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Una scena dell'Apocalisse nella facciata del San Simplicio in Olbia

Una scena dell'Apocalisse nella facciata del San Simplicio in Olbia
Una scena dell'Apocalisse nella facciata del San Simplicio in Olbia
Marco Agostino Amucano

Pubblicato il 13 May 2018 alle 17:23

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Olbia, 16 febbraio 2020- Anche se pochi lo ricorderanno, il 9 maggio del 2000 fu una data molto importante per la storia religiosa della nostra città e per il culto di San Simplicio martire. Nella mattina di quel giorno, all’interno della parrocchia primaziale di San Paolo (era allora parroco don Pietrino Ruiu) fu eseguita la ricognizione privata delle reliquie dei martiri olbiesi, custodite entro contenitori sigillati di vario genere, riposti ordinatamente nella nicchia posta nel retro dell’altare.

Ebbi l’onore di redigere il verbale della ricognizione, presieduta da Mons. Mario Careddu, e di scattare un intero rullino di foto in bianco-nero, immortalando le diverse fasi dell'evento.

[caption id="attachment_98646" align="aligncenter" width="912"] Un momento della ricognizione delle reliquie dei Santi Martiri olbiesi avvenuta nella chiesa di san Paolo il 9 maggio 2000. Si riconoscono don Pietrino Ruiu (di spalle), don Debidda, parroco di San Simplicio, mons. Mario Careddu, Pinuccio Deiana del Comitato San Simplicio e Gino Guddelmoni (foto di M. Agostino Amucano)[/caption]

Pochi giorni dopo, il 14 maggio, le reliquie di San Simplicio, dopo quasi quattro secoli, vennero provvisoriamente trasferite in processione solenne nella basilica minore di san Simplicio, rimanendovi esposte fino al 17 maggio. In quella data furono riportate nella chiesa di San Paolo e vi restarono per un ultimo anno (vedi foto), dacché nel maggio 2001, sempre in occasione della festa del Santo, per disposizione del vescovo S. E. Mons. Paolo Atzei le reliquie del martire sarebbero tornate in forma definitiva nel luogo più conveniente, la chiesa a lui stesso intitolata.

Una nuova cassetta sostituì quella seicentesca istoriata ed è oggi esposta sotto la mensa d'altare alla devozione dei fedeli che si recano nella ex cattedrale romanico-pisana.

[caption id="attachment_98648" align="aligncenter" width="649"] 17 maggio 2000. Le reliquie di san Simplicio e dei Martiri olbiesi tornano in processione alla Chiesa di san Paolo. Quelle di San Simplicio torneranno definitivamente nella chiesa a lui intitolata nell'anno successivo. (foto di M. A. Amucano)[/caption]

Conservo religiosamente –è proprio il caso di dire – i negativi in bianco-nero della giornata della ricognizione del maggio 2000. Nel riguardarli alcuni giorni fa mi sono però accorto che in essi sono contenuti alcuni scatti fotografici eseguiti per finire il rullino. Nel pomeriggio di quello stesso giorno mi trovavo infatti davanti alla chiesa di San Simplicio, dove fervevano i preparativi della festa. Ottenni si salire a mio rischio e pericolo su un ponteggio estemporaneo per portarmi così all’altezza del bassorilievo incastonato in facciata ed osservarlo talmente da vicino, che meglio non si sarebbe potuto. Documentai tutto ciò che potevo e come meglio potevo in quei pochi minuti rubati, e dopo diciotto anni credo che sia giunto il momento di rendere pubbliche le foto per mezzo di OLBIAchefu. Naturalmente lo faremo cercando di esporre cosa è raffigurato in questa scultura millenaria, e quali sono i risultati degli ultimi studi al riguardo.

[caption id="attachment_98652" align="aligncenter" width="1704"] Particolare della facciata dell basilica minore di san Simplicio con evidenziata la formella marmorea altomedioevale (Ph M. A. Amucano 2010)[/caption]

In tutti questi anni, diverse sono state le attenzioni rivolte particolarmente alla ex cattedrale di San Simplicio, ma è la monografia del prof. Luigi Agus, noto storico dell’arte, a costituire lo studio più completo ed attento sulla fabbrica romanica. Un importante volume il suo, edito nel 2009 per iniziativa dell’Istituto Euromediterraneo e che, per quanto rivolto ad un utente specializzato, andrebbe maggiormente promosso e diffuso (1). Tante le novità e gli originali contributi che apparvero nella monografia: oltre al riconoscimento, ad esempio, della base di un campanile sul lato destro della facciata e all’ipotesi di un impiego del piede carolingio come unità di misura progettuale, vi è la nuova lettura ed interpretazione delle raffigurazioni del bassorilievo marmoreo incastonato in facciata al momento della costruzione della fabbrica romanica. È su questo che oggi intendiamo soffermarci un attimo attenendoci a quanto Agus ci indica.

[caption id="attachment_98653" align="aligncenter" width="1663"] Il bassorilievo marmoreo di riuso presente sulla facciata della chiesa di san Simplicio (foto di M. Agostino Amucano 9 maggio 2000)[/caption]

Come si osserva meglio nella foto qui sopra, che scattai a circa un metro di distanza, il riquadro marmoreo, sicuramente di riuso, è dominato da una solenne figura antropomorfa, con una grande e sproporzionata testa conica in cui spiccano gli occhi “ a bottone”. Il personaggio cavalca un quadrupede che incede verso il lato destro; con la mano sinistra tiene le briglie e con la destra un oggetto lungo, che appare una sorta di bastone o una spada, tenuta a mezza altezza. Sulla parte sinistra della scena è un secondo animale, che parrebbe inizialmente un somaro, a giudicare dalle lunghe orecchie, posto in posizione verticale rampante. Sopra il bastone tenuto in mano dal cavaliere, chiuso nell’angolo alto a sinistra, è una figura alata che sembra cadere verso il basso.

Non essendo ancora questa la sede per entrare troppo nella questione, va tuttavia precisato che inizialmente chi scrive, P. Danilo Scomparin e lo stesso Agus, avevano sulle prime interpretato la raffigurazione del bassorilievo, che appariva non poco problematica, come la scena evangelica di Gesù che entra in Gerusalemme cavalcando un asino (2). La datazione che inoltre proposi in un volumetto a carattere divulgativo, quindi senza particolari pretese, venne genericamente definita “altomedioevale”, quindi prima dell’anno Mille, e preferii non andare oltre la proposta generica di cronologia, non essendo io storico dell’arte.

La novità - se così si può dire, visto che Agus pubblicò il suo volume su San Simplicio nove anni fa- sta invece nella nuova rilettura della scena che lo studioso propose per il bassorilievo olbiese. Egli partì dai confronti con alcune fibbie del VII secolo, particolarmente di epoca merovingia (la dinastia merovingia, ricordiamo, precedette nella Francia quella dei Carolingi in cui rientra Carlo Magno), trovando un confronto rivelatore con la fibbia in bronzo detta “di Landelinus”, trovata nel 1971 durante gli scavi di una necropoli del VII secolo presso il villaggio di Ladoix-Serrigny, nella Francia centro-orientale.

[caption id="attachment_98655" align="aligncenter" width="797"] Disegno della fibbia di Landelinus (tratto da L. AGUS, Un bassorilievo del VII secolo nella facciata della basilica minore di San Simplicio ad Olbia, BTA 18 Ottobre 2008, n. 507 http://www.bta.it/txt/a0/05/bta00507.html[/caption]

Nella fibbia, come si vede nel’immagine, è rappresentato un cavaliere in sella al suo cavallo che tiene un’ascia nella mano destra e una lancia nella mano sinistra. Insieme ai soliti simboli cristiani, è presente un’iscrizione di cui riportiamo la traduzione come ce la dà Agus: “Landelino ha fatto (una rappresentazione della) Divinità; chi possiederà queste cose, che viva fino al millesimo anno del Signore).” Evidente il riferimento al “Tornarono in vita e regnarono con Cristo per mille anni” dell’Apocalisse di San Giovanni (Ap. 4, 20). Anche il bassorilievo olbiese, secondo Luigi Agus, andrebbe dunque interpretato con la medesima chiave di lettura: la distruzione delle nazioni pagane dell’Apocalisse (19,11-12 : “Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava Fedele e Veritiero: egli giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi sono come fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all’infuori di lui….Dalla bocca gli esce una spada affilata, per colpire con essa le nazioni. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino l’ira furiosa di Dio, l’Onnipotente).

[caption id="attachment_98657" align="aligncenter" width="871"] Particolare della foto precedente rielaborato al Photoshop per una maggiore evidenziazione dei dettagli (Foto M. Agostino Amucano 2000)[/caption]

Il rilievo olbiese rappresenterebbe dunque, secondo lo studioso, Cristo sul cavallo bianco, con in mano lo scettro di ferro e che trionfa sulle forze del male, simboleggiate dall’animale sulla sinistra, da leggersi come la bestia che sale dalla terra così descritta nell’Apocalisse (Ap. 13, 11-12: Vidi poi salire dalla terra un'altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago.Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita.). Da ultimo, la figura alata sull’angolo alto a sinistra del bassorilievo sarebbe una sorta di Vittoria alata (o ci permettiamo di suggerire, un angelo?) simile ad altre raffigurazioni del periodo in oggetto, che porge la spada della vittoria contro il paganesimo.

La datazione del rilievo ai primissimi decenni del VII secolo, ed il riferimento chiaro alla sconfitta dei popoli pagani, sarebbe da collegarsi alla sconfitta del paganesimo nella nostra zona. Ricordiamo che proprio nel 594 papa Gregorio Magno fece ripristinare la sede vescovile di Phausiana, da molto tempo rimasta vacante per qualche trauma storico solo ipotizzabile. Il primo vescovo nominato fu Victor, che –com’è noto - spese la sua vita tutta per l’evangelizzazione delle genti pagane della sua diocesi, i cui confini erano, secondo le ultime ipotesi, molto ampi, arrivando molto probabilmente ad abbracciare parte delle Barbagie.

[caption id="attachment_98741" align="aligncenter" width="2024"] Papa Gregorio I, detto Gregorio Magno (590-604) nel dipinto di Antonello da Messina[/caption]

Resta da stabilire a quale edificio appartenesse questa formella marmorea, riutilizzata nella facciata della chiesa di San Simplicio dopo circa quattrocentocinquant’anni dopo: una tomba? un battistero? una cattedrale voluta proprio da Vittore vescovo? Al momento attuale non è facile rispondere, anche se la terza delle ipotesi rimane la più suggestiva.

Un’ultima indicazione, tutta nostra, riguarda le misure del bassorilievo prese diciotto anni fa. L’unico lato conservato integralmente, quello inferiore, è di cm 51, 5, mentre l’altezza massima residua leggibile è di cm 43,5. Poiché il riquadro ci appare evidentemente danneggiato nella parte superiore, possiamo solo supporre, e crediamo legittimamente, che anche gli altri lati fossero della stessa lunghezza, a formare un quadrato. La misura ci apparve subito particolarmente importante, perché corrisponde con precisione millimetrica al cubito bizantino, unità di misura che oggi giunge ad ulteriore conforto della datazione conferita da Luigi Agus al prezioso manufatto protobizantino.

©Marco Agostino Amucano

13 maggio 2018

NOTE

1) AGUS, L., San Simplicio in Olbia e la diocesi di Civita. Studio artistico e socio-religioso dell'edificio medievale, Soveria Mannelli (CZ), 2009, si vadano in particolare le pp. 48-55. 2 SCOMPARIN, D., Olbia cristiana. San Simplicio e la diocesi di Civita, Olbia 2000, p. 7; AMUCANO, M. A., San Simplicio, in AA. VV., Da Olbia a Terra Nova. Itinerari storici, archeologici, monumentali (M. A. Amucano cur.), p. 75; L. AGUS, San Simplicio in Olbia, in "Sardegna Antica", 31 (2007), p. 37