Thursday, 25 April 2024

Informazione dal 1999

Cronaca

Alluvione, crollo di Monte Pinu: ci sono ancora le auto delle vittime

Alluvione, crollo di Monte Pinu: ci sono ancora le auto delle vittime
Alluvione, crollo di Monte Pinu: ci sono ancora le auto delle vittime
Angela Galiberti

Pubblicato il 09 August 2014 alle 16:09

condividi articolo:

Olbia, 08 Agosto 2014 - La lunga salita che costeggia Monte Pinu, anche se riarsa dal sole di Agosto, è ormai un luogo spettrale che richiama tristi ricordi. Senza il passaggio costante di camion, turisti e pendolari, la vegetazione forte della Gallura sta riprendendo possesso del suo spazio. Piano piano, piccole coriacee piantine spuntano coraggiose da sotto quell'asfalto maledetto che, nel buio del 18 Novembre 2013, è franato in un fiume di fango e roccia portandosi via tre vite innocenti. Tutto intorno, la Natura - com'è giusto che sia un luogo tanto bello - trionfa rigogliosa. Ma che qualcosa non va è evidente anche allo sguardo meno smaliziato. Percorrere quell'audace salita, la cui pendenza in discesa è a dir poco terrificante, è tale e quale a camminare su un tappeto di uova. Durante l'inchiesta per le tre morti avvenute nel crollo del terrapieno più alto di Monte Pinu, la Procura della Repubblica di Tempio ha scoperto che ci sono altri 4 terrapieni in pessime condizioni sotto quella lingua di asfalto che si arrampica impudica sul monte della Città di Olbia. 4 terrapieni di sabbia e tubolari che - grazie ad un destino clemente o a una carezza dal Cielo - non sono crollati sotto il peso delle auto che, in quel momento, stavano cercando di rientrare a casa. La loro presenza, però, è evidente sotto il sole cocente che irradia a picco la strada provinciale dove stiamo camminando. Guardando la striscia di asfalto che scende verso la fertile piana di Olbia, non si può non notare una serie di lievi avvallamenti: in quei punti, i quattro terrapieni hanno ceduto alla forza dell'acqua. La pioggia, scendendo con forza e velocità dai fianchi del monte, ha scavato la terra e ha distrutto quei "ponticelli". La mano distruttrice del Ciclone Cleopatra non ha però distrutto tutto: sotto l'asfalto ha resistito una striscia di terra che ha sostenuto miracolosamente il peso della strada. In cima alla salita, la voragine aperta dalla pioggia è ancora lì con il suo carico di morte. Sotto di essa, il macabro spettacolo del passaggio dell'acqua. In fondo spunta qualcosa di luccicante: sono le lamiere contorte delle due auto trascinate via dall'acqua. Dall'Alfa Romeo una vita è stata tratta in salvo, dal FreeLander invece nessuno si è salvato. Non lontano dal punto in cui l'asfalto si spezza per diventare vuoto, un buco attira la nostra attenzione: è un foro perfettamente circolare, uno di quei carotaggi fatti dalla Procura della Repubblica. Togliamo la pietra e sotto sembra che ci sia il nulla, il buio, un non-luogo in cui forse è meglio non addentrarsi. Lasciando la strada e scendendo per il pendio, l'immagine è ancora più terribile. Il fango pietrificato dal sole lascia emergere solo un po' delle auto cadute nel crollo e trasportate via dalla corrente. E non ci si può non chiedere perché queste due auto sono ancora qui, in mezzo a questo canyon scavato in quei terribili minuti del 18 Novembre. Scendendo per la campagna ai piedi della strada della morte, in terreni curati e abitati, ci si imbatte negli altri canyon scavati dall'acqua in quel terribile pomeriggio buio di novembre. E guardando quei tubolari spezzati, quella sabbia leggera trasportata via, quelle immense rocce emerse e portate da chissà dove, ci si chiede com'è stato possibile tutto questo. La voragine, le morti, l'acqua impetuosa, l'opera dell'uomo evidentemente inadatta a questa morfologia del territorio. Con questi pensieri cupi e tristi ce ne andiamo con la speranza che prima o poi questa strada venga riaperta, ma soprattutto ricostruita da zero.