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La "Terranova fabbricata sul dorso di una foglia" di Elio Vittorini

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Marco Agostino Amucano

Pubblicato il 16 January 2016 alle 16:05

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Era appena ventitrenne Elio Vittorini (Siracusa 1908 - Milano 1966), da poco inserito nel canone della letteratura italiana del Novecento, quando, nell’estate del 1931, si recò in Sardegna con un gruppo di amici per una breve vacanza. Elio Vittorini non era un semplice vacanziere, uno che viaggiava per i banali luoghi comuni e fra i luoghi comuni, e nemmeno un registratore circostanziato e pedante di luoghi e curiosità. Per lui la Sardegna fu in un certo senso un pretesto per esercitare il suo precoce e straordinario talento letterario e la sua avidità di assaporare e godere di ciò che gli stava davanti, con la solarità del suo carattere mediterraneo, cogliendo nell’incontro con le cose, con la natura, con gli uomini, sempre un arricchimento, e mai traendone una delusione. Dal viaggio sardo ne scaturì un libretto, Viaggio in Sardegna, edito nel 1932, e ristampato nel 1952 col nuovo titolo:Sardegna come un’infanzia. “La Sardegna di Vittorini è diversa da quella di tutti i viaggiatori precedenti perché non è un luogo, ma un tempo, appunto un’infanzia…impossibili da rendere cronaca, inafferrabili”, così scrive Michela Murgia nella prefazione all’ultima edizione di Sardegna come un’infanzia edita da Bompiani nel 2014. Il libro inizia con l’ingresso del piroscafo nel golfo di Terranova e la visita alla sonnecchiante cittadina del periodo fra le due guerre. Non un solo nome di via, piazza, persona, luoghi. Eppure le pagine trasfondono in modo impressionistico emozioni, vita, atmosfere del tempo, con pochi tocchi arguti e freschi, ed in quell'essere felice della vita con cui si apre Sardegna come un'infanzia.

©Marco Agostino Amucano

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Terranova*

Dalla scaletta del piroscafo si scende sotto a una tettoia -e dirimpetto c è un trenino dagli sportelli spalancati che aspetta. E ancora illuminato, sebbene lievi fiocchi di sole si dilatino nell’ aria. Qualche altro lume abbandonato brilla alle travi della tettoia e, dietro, anche negli uffici deserti della stazioncina. I militari che dianzi schiamazzavano sul ponte di prua - e son tutti ragazzi del continente - assaltano le terze; il resto dei viaggiatori con calma, direi con tristezza, prende posto nei vagoni ai cui cartelli leggo il nome di Cagliari o Sassari, ma sembrano assai meno preoccupati di come li ho visti salire sul piroscafo a Civitavecchia: si sono liberati da una irrealtà - dall'irrealtà della traversata e di tutta l'avventura continentale - e riacquistano il passo degli aborigeni sulla loro terra che soltanto essa è terra. Quanto a noi una grossa macchina di quelle corriere ci attende un passo più in là. Dentro si sta comodi: a volersi sdraiare si potrebbe - e fare a pugni anche. Ma si parte ed è sopra una specie di molo che corriamo: una lunga gettata di roccia bianca su cui la strada ha polvere e fango d'una vera strada e accanto, senza terrapieno, il binario deserto della ferrovia. Alle prime case - stop. Si bussa a un caffè sprangato; perché abbiamo fame. Si va in giro per le vie disabitate - vie in insensibile declivio da una parte all'altra che mostrano come Terranova sia fabbricata sul dorso d'una foglia. Fabbricata con timidezza, di case che non hanno osato sollevarsi più su delle porte. E da una parte e dall'altra le vie finiscono dentro l'acqua che le ultime case quasi sfiorano coi tetti. A grandi passi pesto nel terriccio umido della strada e sotto sento la roccia, metallica, che qua e là affiora e forma capricciosi marciapiedi e gradini dinanzi alle soglie. Le porte sono spalancate, si può guardare in ogni casa e vedere che c'è un letto rifatto già, con la coltre rossa sopra, un tavolo, e oleografie alle pareti; dalle travi del soffitto pendono ghirlande di cipolle; ne si avverte la presenza d'anima viva; - ma se mi fermo, ad osservare più attentamente, lesto e senza il minimo cigolìo l'uscio mi si richiude sulla faccia. [caption id="attachment_48609" align="aligncenter" width="584"]elio-vittorini-siracusa-parco-tematico Elio Vittorini in un'immagina scattata pochi anni prima della sua morte[/caption] Ed ecco una fila di donne, cinque o sei, se ne va strisciando lungo i muri. In fila indiana, serrate in scialli neri, con le lunghe gonne nere toccano il suolo appena e svoltano in una via traversa, come volpi in fuga. Altre isolate si raggiungono, si mettono in compagnia, la seconda dietro alla prima, né si parlano, e subito si rintanano in un cortile. Eppure non sono apparizioni funebri. A capo curvo e lo scialle chiuso sul mento mi ricordano le donne della mia infanzia di guerra a Gorizia che si aggiravano così per le loro faccende sotto il cielo che sibilava, e avevano come queste una strana leggerezza d'andare. - Nei cortili e nei vicoli c'è folla di bambini e non capisco perché non osino invadere la via. I loro schiamazzi occupano la silenziosa cittadina solo a zone, ciuffi d'alberi in un deserto. E, a proposito, non si avverte l'esistenza di un albero; non c'è fruscìo di foglie, non c'è nemmeno fruscìo d'erba in quest'aria che pure è d'aperta campagna. Galline stracciane disperatamente grattano nel terriccio. A qualche porta che ha l'aspetto di bottega chiedo se posso avere della frutta. Ho fame. Ma non hanno da vendermi che pomodori. Mi mandano di porta in porta e dappertutto non vendono che pomodori. O cipolle rosse. Poi, come una inattesa provvidenza, mi indicano un giovanotto in abito di velluto alla cacciatora che traversa la via. E il primo uomo che vedo, qui, e porta in spalla una pertica carica di roba. Roba pennuta. Pernici. A tre lire il paio, - offre. Però sento che qualcuno mi spia. È un vecchio monumentale, in stracci di velluto. Un curioso del luogo. Appena intende che ho idea di parlargli, quasi per tagliar corto, a bruciapelo mi attacca chiedendomi se siamo venuti a Terranova per "far la caccia” . “Già” rispondo. E sorrido anche, cercando di passare io dal lato delle domande. Ma il vecchio mi squadra da capo a piedi, saluta sottovoce e mi volta le spalle. Sene va offeso della mia mancanza di serietà... Sapeva in modo certo che non siamo venuti per la caccia e la mia risposta sventata mi ha reso indegno, ai suoi occhi, d'ogni considerazione umana. E capisco che la sua domanda era piuttosto un'esclamazione, un modo di esprimere la sua meraviglia come mai eravamo venuti, fin dal continente, in questo suo deserto di caccia e non facevamo la caccia. * Brano tratto da: E. VITTORINI, Sardegna come un’infanzia, Milano 2014 (ediz. Tascabili Bompiani, con prefazione di Michela Murgia; Introduzione e Bibliografia di Silvio Guarneri), pp. 30-33. [caption id="attachment_48610" align="aligncenter" width="951"]Piroscafo in partenza (1) Immagine tratta dalla pagina Facebook "Le collezioni dei Lonely Guitars"[/caption]