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Cronaca

Tentato omicidio tra parenti. Parla la madre: lo Stato non ci ha mai aiutati

Tentato omicidio tra parenti. Parla la madre: lo Stato non ci ha mai aiutati
Tentato omicidio tra parenti. Parla la madre: lo Stato non ci ha mai aiutati
Olbia.it

Pubblicato il 07 October 2015 alle 17:28

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Olbia, 07 Ottobre 2015 - Il primo ottobre scorso, mentre ad Olbia imperversava il Ciclone Mediterraneo, una famiglia olbiese è finita nell'occhio del ciclone, ma non per via della pioggia o delle esondazioni. Al termine di una serata convulsa, A.S. e F.S. sono stati arrestati dai Carabinieri di Olbia con l'accusa di tentato omicidio ai danni di L.S., rispettivamente figlio e fratello dei due accusati.

La vicenda ha destato clamore in città, ma soprattutto ha gettato nella disperazione una stimata famiglia olbiese, conosciuta per lavorare sodo e per la sua serietà. A parlare è A.N., moglie di A.S. e madre F.S. e L.S., nonché vittima di una situazione molto complicata. "Mio marito e mio figlio hanno certamente sbagliato, ma non siamo una famiglia di delinquenti - racconta A.N. -. Sono state raccontate cose non vere. Siamo dieci anni che viviamo una situazione veramente molto dura e nessuno ci ha mai aiutato".

L.S., la vittima del tentato omicidio, è stato sottoposto a un'ordinanza restrittiva che gli impedisce (o, per meglio dire, gli impedirebbe) di avvicinarsi e di entrare nella casa paterna in cui vivono il padre, la madre, la sorella e i due fratelli (di cui uno minorenne). Un'ordinanza che è stata presa recentemente per fatti avvenuti nel 2010, fatti che nel frattempo si sono ripetuti e che hanno prodotto altre denunce sempre all'Arma dei Carabinieri. Fatti che hanno a che vedere con la violenza, fisica e psicologica, e che si ripetono da circa 10 anni: botte, minacce, mobili fracassati, insulti pesanti, prevaricazioni, corse al pronto soccorso.

A.N. non nasconde di amare suo figlio L.S., anche se è problematico. Ogni sua parola tracima amore puro di madre, una madre che non ha mai negato aiuto e comprensione nonostante le difficoltà e nonostante l'ordinanza restrittiva. "Mio figlio quella sera è venuto a prendere da mangiare a casa nostra. Stava fuori, perché dentro non può entrare per via dell'ordinanza ma noi non abbiamo mai smesso di aiutarlo - dice A.N. -. Non ho chiuso la porta e lui è entrato. Mi ha chiesto un bicchiere d'acqua, gliel'ho dato e gli ho detto che non doveva stare dentro, ma lui è andato nella camera di suo fratello".

A questo punto, dalle parole di A.N., si intuisce che la bomba era innescata. La sorella di L. lo vede in casa e, a causa del desiderio di non subire ancora, sbotta chiedendogli di uscire. "L. si è avventato contro di lei, la teneva per il collo con un braccio - continua A.N. -. Abbiamo faticato a tenerlo e a metterlo giù per terra. Quando ha queste esplosioni ha una forza incontenibile". In tre mettono L.S. a terra e cercano di calmarlo. Una volta calmato, lo liberano ma il ragazzo esplode ancora e riprende la "lotta". Sempre in tre riescono a spostarlo fuori dalla casa e un amico di F.S. si offre di accompagnarlo a casa sua, situata non lontano dalla casa paterna.

"Sembrava che fosse tutto finito, invece è ritornato - dice A.N. con gli occhi lucidi - riprendendo con gli insulti e le minacce".

La situazione degenera come nell'episodio precedente e A.N. prima chiama i Carabinieri, poi - non ricevendo alcuna risposta -corre in caserma per chiedere aiuto, non ricevendolo immediatamente come invece avrebbe sperato.

"Non so cosa sia successo dopo, non c'ero, non posso dire nulla - continua la donna -. Non giustifico ciò che è successo, ma non è nato dal nulla. Sono 10 anni che chiediamo aiuto a tutti senza riceverlo".

Il marito di A.N. e suo figlio F.S. si sono immediatamente costituiti dopo i fatti. Attualmente rimangono in carcere e verranno probabilmente trasferiti al Bancali di Sassari.

"Tutti noi siamo vittime di questa storia - sottolinea A.N. -, siamo tutti vittime. Anche L. è una vittima. E' mio figlio, so che non è cattivo, forse abbiamo sbagliato modo di aiutarlo. Da piccolo era un bambino buonissimo, molto ubbidiente. Poi con l'adolescenza ha cominciato a cambiare, brutti ambienti scolastici, brutti giri ed è iniziato il calvario. Non sa quante volte abbiamo chiamato le forze dell'ordine e non è stato fatto niente. Al Serd ci hanno detto che un tso sarebbe stato deleterio. Poi lui non ricorda mai nulla di questi suoi scatti d'ira. Dice di non aver toccato la sorella, ma non è così. Dice che siamo cattivi, che non lo aiutiamo, che non lo consideriamo. Io amo mio figlio, che cosa avrei dovuto fare?".

La sensazione di fronte a questa storia è quella che si ha quando si leggono le storie sempre ugali dei tanti femminicidi che avvengono in Italia. Cioè di uno Stato che non riesce a far fronte alle richieste di aiuto e che si muove in modo elefantiaco solo quando ci scappa il morto (o quasi). Se qualcuno avesse consigliato la famiglia S. o se qualcuno si fosse preso in carico questo caso così complicato, forse oggi un padre e un figlio non sarebbero in carcere accusati di tentato omicidio e un giovane con problemi (caratteriali, psicologici o di altra natura) sarebbe stato aiutato in modo corretto da professionisti.