazioni.

[caption id="attachment_96266" align="aligncenter" width="1019"] La ex cattedrale di san Simplicio in una rara foto dei primi del Novecento scattata da Miss Anna Giles (archivio M. A. Amucano)[/caption]

Veniamo dunque all'argomento annunciato dal titolo. La prima delle bufale di cui tratteremo, una delle più solenni ed ancora pervicacemente diffuse soprattutto fra un certo popolino, afferma l’esistenza di un ardito quanto segreto corridoio sotterraneo, che in passato collegava, se non collegherebbe ancora, la ex cattedrale di San Simplicio con Castel Pedreso. Il presunto tunnel, ambiziosa opera scavata dagli infaticabili antenati dell’Epoca delle Cattedrali, avrebbe dunque la ragguardevole lunghezza di ben cinque chilometri e mezzo, e partirebbe dalla "cripta" sottostante all’altare della chiesa, per sbucare in un indeterminato (diremmo piuttosto indeterminabile) punto all’interno del complesso fortificato. Lo scopo –mi spiegò con animato entusiasmo un prezioso quanto convinto rivelatore di misteri archeologici, la cui identità coerentemente sottaciamo– sarebbe stato genialmente strategico: consentire la messa in salvo della popolazione di Terranova in caso di un pericolo estremo, portandola al sicuro nel più importante e munito castello giudicale dell’agro olbiese.

[caption id="attachment_96267" align="aligncenter" width="716"] Castel Pedreso in una vecchia cartolina degli anni venti del XX secolo[/caption]

Ora, come prima cosa si osserva che nel vorticoso sviluppo urbanistico della città del secondo dopoguerra non si contano i profondi scavi per fondazioni di palazzi, pure di molti piani, dei relativi garage e cantine, di escavazioni continue per la messa in opera di tubi di ogni genere e tipo e dimensione in ogni stagione, e tutti in corrispondenza del più presumibile tracciato sotterraneo del tunnel. Scavi in cui nulla, ma proprio nulla del genere è mai stato notato da operai, direttori dei lavori ed archeologi della Soprintendenza.

La seconda considerazione è invece anzitutto cronologica, in secondo luogo pratica: tra il primo impianto della chiesa romanica e la costruzione del castello voluto dai giudiciVisconti,di origine pisana, intercorrono grosso modo due secoli (metà dell’XI secolo per il primo, pieno XIII secolo per la seconda, come abbiamo in più sedi proposto). Se anche dessimo per vera l’esistenza del tunnel, dovremmo immaginare uno sconvolgimento da non poco da “lavori in corso” all’interno della chiesa dove si collocava la gloriosa cattedra del vescovo di Civita. Intendo cioè riferirmi a tutte quelle attività di asportazione e rimozione di ingentissime quantità di materiale di risulta, da portare via con un continuo andirivieni di operai durato mesi, ma che dico? anni, o meglio decenni, all’interno della chiesa più importante e rappresentativa del regnum giudicale. Un autentico inferno, insomma, che chi ha avuto per una sola settimana i muratori in casa può già capire all'istante. Per non parlare poi dei danni che la tomba del martire ne avrebbe avuto, e della profanazione empia del sacro ambiente sepolcrale che era stato motivo della costruzione della cattedrale proprio nel preciso punto dove ancora sorgono il presbiterio e l'abside.

Se poi potrebbe concedersi il fatto che, trattandosi di un tunnel “segreto”, nessun documento medievale abbia mai parlato di un'opera colossale degna del faraone Amenophi III, non si può non considerare, di contro, che il durissimo contesto geologico granitico avrebbe scoraggiato qualsiasi ingegnere del tempo, per non parlare di chi il granito lo doveva fisicamente spaccare a picconate o a punta e mazzuolo. Impensabile a dir poco.

[caption id="attachment_96268" align="aligncenter" width="1704"] Il mastio di Castel Pedreso dopo il restauro degli anni Novanta, in una nostra foto del 2002[/caption]

Ulteriore motivo dell’insensatezza di una tale credenza è che se la popolazione di Terranova, per ipotesi assediata o minacciata, come extrema ratio avesse dovuto darsi alla fuga usando il tunnel, non si capisce come l'imboccatura di questo non sarebbe dovuta essere in un punto ben protetto all’interno delle alte mura cittadine. Invece la cattedrale, è bene ricordarlo, venne costruita in posizione nettamente extraurbana, come ogni dato archeologico e lo studio serio dell’antica urbanistica ha sempre dimostrato, anche di recente, e cioè ad una distanza di oltre 350 m dalla porta urbica occidentale della Terranova medioevale, posizionabile più o meno nell’angolo fra Corso Umberto e piazza Regina Margherita. Immaginate ora i poveri assediati o fuggitivi, vecchi, donne e bambini, che per arrivare al tunnel segreto devono uscire dalle mura esponendosi pericolosamente per centinaia di metri, per poi andare ad infilarsi e quindi scomparire dentro la cattedrale, senza che il nemico se ne avvedesse punto o lasciasse fare senza almeno insospettirsi.

[caption id="attachment_96270" align="aligncenter" width="1600"] La ex cattedrale di san Simplicio in una cartolina del 1936[/caption]

Il lettore ragionevole converrà a questo punto come gli argomenti qui portati bastino a sufficienza. Ci si chiede semmai come sia potuta nascere e svilupparsi una tale fantasticheria, lasciando all’antropologo l'interpretazione dell'origine di suggestive leggende popolari come queste degli (inesistenti) tunnel fra un monumento e l’altro, diffuse in ogni dove, anche in un'Europa ancor più remota della Sardegna. Probabilmente a ciò contribuì il fatto che sotto l’attuale “cripta” -non più accessibile in quanto la botola di accesso fu obliterata oltre sessantacinque fa- vi è un non meglio definito ambiente allungato, come ci informava Dionigi Panedda, che vestendo ancora la tonaca da prete lo esplorò nei primi anni Cinquanta. Egli scriveva che il breve corridoio ipogeo ad un certo punto si interrompeva a causa di un crollo o riempimento. Si tratta con ogni probabilità di una parte della “cripta” che accoglieva la tomba del martire, scavata per la prima volta nel 1614 dal gesuita Giovanni Battista Barba dietro incarico del vescovo Giacomo Passamar, un argomento che torneremo presto ad affrontare sotto altra prospettiva.

L’illustre studioso di antichità olbiesi non fu l’unico a penetrare nella “cripta” in tempi relativamente recenti. Da quel che sappiamo, anche soldati di stanza durante la Grande Guerra, curiosi di ogni sesso ed età, e particolarmente torme di giovanissimi coetanei dei nostri nonni, amavano calarsi di nascosto al suo interno, per il gusto della scoperta e del proibito. Probabilmente fu proprio uno di questi che, non possedendo ovviamente l’acume interpretativo di antiche strutture del grande Dionigi, vide o volle vedere in quell’ambiente sotterraneo stretto e lungo l’inizio di un mirabolante tunnel segreto diretto chissà dove. Al resto provvide la fantasia dei bambini e la propensione innata negli adulti a credere alle storie inventate, specie se suggestive come questa.

©Marco Agostino Amucano

1 aprile 2018