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Cronaca

Percolato: spulciamo ancora tra le carte. Cosa c'è che non va nell'ordinanza 7/2008

Percolato: spulciamo ancora tra le carte. Cosa c'è che non va nell'ordinanza 7/2008
Percolato: spulciamo ancora tra le carte. Cosa c'è che non va nell'ordinanza 7/2008
Angela Galiberti

Pubblicato il 18 April 2013 alle 21:39

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Olbia - Ormai è ufficiale: la Paradivi Servizi, la ditta di Catania che aveva il compito di portare a Olbia il percolato proveniente dalla discarica palermitanta di Bellolampo per essere smaltito dal depuratore consortile del Cipnes, ha annunciato ricorso al Tribunale amministrativo. La Paradivi se la prende, in particolare, con l'ordinanza numero 7 del 2008 con la quale il Sindaco Gianni Giovannelli difende a spada tratta il territorio comunale di Olbia. Vediamo, dunque, che cosa non va o cosa non torna in questa ordinanza. Il divieto di "scalo, trasporto, stoccaggio, conferimento, trattamento e smaltimento di rifiuti, comunque classificati, di origine extraregionale fatta eccezione per quelli di origine extraregionale da utilizzarsi esclusivamente come materie prime" prescritto dal Sindaco di Olbia l'11 Gennaio del 2008 si poggia sulla Legge Regionale n°6 del 24 Aprile 2001. Precisamente sui commi 19 e 19-bis della suddetta legge, i quali recitano così:
19. E' fatto divieto di trasportare, stoccare, conferire, trattare o smaltire, nel territorio della Sardegna rifiuti, comunque classificati, di origine extraregionale. 19-bis. Le disposizioni di cui al comma 19 non si applicano ai rifiuti di origine extraregionale da utilizzare esclusivamente quali materie prime nei processi produttivi degli impianti industriali ubicati in Sardegna e già operanti alla data di approvazione della presente legge, non finalizzati al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti.
Lo scopo di questi due commi era nobile: ovvero evitare di trasfomare la Sardegna in una pattumiera. Il problema è che dal 2007 non esiste più poichè ha perso la sua efficacia a causa di una Sentenza della Corte Costituzionale. La massima corte è stata chiamata in causa dal TAR della Sardegna che si trovava immischiato in una causa promossa a sua volta da un'azienda (Spisa Ecologica Srl) che in un impianto di termodistruzione smaltiva rifiuti sanitari pericolosi. L'impresa in questione era chiaramente ostacolata dal comma 19 che all'epoca non consentiva l'arrivo in Sardegna di qualsiasi rifiuto extraregionale a prescindere dalla sua pericolosità. La Corte era stata chiamata dal Tar a pronunciarsi sulla costituzionalità di tale norma. La massima corte, nella sua sentenza (la numero 12 del 2007) ragiona sulla legittimità del comma 19 in questi termini:
Questa Corte già più volte è intervenuta sui limiti imposti dalla legislazione regionale allo smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale, pervenendo sostanzialmente ad una duplice soluzione in relazione alla tipologia dei rifiuti in questione. Da un lato si è statuito che, alla luce del principio di autosufficienza stabilito espressamente, ora, dall'art. 182, comma 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006, ma, già in passato, affermato dall'art. 5, comma 5, del decreto legislativo n. 22 del 1997, il divieto di smaltimento dei rifiuti di produzione extraregionale è applicabile ai rifiuti urbani non pericolosi; mentre si è, d'altro canto, affermato che il principio dell'autosufficienza locale ed il connesso divieto di smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale non possono valere per quelli pericolosi – fra i quali sono compresi, fra gli altri, anche gran parte di quelli di origine sanitaria (sentenza n. 281 del 2000) – né per quelli speciali non pericolosi (sentenza n. 335 del 2001). Si è, infatti, rilevato che per tali tipologie di rifiuti – pericolosi e speciali (sentenza n. 505 del 2002) – non è possibile preventivare in modo attendibile la dimensione quantitativa e qualitativa del materiale da smaltire, cosa che, conseguentemente, rende impossibile «individuare un ambito territoriale ottimale che valga a garantire l'obiettivo della autosufficienza nello smaltimento» (sentenza n. 335 del 2001).
In sostanza la Corte dice che il divieto di ingresso può valere solo per i rifiuti urbani e non per quelli pericolosi o speciali, poichè questi ultimi possono e devono essere smaltiti solo in determinati impianti autorizzati. E per questi ultimi non vale il criterio della "vicinanza" ma quello della competenza. Per questi motivi la massima corte ha cassato il comma 19 della lr 6/2001 con questa formula:
LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 6, comma 19, della legge della Regione Sardegna 24 aprile 2001, n. 6 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione – legge finanziaria 2001), nella parte in cui, nel fare «divieto di trasportare, stoccare, conferire, trattare o smaltire, nel territorio della Sardegna, rifiuti, comunque classificati, di origine extraregionale», non esclude dall'applicabilità del divieto i rifiuti di provenienza extraregionale diversi da quelli urbani non pericolosi. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2007.
Quindi, caduto il comma 19 cade anche l'ordinanza. Su questo, in teoria, non ci dovrebbero essere dubbi. Però il percolato CER 170903 non pericolso di cui stiamo disquisendo proviene da una discarica che stocca rifiuti urbani: si può quindi considerare un rifiuto speciale visto che non è pericoloso e visto che è il frutto della deterioramento/decomposizione di rifiuti urbani, quelli per i quali è prescritta l'autosufficienza? Sarà il Tar a decidere, sempre che si arrivi a giudizio e non spunti - invece - un accordo tra le parti.